nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

giovedì 28 febbraio 2019

Successo


Se lo spettacolo non va bene sto male, sto proprio male. Io voglio solo che vada tutto bene, che le persone ridano, che si divertano, che escano contente e quando vedono gli amici dicano ‘oh, guarda quello è troppo forte!’. Questo è il successo, questo è il teatro.

                                                                                   Vincenzo Salemme


Canzone del giorno:  Are You Havin' Any Fun?  (2006) - Tony Bennett ft. Elvis Costello
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martedì 26 febbraio 2019

Città sola



La solitudine è personale, ed è anche politica. La solitudine è collettiva; è una città. E non ci sono regole su come abitarci, e non bisogna provare vergogna, basta ricordarsi che la ricerca della felicità individuale non travalica e non ci esime dai nostri obblighi reciproci. Siamo tutti sulla stessa barca, e accumuliamo cicatrici in questo mondo di oggetti, questo paradiso materiale e temporaneo che troppo spesso assume il volto dell’inferno.


                                                                     da "Città sola" di Olivia Laing (ed. Il Saggiatore)


Canzone del giorno: In questa città (1991) - Loredana Bertè
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sabato 23 febbraio 2019

Post Scriptum Film

Green Book

REGIA: Peter Farrelly
INTERPRETI: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Don Sturk, Brian Stepanek
SCENEGGIATURA: Bryan Hayes Currie, Peter Farrelly, Nick Vallelonga
DURATA: 130'
USCITA: 31/1/
Green Book di Peter Farrelly ha fatto il suo debutto nelle sale italiane presentandosi con il gradevole carico di 5 nomination agli Oscar e avendo già accumulato vari premi di rilievo fra cui 3 Golden Globe (migliore sceneggiatura, miglior film commedia e migliore attore non protagonista a Mahershala Ali). Riconoscimenti tutti meritati per un film che ci riporta negli Stati Uniti del 1962 per raccontarci una vicenda di amicizia, contraddizioni e razzismo tratta da una storia vera.
Don Shirley (Mahershala Ali) è stato realmente un virtuoso pianista di colore molto apprezzato e conosciuto per le sue doti. Nel film egli soggiorna sopra al Carnegie Hall, la famosissima sala da concerto newyorkese (in un fotogramma si scorge una locandina che pubblicizza un concerto di Bob Dylan).
Nel suo sfarzoso salone, l'elegante e colto musicista riceve Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), siculo-americano del Bronx in cerca di un incarico per guadagnare qualche dollaro dopo aver perso il lavoro di buttafuori in un famoso club di New York. Il pianista ha accettato di tenere alcuni concerti negli Stati del Sud e ha la necessità di ingaggiare un autista.
I due trovano l'accordo e iniziano il loro viaggio in auto addentrandosi sempre più a sud, in territori sempre più ostili alle persone di colore, comprese quelle famose e, come nel caso di Don Shirley, seppur in grado di suonare magistralmente un pianoforte. D'altronde per recarsi in quelle zone impregnate dalla segregazione razziale negli anni '60 era necessario dotarsi della guida turistica "Green Book" in grado di elencare le strutture (hotel e ristoranti) ricettive dove potevano entrare i neri non infastidendo la "suscettibilità" dei bianchi.
La chimica tra i due attori è prodigiosa. Sono loro la vera forza del film in quanto in grado di rappresentare due personaggi che, per quanto lontani, sono il prodotto di emarginazione, insicurezza e reazione alle ingiustizie.
Pellicola ben assemblata dal punto di vista narrativo e con due attori straordinari nella parte.

Canzone del giorno: Call It What It Is (2016) - Ben Harper & The Innocent Criminals 
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giovedì 21 febbraio 2019

Bottonizzazione

Il pulsante "like" di Facebook compie dieci anni. Come siamo arrivati fin qui?

È una lunga storia fatta di progresso: la necessità di velocizzare la produzione industriale automatizzando le fabbriche e migliorare la vita in casa attraverso l'energia elettrica. Ma anche di potere. Non dimentichiamo che i primi pulsanti servivano a chiamare la servitù. E a quella dinamica secondo-padrone sono sempre rimasti legati. (...) D'altronde quando i pulsanti funzionano è esattamente quel che fanno: appagano. L'evoluzione di quella cultura ci ha trasformato in una società ossessionata dall'ottenere gratificazione immediata. Questo sistema applicato ai social lo chiamo "bottonizazzione delle emozioni".

Ci spieghi meglio.

Esprimiamo sentimenti allo stesso modo in cui scegliamo uno snack da un distributore automatico. Di conseguenza la relazione che si instaura sui social è quella di venditore-acquirente. La merce è la sollecitazione  di emozioni semplici da esternare. Perché quello che vogliamo dire deve entrare nell'espressione stringata di un faccino". (...) ... se la rete è l'unico spazio in cui ci esprimiamo. Ma non bisogna nemmeno pensare a certi strumenti in modo bigotto. E tantomeno porsi nei loro confronti con paura. La questione semmai è un'altra. Spingere pulsanti dovrebbe implicare una presa di responsabilità. Anche perché è solo apparentemente un atto democratico, che tutti possono fare. Ma non tutti hanno accesso a tutto ciò allo stesso modo. Perfino fra le amicizie di Facebook a qualcuno permettiamo di vedere cose e ad altri no".

da un'intervista a Rachel Plotnick

Canzone del giorno: Dependin' On You (1978) - The Doobie Brothers
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lunedì 18 febbraio 2019

Determinazione


La determinazione è la sveglia del volere umano.

                                                         Anthony Robbins



Canzone del giorno: Attack (2005) - 30 Seconds to Mars
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domenica 17 febbraio 2019

Ripetizione

Cosa rende il cervello umano così irrequieto? Per quale motivo gli esseri umani si adattano tanto velocemente a ciò che hanno intorno? A causa del fenomeno noto come soppressione della ripetizione.
Quando il cervello si abitua a qualcosa, risponde con minore intensità ogni volta che la vede. Immaginiamo di imbatterci in un oggetto nuovo, per esempio un’auto  senza conducente. La prima volta il cervello risponde in modo rilevante: sta assimilando qualcosa di nuovo e lo registra. La seconda mostra una risposta leggermente meno intensa. La terza volta la risposta è ancora minore. La quarta meno ancora. Più qualcosa ci è familiare, meno energia neurale spendiamo per elaborarla.
Perché siamo fatti così? Perché siamo esseri che vivono e muoiono grazie all’energia immagazzinata nel corpo. Se facciamo previsioni corrette, possiamo risparmiare energia. Migliori sono le previsioni, minore sarà l’energia che spendiamo. La ripetizione ci rende più sicuri dei pronostici e più efficienti nell’agire. Però se il cervello si sforza così tanto per rendere il mondo prevedibile, sorge una domanda: se amiamo così tanto la prevedibilità perché, per esempio, non sostituiamo i nostri televisori con dispositivi che emettono un bip ritmico in modo prevedibile 24 ore al giorno? La risposta è che la mancanza di sorpresa ci infastidisce. Più conosciamo qualcosa, meno ci sforziamo di pensarci. La familiarità alimenta l’indifferenza. Si innesca la soppressione della ripetizione e l’attenzione cala. Nonostante la prevedibilità sia rassicurante, il cervello tende ad assimilare fatti nuovi nel suo modello di mondo. 
È sempre in cerca di novità.

Tratto da "La specie creativa" di Anthony Brandt e David Eagleman

Canzone del giorno:
 Bad Brain (1978) - Ramones
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venerdì 15 febbraio 2019

Strana


È una cosa strana la vita, a momenti trasparente nei particolari, a momenti opaca nell'insieme.

Simone de Beauvoir, La forza delle cose, 1963




Canzone del giorno: Lontani dal mondo (1994) - Negrita
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martedì 12 febbraio 2019

Democrazia dei leader

La “nostra” democrazia sta cambiando. Non da oggi. Ma, da qualche tempo, i segni del mutamento appaiono più evidenti. In Italia come (e più che) altrove. Mi riferisco, specificamente, alla democrazia “rappresentativa”. E, in particolare, al declino dei partiti. Il principale canale della rappresentanza. La “democrazia dei partiti”, che abbiamo conosciuto nel corso del dopoguerra, si è trasformata in “democrazia dei leader”. Anzitutto, perché i partiti si sono “personalizzati”. Soprattutto, a partire dagli anni Novanta, dopo il crollo della Prima Repubblica. E dei partiti che l’avevano accompagnata. La svolta, allora, venne segnata da Silvio Berlusconi. L’imprenditore dei media, presidente del Milan, che divenne imprenditore politico. Giusto 25 anni fa, nel 1994, “scese in campo”, mutuando tecniche e linguaggi dall’impresa e dal calcio. Fondò “Forza Italia” e denominò “azzurri” i suoi elettori. FI apparve subito un “partito personale” – come lo definì Mauro Calise. Ideologia, organizzazione, dirigenti: tutti espressi da Berlusconi. Riconducibili alla sua persona. Alle sue aziende. Forza Italia era – e rimane – il “partito di Berlusconi”. Il Partito del Capo (definizione di Fabio Bordignon). Un modello riprodotto da altri soggetti politici. Con alterno esito. Ma, in una certa misura, tutti i partiti, dopo quella fase, si sono “personalizzati”. Fino a divenire, talora, “personali”. In-distinguibili dalla persona del Capo. (…)
…nell’ultimo decennio, entrambi, PD e Lega, si sono “personalizzati”. Il PD è divenuto PDR. Il Partito di Renzi. Mentre la Lega si è trasformata “radicalmente”. Matteo Salvini l’ha de-territorializzata. La Lega Nord è divenuta Nazionale. E sovranista. Ha occupato lo spazio lasciato vuoto, a Destra, da FI e da AN. E Salvini le ha dato il suo volto. Infine, c’è il M5s. L’ultimo arrivato. Un non-partito. Collettore dei ri-sentimenti politici. Privo di una specifica connotazione “personale”. L’unica figura in grado di identificarla è (stato) Beppe Grillo. Un anti-politico per definizione. Leader della “comunicazione” post-televisiva. Della dis-intermediazione, prodotta da internet e dai Social. Così, è possibile leggere la storia recente della politica e della democrazia in Italia come un percorso “oltre” i partiti. Orientato dall’ascesa dei leader. Oggi i “partiti” sono largamente declinati. Solo l’8% degli italiani esprime fiducia nei loro riguardi. Mentre oltre il 40% pensa che la democrazia possa funzionare anche senza i partiti. (…) Così, la nostra democrazia si sta trasformando alle fondamenta. I partiti, vecchi e nuovi, si stanno personalizzando. E, per questo, l’intero sistema politico è divenuto instabile. Perché i partiti personali sono legati ai leader. Sorgono e affondano assieme a loro. Com’è avvenuto a IdV, Scelta Civica, AN. Alla stessa FI. Mentre il PD ha sofferto e soffre della propria mutazione in PdR. Quanto al M5s, risente del “minor tasso di personalità” rispetto alla Lega di Salvini. E la stessa Lega: cosa (ne) sarà dopo Salvini? In generale, è evidente che la democrazia italiana si sia personalizzata. Insieme ai partiti. Spinta dai media. Vecchi e ancor più nuovi. Dalla TV, dalla rete, dai social. Così, stiamo diventando una “Repubblica personale”. Di fatto. In modo im-personale e in-consapevole.

Ilvo Diamanti, Repubblica (28/1/2019)

Canzone del giorno: Be The One (2015) -  Dua Lipa
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sabato 9 febbraio 2019

Hattie Carroll

Alla fine del 1963 Bob Dylan registra a New York uno dei suoi album più famosi: The Times The Are A-Changin'.
Una delle dieci canzoni ha uno strano titolo "The Lonesome Death Of Hattie Carroll".
Racconta di una tragedia avvenuta a Baltimora il 9 febbraio 1963, cinquantasei anni fa.
La protagonista della triste storia è una donna di colore, madre di 10 figli, che lavora come barista in un hotel di lusso.
È trascorsa da poco la mezzanotte. Uomini e donne della buona società continuano a ballare, divertirsi e bere nel locale all'interno dell'hotel. Billy Zantzinger, un ragazzone bianco, figlio di un proprietario di una piantagione di tabacco, arriva durante la festa insieme alla moglie. Nel ristorante dove la coppia ha cenato, il giovane, già in preda dell'alcool, ha cercato di picchiare dei camerieri.
Anche la moglie è nel panico ma probabilmente non prevede che, arrivati nel locale dell'hotel, il marito continui con i sui gesti violenti. Appena arrivato in sala si scaglia contro una cameriera, la picchia e la disprezza in modo razzista chiamandola "nigger". Poco dopo si avvicina al bar e ordina un bicchiere di Bourbon. Hattie Carroll è al bancone e porge al giovane il bicchiere di whiskey. Lo scellerato, però, non è contento del servizio della donna, l'apostrofa come "puttana negra" e inizia a colpirla alla testa con il suo bastone da passeggio. Riescono a fermarlo ma la povera donna sta sanguinando e crolla a terra. Morirà in ospedale qualche ora dopo.
Qualche mese dopo il grande cantautore scrive The Lonesome Death Of Hattie Carroll (La morte solitaria di di Hattie Carroll).

"Oh, ma voi che filosofate sulle disgrazie e criticate tutte le paure,
affondate profondamente il fazzoletto sulla vostra faccia
perché è questo il momento delle vostre lacrime".

Bob Dylan nel suo brano, oltre a a condannare il gesto razzista e omicida contro una brava donna, punta l'indice contro l'ingiustizia della società di quel tempo, contro dei giudici che, durante il processo per omicidio a Billy Zantzinger, accolgono le richieste degli avvocati di grido che lo difendono e accettano l'attenuante dell'ubriachezza in modo da condannarlo soltanto a sei mesi di carcere e a una multa di 500 dollari. 
In un locale notturno di Manhattan, Bob Dylan scrive la canzone in una notte. 
Un'altra versione sostiene che il brano fu scritto a casa di Joan Beaz a Carmel, in California, ma poco importa, perché la forza ribelle della canzone sta nell'averla incisa a pochi mesi dal processo farsa e di averla utilizzata per aprire per tanti mesi i suoi concerti. Una protesta nitida.
Ancora oggi l'ascoltiamo con convinto rispetto. Con essa Bob Dylan ha dato un po' di giustizia alla povera Hattie e condannato per sempre la follia omicida di un razzista.

Canzone del giorno: The Lonesome Death of Hattie Carroll (1963) - Bob Dylan
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venerdì 8 febbraio 2019

Ogni muro


Ogni muro è una porta.
(Every wall is a door)

Ralph Waldo Emerson (1803 - 1882), filosofo statunitense


Canzone del giorno: Another Brick in The Wall (1979) - Pink Floyd
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martedì 5 febbraio 2019

Post Scriptum Film

Non ci resta che il crimine

REGIA: Massimiliano Bruno
INTERPRETI: Alessandro Gassman, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Edoardo Leo, Ilenia Pastorelli, Massimiliano Bruno, Daniele Trombetti, Daniele Blando
SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Nicola Guaglianone, Menotti, Andrea Bassi
DURATA: 102'
USCITA: 10/1

Riferimenti evidenti sin dall'inizio.
"Non ci resta che il crimine", sesta prova alla regia di Massimiliano Bruno, omaggia nel titolo il film della coppia Troisi/Benigni ma, in questo caso, i tre scalmanati protagonisti sono catapultati dalla Roma odierna a quella del 1982 durante i gloriosi giorni del Mondiale di Spagna.
La seconda ispirazione si materializza dopo pochi minuti: gli sceneggiatori (fra cui lo stesso regista) offrono al pubblico un "Ritorno al futuro" in chiave nostrana e, proprio per questo, più che ricorrere ad effetti speciali o ad azioni al cardiopalma, si affidano a una serie di variopinte situazioni in omaggio alla commedia all'italiana.
Nei luoghi della Banda della Magliana, fra scommesse clandestine e stratagemmi per guadagnar soldi, il trio Gassman, Giallini e Tognazzi si muove con naturalezza e determinazione. La luce sgargiante degli anni '80 conferisce il giusto colore alle variopinte gag dei tre amici impelagati fra le vicissitudini dalla coppia kitsch formata da Edoardo Leo e Ilenia Pastorelli. Tempi comici azzeccati e pellicola gradevole che invita al sorriso con naturalezza. Sceneggiatori e regista potevano osare di più? Sicuramente sì.
Una maggiore incisività sul farci rivivere le atmosfere anni '80 e una più curiosa attenzione ai particolari propri di quegli anni (e di quel caparbio momento di felicità estiva) avrebbe senz'altro impreziosito la commedia. Probabilmente frettoloso in alcuni parti ma pur sempre capace di stimolare un bel po' di sane risate.
Divertente.

Canzone del giorno: Brave New World (2018) -  Greta Van Fleet
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domenica 3 febbraio 2019

Invasione

Più della metà degli immigrati che vivono in Italia arriva da Paesi europei. Nove su dieci risiedono nel nostro Paese da più di cinque anni. E la stragrande maggioranza di loro non sono né richiedenti asilo né rifugiati: hanno il permesso di lavoro o arrivano per ricongiungimento familiare. Alcuni dati del terzo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni, finanziato dalla Compagnia di SanPaolo e presentato questa mattina a Torino, contrastano con la narrativa che denuncia un’invasione. «La presenza di stranieri in Italia è al di sotto della media dei Paesi dell’Europa occidentale e settentrionale – spiega il professor Tommaso Frattino, responsabile della ricerca insieme a Natalia Vigezzi -. Di questi tempi pensiamo agli immigrati e vengono subito in mente gli sbarchi, ma i richiedenti asilo e coloro che chiedono protezione umanitaria rappresentano una percentuale minima. La retorica dell’emergenza non trova riscontro nei dati».
Il rapporto analizza i numeri di tutta Europa, dove il numero di immigrati è aumentato di due milioni all’anno negli ultimi due anni: nell’Unione Europea un residente su dieci è immigrato. In Italia sono circa sei milioni (il 10% della popolazione). Più della metà, il 56%, è di origine europea: il 35% arriva da Paesi dell’Unione, il 21% da Paesi extra Ue. Il resto proviene da Africa e Medio Oriente (17%), Oceania e Americhe (13%) e Asia (14%). Il 90%, poi, vive nel nostro Paese da più di cinque anni. La teoria dell’invasione, di nuovo, scricchiola.
Per quel che riguarda l’istruzione, il livello degli stranieri in Europa riflette quello del resto della popolazione. I Paesi con una maggior proporzione di persone con istruzione universitaria hanno anche una maggior quota di immigrati laureati, quelli con una scarsa istruzione universitaria (come l’Italia) ne hanno meno. In tutti gli Stati europei la probabilità di trovare impiego, per gli immigrati, aumenta con il passare del tempo. L’Italia, a questo proposito, rappresenta un unicum. Solo nel nostro Paese, infatti, la probabilità raggiunge quella del resto della popolazione dopo sei anni di residenza. La supera, addirittura, dopo sette. Rimangono, però, le differenze di stipendio: più basso per gli immigrati, più alto per gli italiani. Il dato, spiegano i ricercatori, è dovuto alla concentrazione degli stranieri occupati in settori lavorativi meno retribuiti. Una condizione che accomuna tutti i Paesi europei, dove negli ultimi anni si è registrato un progressivo deterioramento delle condizioni lavorative degli immigrati, sempre più concentrati in occupazioni poco qualificate e poco retribuite. In tutta Europa gli immigrati hanno una maggiore probabilità di trovarsi nelle zone più basse della distribuzione del reddito. Ciò avviene in tutti i Paesi a eccezione del Regno Unito dopo il 2013. Questa situazione è più accentuata in Italia e Spagna, dove gli immigrati hanno una probabilità di trovarsi nel dieci per cento della popolazione con il reddito più basso più che doppia rispetto al resto della popolazione. «In questi ultimi anni si registra una concentrazione crescente degli immigrati in settori svantaggiati del mercato del lavoro, soprattutto in alcuni Paesi come l’Italia – si legge nelle conclusioni del rapporto – La chiusura crescente all’immigrazione per motivi di lavoro dai Paesi extra-europei può avere contribuito a generare o accelerare, questo trend».
                                                                                                                         Filippo Femia, La Stampa (1/2/2019)

Canzone del giorno: Alien Nation (1993) - Scorpions
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sabato 2 febbraio 2019

Grossa

Mauro Biani, da google.it

















Canzone del giorno: Slogan (1976) - Banco del Mutuo Soccorso
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venerdì 1 febbraio 2019

Playlist Gennaio 2019

1.      The Beach Boys, Good Vibrations  (Smiley Smile – 1967) –  Serenità
2.      Ryley  Walker, Spoil With The Rest  – (Deafman Glance – 2018) –  Social credit system
3.      Afterhours, Quello che non c’è  (Quello che non c’è – 2002) –  Disobbedienza
4.      Ed Sheeran, Bloodstream  (X – 2014) – Obsolescenza
5.      Primal Fear, Hounds of Justice  (Apocalypse – 2018) –  Il testimone invisibile
6.      Leon Russell, Little Hideway – (Will O’The Wisp  1975) – Conoscersi
7.      Barry White & Glodean, We Can’t Let Go of Love  (Barry & Glodean – 1981) – Parsimonia
8.      Bonnie Raitt, If You Need Somebody  (Dig in Deep – 2016) – Moschettieri del Re
9.      Blues Pills, Black Smoke  (Blues Pills – 2014) – Recessione
10.  Le Orme, Una dolcezza nuova  (Uomo di pezza – 1972) – Armonia
11.  Carol King, So Far Away  (Tapestry – 1971) – Gli antichi
12.  Kristina Koller, Simplicity – (Perception – 2018) – Semplicità
13.  Keith Urban, Paralle Line – (Graffiti U – 2018) – Rdc
14.  Jovanotti, Paura di niente – (Oh, Vita! – 2017) – Paura di niente
15.  Deep Purple, Stormbringer – (Stormbringer – 1974) – Pragmatismo