nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

giovedì 30 luglio 2020

Parlare...

Parlare
senza avere niente da dire
comunicare
in silenzio
i bisogni dell’anima
dar voce
alle rughe del volto
alle ciglia degli occhi
agli angoli della bocca
parlare
tenendosi per mano
tacere
tenendosi per mano.


Paul Eluard (1895 - 1952)

Canzone del giorno: Eterno (2018) - Giovanni Caccamo
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lunedì 27 luglio 2020

Caserma

Che una caserma dei Carabinieri sia posta sotto sequestro penale è già di per se sconvolgente. Se poi, giorno dopo giorno, fra indagini, interrogatori e intercettazioni rivelate, vengono fuori i particolari che hanno portato all'arresto di sei militari dei nove che facevano parte della Stazione Levante di Piacenza, parlare di "Caserma della vergogna" è senz'altro riduttivo.
I fatti ricostruiti fanno accapponare la pelle. I reati contestati vanno dallo spaccio all'estorsione fino ad arrivare alla tortura.
In questi ultimi anni i carabinieri di questa piccola Stazione avrebbero compiuto arresti illeciti, pestato i piccoli spacciatori di droga che loro stessi sfruttavano e raggiunto risultati tali da permettere alla Caserma di ricevere, nel 2018, un encomio solenne per i risultati conseguiti nell'attività di contrasto allo spaccio.
Ma è mai possibile che nell'ambito politico-sociale cittadino o fra i vertici del Comando legionale a nessuno sia mai venuto il sospetto che fossero un po' troppi gli arresti in flagranza di reato?
Se a tutto questo si aggiungono i particolari che emergono da alcune intercettazioni e che evidenziano persino l'organizzazione di un'orgia con tanto di escort avvenuta all'interno degli uffici della caserma, s'intuisce del perché, per pronto accomodo, il Comando Generale abbia deciso di trasferire ad altre destinazioni l'intero gruppo di comando dei Carabinieri di Piacenza seppur non sfiorato dall'indagine in corso.
L'individuo su cui ruota questa delicata inchiesta è un appuntato, Giuseppe Montella, che per anni è riuscito a mascherarsi da servitore dello Stato per perseguire i suoi scopi illeciti e mantenere un tenore di vita sproporzionato al suo stipendio. Basti pensare alle auto di grossa cilindrata di cui è stato proprietario negli ultimi anni. Ma tutto ciò fa scattare in noi un'ulteriore domanda che fa coppia con quella precedente: come mai nessun membro dell'Arma aveva mai sollevato dubbi sulle sue capacità economiche? Nessuno si era mai incuriosito (e insospettito) nel vedere la sua tracotanza e ostentazione fra le pagine dei suoi profili social?
In tanti hanno chiuso un occhio...anzi entrambi gli occhi.

Canzone del giorno: Deaf Ears Blind  Eyes  (2018) - Alice in Chains
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sabato 25 luglio 2020

Recovery Fund

L'accordo sul fondo per la ripresa e sul prossimo bilancio pluriennale rappresenta un importante cambio di marcia per l'Unione europea. Permettere alla Commissione europea di indebitarsi in maniera sostanziosa per distribuire sussidi ai Paesi che più ne hanno bisogno è un passaggio essenziale verso la creazione di una vera unione di bilancio, che renda l'Europa più attrezzata a gestire crisi future. Ci sono però due pericoli che i governi - tra cui anche quello italiano - dovranno gestire con cura per evitare che al passo in avanti di questa settimana seguano dei successivi passi indietro. Il primo è il rischio che l'Ue si trasformi in una semplice "unione dei trasferimenti", ovvero un'unione che redistribuisce soldi dagli Stati membri in salute a quelli in difficoltà, senza avere un bilancio comunitario forte e lungimirante. Il secondo è che questa "unione dei trasferimenti" veda i soldi viaggiare sempre nella stessa direzione. In quel caso, il pericolo di risentimento tra gli elettori di quei Paesi che dovessero vedere gli aiuti andare costantemente altrove sarebbe molto alto. L'emissione di debito europeo da destinare a finanziamenti a fondo perduto ha una portata sicuramente storica. Si tratta di un'innovazione temporanea, legata alla pandemia, ma che ha il potenziale di colmare una grave lacuna nell'architettura europea: la mancanza di strumenti per aiutare quei Paesi che dovessero subire degli shock isolati. In quel caso, infatti, la politica monetaria della Banca centrale europea non basta, ma c'è bisogno di una rete di assicurazione, che sostenga con politiche di bilancio mirate chi dovesse subire una forte contrazione economica. Questa evoluzione, auspicata per anni, non può però bastare da sola. L'Unione europea, e la zona euro in particolare, hanno bisogno di trasformarsi in un'unione di bilancio, che sappia indirizzare le risorse comuni verso progetti meritevoli. Questi non possono essere il solo sostegno ai Paesi in difficoltà, ma devono comprendere anche iniziative transfrontaliere. Inoltre, il Tesoro europeo dovrebbe avere risorse proprie, che arrivino idealmente da forme di tassazione europea, come tasse sulle emissioni. Su questo fronte, l'accordo di questa settimana è un notevole passo indietro. Rispetto alle proposte iniziali, sono stati tagliati i fondi supplementari assegnati a iniziative comuni utili - ad esempio i programmi di finanziamento alla ricerca. A parte una tassa sulla plastica, non si vedono ancora fonti di introito comuni. La filosofia alla base del prossimo bilancio europeo è che gli Stati membri sappiano spendere i soldi meglio di quanto possa fare la Commissione - un'idea assai poco innovativa. Infine, c'è il tema dei beneficiari di questi fondi. Italia e Spagna ne riceveranno una grossa fetta - come è giusto che sia visto il colpo particolarmente duro inferto loro dal Covid 19. Tuttavia, per assicurare la sostenibilità politica dell'edificio che l'Europa si accinge a costruire, è necessario che chi riceve più soldi degli altri si metta su un percorso di convergenza rapido con il resto dell'Unione. In questo modo, sarà più facile immaginare che il "fondo per la ripresa" diventi un progetto duraturo nel tempo, poiché vorrebbe dire che l'Italia sarà un giorno in grado di aiutare l'Olanda o la Germania in un momento temporaneo di difficoltà. L'alternativa - un flusso di risorse continuo verso il Sud Europa - finirebbe inevitabilmente per suscitare reazioni politiche di protesta nel Nord, che metterebbero a repentaglio il futuro di questi strumenti. Oggi l'Europa è sicuramente più solida. Il suo futuro, però, è ancora tutto da costruire.

Ferdinando Giugliano, la Repubblica (25/7/2020)

Canzone del giorno: Eyes Of The World (1979) - Rainbow
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giovedì 23 luglio 2020

Biodiversità

Sette miliardi e 800 milioni di facce diverse, 208 Stati, solo la metà governati in democrazia. Parliamo 125 macrolingue con migliaia di idiomi, professiamo 100 macroreligioni con centinaia di sfumature differenti all’interno di ognuna. Non sempre i numeri dicono tutto, quasi sempre dicono tanto. Siamo precari, siamo circa. Il 40% gialli, il 21% marroni, il 21% neri, il 18% bianchi. Il 70% della popolazione del pianeta vive in case non abitabili, il 35% è analfabeta, 850 milioni di persone sono sotto la soglia della nutrizione minima, ma 1 miliardo e 700 milioni sono sovrappeso, 24mila muoiono di fame ogni giorno, 750mila sono obese. Circa 42 Stati sono attualmente in guerra, cioè milioni di persone si svegliano ogni mattina sotto la minaccia delle armi. Nessuno di loro e di noi ha scelto dove nascere, quando nascere e con quale sesso, l’1% del genere umano possiede da solo il 50% delle ricchezze della terra.
Vergogna e meraviglia dell’imperfezione umana: il suo contrario è un obiettivo nobile e pericoloso, perché l’ossessiva ricerca della perfezione genera delusione se non la raggiungi. Siamo biodiversi, siamo quasi. Dobbiamo accettarci per misurarci e per migliorarci: prenderne atto non è rassegnazione, ma un modo per gestire l’esistente con speranza. E senza illusioni.

Alberto Caprotti, Avvenire (17/7/2020)

Canzone del giorno: Directions (1973) - Carole King
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lunedì 20 luglio 2020

Dissonanza

“Dissonanza cognitiva” è un’espressione che ha usato per primo lo psicologo statunitense Leon Festinger nel 1957. Descrive il disagio che una persona prova quando ha due idee opposte o incompatibili tra loro, oppure quando le idee di una persona non corrispondono ai suoi comportamenti. Un classico esempio di dissonanza cognitiva lo hanno raccontato Elliot Aronson e Carol Tavris sull’Atlantic. Nel 1997 alcuni seguaci della setta religiosa Heaven’s gate, fondata negli anni settanta in California, si erano convinti che un’astronave sarebbe arrivata sulla scia della cometa Hale-Bopp e li avrebbe condotti alla salvezza. Comprarono un telescopio per avvistare l’astronave, ma subito dopo lo restituirono pretendendo di essere rimborsati. Quando il negoziante gli chiese perché, risposero che il telescopio era difettoso dato che non si vedeva l’astronave. In questi giorni si parla di dissonanza cognitiva a proposito del rifiuto di alcune persone di indossare le mascherine o di mantenere la distanza fisica, malgrado sia accertato che entrambi i comportamenti aiutano a contenere la diffusione del nuovo coronavirus. Negli Stati Uniti la situazione è complicata non solo perché la pandemia è fuori controllo e i casi aumentano in modo allarmante, ma anche perché molti sostenitori di Donald Trump non vogliono usare le mascherine, e indossarle o no è diventato un gesto politico. Come nel caso dei seguaci della setta californiana, chi vive una dissonanza cognitiva cerca di giustificare, innanzitutto a se stesso, la propria scelta. Con la mascherina gli argomenti più usati sono che impedisce di respirare, che è del tutto inutile oppure che rappresenta una limitazione alla libertà individuale. “Anche se è difficile, cambiare idea non è impossibile”, scrivono Aronson e Tavris, “la sfida è trovare un modo per vivere nell’incertezza, prendere le decisioni più informate possibili e modificarle quando l’evidenza scientifica lo impone”.

Giovanni De Mauro, Internazionale (16/7/2020)

Canzone del giorno: Snowballed (1981) - AC/DC
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sabato 18 luglio 2020

Indugi

La chiamano battaglia, ma quella in corso tra i capi di governo dei 27 convocati a Bruxelles per dirimere dubbi e discordie sul cosiddetto piano di rilancio europeo (Recovery Fund) è solo una triste lite in famiglia. Una lite da cui tutti gli europei rischiamo di uscire con le ossa rotte e la casa in rovina. Per capirlo basta il calendario. Sono passati 5 mesi da quando il virus ha iniziato a far strage tra Codogno a Stoccolma, eppure l'Europa non riesce ancora a trovare un accordo sul piano finanziario da 750 miliardi indispensabile per fronteggiare la bufera economica che si addensa sulla scena del massacro. Simili indugi, lo sappiamo, non sono una novità. Nel 2009 la Grecia crollò sotto gli occhi di un'Unione troppo distratta per realizzare che i prestiti concessi ad Atene non erano più medicina, ma veleno. Nel 2015 ci vollero altri lunghi mesi per capire che l'ondata migratoria alimentata da Ankara non era sostenibile. E son più di sei anni che l'Italia rimane terra di sbarco sotto gli occhi indifferenti dei partner europei. Ma stavolta si è superato ogni limite. Un indugio lungo cinque mesi di fronte ad una minaccia potenzialmente mortale è un intervallo inammissibile per qualsiasi Stato o comunità. E lo è tanto più per un entità sovranazionale convinta d'essere una grande potenza mondiale capace d'imporre il proprio modello etico, economico e culturale a 450 milioni di cittadini. (...) Un vera e propria Idra in cui non si sa mai se a comandare sia la Commissione di Ursula von der Leyen, il Consiglio Europeo di Charles Michel, la presidenza collegiale attualmente nelle mani di Berlino o più banalmente le nazioni più decisioniste ed economicamente meglio in arnese come Francia e Germania. Nel mezzo di un simile caos decisionale dove la complessità burocratica è il miglior avvallo per un'eterna anarchia persino l'Italia giallo-rossa riesce a mimetizzare le proprie colpe. Certo esser governati da un esecutivo da barzelletta convinto di poter ottenere 173 miliardi fra donazioni e prestiti senza neppure spiegare per quali finalità verranno impiegati è alquanto triste. Ed è ancor più desolante l'ambiguità di un premier Giuseppe Conte incapace da mesi di esprimere una posizione chiara rispetto ai 36 miliardi del Mes. Ma alla fin dei conti nel mare di litigiosità, rinvii e ripicche che anche ieri ha sommerso i tavoli in cui si discuteva del rilancio europeo non sembriamo peggiori o più pericolosi degli altri. Di certo non più pericolosi di quei cinque paesi «frugali» (Olanda, Austria, Danimarca Svezia e Finlandia) convinti che affondare l'Italia, terzo contribuente dell'Unione e con lei la Spagna non sia un nefasto suicidio collettivo, ma il primo passo verso un'Europa migliore.

Gian Micalessin, il Giornale (18/7/2020)

Canzone del giorno: Venti del nord (2002) - Carmen Consoli
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mercoledì 15 luglio 2020

Società post-familiare

Nel 'Rapporto sulla popolazione' pubblicato nel 1980, si ipotizzavano alcune tendenze – rischio denatalità, scarsa propensione dei giovani al matrimonio, limitata considerazione sociale della famiglia – considerati oggi da tutti gli studiosi come elementi che concorrono in modo dirompente al declino italiano. Sono passati quarant’anni. Quei segnali di pericolo si sono aggravati da apparire quasi irreversibili, ma la politica, oggi come allora, appare indifferente.
Lo racconta il Rapporto Cisf 2020 – La famiglia nella società postfamiliare – che traccia un quadro a tinte fosche sul futuro dell’istituzione familiare e quindi su tutti noi. Possibile evitare che la famiglia in liquefazione trascini nel baratro l’intera società? Sì, ma sarebbe necessario rifondare il welfare, avviare un nuovo sistema fiscale con l’introduzione del fattore famiglia, proporre norme stringenti per la conciliazione famiglia- lavoro. E tanto altro ancora.
Ma servirebbero interventi di ampio respiro, con un impegno coerente su base almeno decennale. L’instabilità endemica dei nostri governi non sembra purtroppo assicurare tempi e interventi così strutturali e così coraggiosi. Che fare allora? Non stancarsi di riflettere su quanto la disgregazione della famiglia e la crisi demografia finiscano per pesare sulla società, determinando fenomeni difficilmente governabili. Al di là delle incertezze pesantissime sul futuro del sistema pensionistico, sanitario, assistenziale, esistono fenomeni come l’aumento dei femminicidi, delle violenze intrafamiliari, degli abusi sui minori che sono dirette conseguenza della progressiva disgregazione familiare. Sono tra le questioni emerse ieri nel corso della presentazione del nuovo Rapporto.
“Abbiamo sempre cercato di valorizzare il positivo – ha detto il direttore del Cisf, Francesco Belletti – ma non possiamo negare che, come spiega il nostro studio, le famiglie sono sempre più piccole (il 60% ha una o due componenti). E tra vent’anni avremo almeno uno o due milioni in meno di coppie con figli. E già oggi il 36% dei giovani non vuole sposarsi, il 40% non vuole avere figli».

Luciano Moia, Avvenire (15/7/2020)

Canzone del giorno: We'll Be Together Again (2003) - Dianne Reevers
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lunedì 13 luglio 2020

Ragliare


Trenta monaci e il loro abate non possono far ragliare un asino contro la sua volontà.

Miguel de Cervantes (1547 - 1616) - Novelas ejemplares, 1613 


Canzone del giorno: State of Mind (2001) - Electric Light Orchestra
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sabato 11 luglio 2020

Frugali

Ma chi sono questi “frugali”? E perché non ci vogliono bene? Svezia, Danimarca, Olanda e Austria si sono attribuite questo eufemistico soprannome per giustificare la loro opposizione al Recovery fund proposto da Francia e Germania e destinato ad aiutare l’Italia e gli altri Paesi più colpiti dall’epidemia. Sarebbe facile, di fronte alla genericità degli argomenti adottati dal cancelliere austriaco Kurz o dal capo del governo olandese Rutte, cadere nella trappola schematica degli opposti populismi. Mentre per i populisti nostrani l’Europa è un enorme complotto tedesco per danneggiare e sottomettere noi italiani, per i populisti dei Paesi “frugali” l’Europa è l’ennesimo espediente italiano per scroccare soldi al Nord e vivere di debiti senza lavorare. (…)Sul tema della solidarietà la questione europea attraversa e spacca tutti gli schieramenti partitici. Probabilmente non si tratta neppure di un puro e semplice calcolo di convenienza, visto che un collasso del mercato unico europeo costerebbe anche a loro molto più del contributo al Recovery fund. La differenza è piuttosto nel modello culturale di riferimento che ha segnato l’adesione di questi Paesi all’Unione europea. E il modello dei quattro “frugali”, che molti considerano semplici vassalli della Germania, è sempre stato il Regno Unito. Per Svezia e Danimarca, che non fanno parte della moneta unica, lo è stato fin dal momento dell’adesione. Per l’Olanda, un tempo europeista, lo è diventato con il crescere dei risentimenti populisti all’inizio del secolo. Per l’Austria è una scelta di comodo, che offre al suo cancelliere un profilo politico alternativo a quello dell’ingombrante collega tedesca. Cosa significa avere il Regno Unito come modello? Significa, semplicemente, interpretare la scelta europea sulla base di un puro calcolo del dare e dell’avere, tanto sul piano economico come su quello politico, senza alcuna implicazione identitaria. L’Europa va bene se conviene. Se non conviene, va attaccata e denigrata senza pietà, come per anni hanno fatto i media e i politici britannici. (…) Ma l’elastico del sentimento popolare, che si è spezzato in Inghilterra, è ormai arrivato al limtieella tensione anche in questi Paesi. La decisione del Recovery fund li costringerà, come del resto costringerà gli italiani, a un esame di coscienza sulla propria appartenenza europea.

Andrea Bonanni, la Repubblica (11/7/2020)

Canzone del giorno: Never Not Love You (2016) - Dolly Parton
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giovedì 9 luglio 2020

Dalla parte giusta

Cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi): Siamo uomini, e l’uomo rimane uomo con tutti i suoi scrupoli, i suoi dubbi, e qualche volta addirittura con l’incredulità. Ma che importa? Noi siamo sempre dalla parte giusta.

Monaco (Alberto Sordi): Pure quando sbajamo?

Cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi): Soprattutto quando sbagliamo: è facile stare dalla parte giusta quando si ha ragione.

Monaco (Alberto Sordi): Che è, un dogma, Eminenza?

Cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi): No, fratello: è la tragedia di chi ha il potere. Per cui lasciamo che la giustizia compia il suo corso.

dal Film "Nell'anno del Signore" (1969) - Regia di Luigi Magni

Canzone del giorno: You Never Change (1978) - The Doobie Brothers
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martedì 7 luglio 2020

Furbizia

La comunicazione si basa per buona parte sulla furbizia. Soprattutto oggi, nell’era in cui tutto ciò che si dichiara non svapora alla mezzanotte del giorno dopo quando il giornale finisce nella pattumiera, bensì sopravvive in eterno sul web. Ecco la ragione della necessaria scaltrezza: ogni parola resterà, meglio attrezzarsi. Prendete Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms: È colui che qualche mese fa ci rassicurava sulla levità del Covid 19, salvo adesso saltarsene fuori con l’affermazione “il peggio deve ancora venire“. Dove sta la furbizia comunicativa? Semplicemente nell’attribuirsi due enunciati antitetici, in modo che i posteri - qualunque sarà l’evoluzione del virus - trovino online la giusta predizione. Poco importa se ci si rimette in credibilità, tanto più che nelle valanghe di pagine web che ogni minuto inondano il pianeta, ciò che vale è la singola affermazione, che si risolve completa in se stessa, essendo pochissimi a linkare sul nome di Ghebreyesus per compararne i virgolettati. Quindi tutto a posto? Nossignore, perché si dà il caso che non ci sia più diaframma temporale fra le notizie e l’effetto emotivo delle stesse: le labbra del direttore dell’Oms emettono dieci parole in fila, ed esse sono già patrimonio globale, corrono sui siti, sui blog, sugli sms-alert-news, creando conseguenze, ingenerando all’istante sollievo o panico (da cui discendono azioni, decisioni, scelte) mi sono sempre chiesto se coloro che arrivano a occupare certi ruoli, ricevano nozioni sui modi e gli effetti della comunicazione. In attesa di saperlo, tocca accettare l’otto volante, sopravvivendo non solo il virus, ma anche ai comunicati dell’Oms.

Stefano Massimi, Robinson (4/7/2020)

Canzone del giorno: Il volume delle tue bugie (2013) - Ligabue
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sabato 4 luglio 2020

Mediana

Mi sono imbattuto in un dato statistico che mi ha fatto riflettere. Mi ero chiesto se siano più ricchi gli americani o gli italiani. Posta così la domanda è vaga, perché ovviamente ci sono italiani straricchi come Berlusconi e italiani poveracci e ci sono americani straricchi come Bill Gates e americani poveracci. Ma ci si può chiedere se mediamente siano più ricchi gli americani o gli italiani. La statistica esiste anche per rispondere a queste domande. Ho cercato i dati. Quello che ho trovato mi ha sorpreso.
Ci sono diversi modi per valutare la ricchezza «mediamente». Due fra i più comuni sono la media statistica e la mediana. La ricchezza media statistica degli americani è più alta di quella degli italiani: oltre una volta e mezzo quella italiana. Ma la ricchezza mediana degli americani è molto più bassa di quella degli italiani: la ricchezza mediana degli italiani è quasi una volta e mezzo quella americana. I dati sono del Global Wealth Databook 2019 del Credit Suisse. Gli americani sono più ricchi di noi in media statistica, ma più poveri di noi in mediana. Non si tratta di piccole fluttuazioni statistiche: si tratta di differenze pesanti. La risposta alla domanda se siano più ricchi gli americani e gli italiani è davvero «dipende». (...) Da cosa dipende la vistosa discrepanza? La media statistica è la ricchezza divisa per il numero degli abitanti. È un’indicazione di «quanto sarebbe ricco un americano se la ricchezza fosse divisa in parti eguali». La mediana è la ricchezza dell’americano «medio» nel senso di quello che sta a metà fra i ricchi e i poveri: metà dei cittadini sono più ricchi di lui e metà più poveri di lui. Data la forma della distribuzione della ricchezza, la mediana corrisponde più o meno a una valutazione del tipo «prendiamo un americano a caso: quanto è ricco?». È chiara allora la ragione della discrepanza fra i due dati, che a prima vista è così sorprendente: in America c’è molta più disparità economica che in Italia. La ricchezza è ancora più concentrata nelle mani di pochi di quanto non lo sia in Italia. In America la ricchezza c’è, ma arriva alla maggioranza degli americani molto meno di quanto arrivi in Italia. C’è più ricchezza nell’insieme, ma l’italiano «medio» è più ricco dell’americano «medio». Ovvero, la maggioranza degli italiani è più ricca della maggioranza degli americani. E non di poco. (...)
Se il sistema politico, economico e sociale italiano si avvicinasse a quello americano, ci guadagnerebbero gli italiani? Risposta: i pochi molto ricchi sì, ma la maggioranza degli italiani ne avrebbe una perdita economica. Questo risultato è indipendente dalle vistose differenze dei due sistemi sociali: per esempio il fatto che in Italia la sanità è pubblica, il costo dell’educazione è coperto in larga misura dallo Stato, esistono ammortizzatori sociali molto più efficaci eccetera, tutte cose che in America non ci sono. Anche indipendentemente da queste differenze sociali profonde, per la maggioranza dei cittadini è economicamente più conveniente essere in un sistema politico sociale come quello italiano che non in uno come quello americano. Con tutti i disastri italiani, viviamo in un Paese dove la maggior parte della popolazione è economicamente quasi una volta e mezzo più agiata che la maggioranza della popolazione del Paese più potente del mondo.
Qualche volta non sarebbe male ricordarlo.

Carlo Rovelli, Corriere della Sera 25/6/2020

Canzone del giorno: The Almighty Dollar (2007) - Ozzy Osbourne
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giovedì 2 luglio 2020

Virologi

Bertolotti e De Pirro, da google.it
















Canzone del giorno: I Don't Need No Doctor (1971) -  Humble Pie
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mercoledì 1 luglio 2020

Playlist Giugno 2020


1.      Alice Cooper, The Dynamite Road – (Paranormal – 2017) – Polveriera
2.      Susan Tedeschi, The Danger Zone – (Hope and Desire – 2005) – Mani bucate
3.      Perturbazione, Chi conosci davvero  (- (Dis)amore – 2020) – Persona giusta
4.      Coldplay, The Scientist  (A Rush of Blood to the Head – 2002) – Ricerca scientifica
5.      Alicia Keys ft. John Mayer, Lesson Learned  (As I Am – 2007) – Solo Lezioni
6.      Muddy Waters, All Aboard – (Fathers and Sons  1969) – Infiltrazioni
7.      Albert King, Change Of Pace – (Albert  1976) – Poteri di veto
8.      Fabrizio De Andrè, Anime salve – (Anime salve  1996) – Passaggi
9.      Mark Chesnutt, Useless – (Thank God For Believers  1997) – Inutile
10.  Johnny Winter, Check Out Her Mama – (Where’s Your Brother?  1992) – Nutrice
11.  Giorgio Gaber, Il conformista – (Gaber 96/97  1997) – Il conformista
12.  Peter Frampton, It’s a Sad Affair – (Where I Should Be  1979) – Sciatteria
13.  Ian Hunter, Morons  (Runt – 2001) – Deficiente