nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 30 luglio 2023

Il mio canto libero

In un mondo che
Prigioniero è
Respiriamo liberi
Io e te
E la verità
Si offre nuda a noi
E limpida è l'immagine ormai

Nuove sensazioni
Giovani emozioni
Si esprimono purissime in noi
La veste dei fantasmi del passato
Cadendo lascia il quadro immacolato
E s'alza un vento tiepido d'amore
Di vero amore
E riscopro te 

Lucio Battisti (testo di Mogol), Il mio canto libero (1972)


Canzone del giorno: Il mio canto libero (1972) - Lucio Battisti
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giovedì 27 luglio 2023

Catastrofe climatica

In "The Game of Thrones" l'inverno arrivava sotto forma di tempeste di ghiaccio. Aveva qualche annodi ritardo, è vero, ma nemmeno in quella fiction si sognavano di far scivolare lastre di ghiaccio per le strade di Seregno ridotte a fiumi odi schivare superchicchi di grandine grossi come palle da tennis a Melzo, il tutto vedendo zigzagare tornado scuri e minacciosi a pochi chilometri di distanza, proprio dentro la capitale produttiva del Paese. E non in pieno inverno, ma nel cuore dell'estate 2023, contrassegnata da fenomeni estremi come difficilmente prima. Fenomeni simili si stanno ripetendo in altre parti del mondo, come stanno riprendendo quota gli spaventosi roghi che pensavamo di esserci lasciati dietro le spalle lo scorso anno: ancora in Grecia, questa volta nelle isole, fra poco in tutto il Mediterraneo, non essendo possibile escludere nessuna terra dall'attacco del fuoco, che da mesi divora anche la più grande foresta boreale primigenia nella British Columbia. Mentre ondate di calore sempre più feroci minano alla base la biologia degli ecosistemi e dei viventi, sapiens compresi. Per quanto possa apparentemente sembrare strano, l'insieme di questi fenomeni ha un unico minimo comune denominatore che si chiama cambiamento climatico: le quantità di calore sempre maggiori in atmosfera sono in grado di investire città e uomini, alimentare le correnti ascensionali che incrementano le dimensioni dei chicchi di grandine e seccare fiumi e boschi, dando più energia e spazio agli incendi. D'altro canto, tutta quella energia termica in sovrabbondanza viene evacuata attraverso perturbazioni meteorologiche a carattere violento che vanno dalla tempeste di ghiaccio ai tornado, dai temporali autoalimentati alle alluvioni improvvise. Gli specialisti del clima hanno dedicato particolare attenzione a questi fenomeni nei loro rapporti più recenti, riuscendo a prevederli quasi nel dettaglio e identificando con certezza la tendenza climatica globale al rialzo accelerato, anomalo e globale delle temperature medie dell'atmosfera e degli oceani. Un clima estremo, contrassegnato da eventi meteorologici fuori misura, fuori dalle regioni tipiche e fuori dalle stagioni usuali, questo quello che ci aspetta. La voce degli scienziati sulle cause dell'attuale cambiamento climatico è univoca come su pochi fenomeni fisici: del resto almeno mezzo secolo di studi e modelli climatici che puntualmente si avverano non possono essere smentiti dal solito ex-scienziato che trova un errore che nessuno aveva notato nei report climatici, o da chi presume volontà coercitive sull'umanità da parte di eco-terroristi portatori di un nuovo green pass da imporre alle poveri genti, mentre le lobby verdi lucrano profitti sui pannelli fotovoltaici che, si sa, sono peggio dei pozzi di petrolio. Di tutti gli articoli scritti da specialisti che studiano le cause del cambiamento climatico, oltre il 97% afferma che è causato dalle attività dell'uomo, con un livello di confidenza superiore al 95%. Ma, di fronte a questo dato, c'è ancora chi vorrebbe prendere tempo e, magari, arrivare alla certezza del 100%, ovviamente impossibile, prima di fare qualcosa. Curiosamente sono sicuro che gli stessi non mangerebbero affatto una pizza in cui la mozzarella fosse avvelenata non dico al 95%, ma neanche al 5%. E' vero, in molti articoli non c'è riferimento alla cause antropiche del cambiamento climatico, ma semplicemente perché non si occupano delle cause o perché le si danno per scontate, esattamente come non si ribadisce in ogni articolo sulla tettonica delle placche quale sia il meccanismo che la mette in atto: sono i moti convettivi nel mantello e non c'è bisogno di ripeterlo ogni volta. Perché è importante questo consenso scientifico schiacciante sulle cause del cambiamento climatico? Perché darebbe ai politici ampia giustificazione delle misure improcrastinabili che andrebbero prese, prima di tutte, quella di azzerare le emissioni climalteranti, partendo dalla cessazione di ogni forma di sussidio pubblico, anche velato, alle compagnie gas-petro-carboniere. E all'investimento di ogni risorsa, fino all'ultimo centesimo, in energie rinnovabili. Il prezzo della transizione energetica non dobbiamo pagarlo noi in bolletta, lo devono pagare le multinazionali dei combustibili fossili che, invece, stanno ancora investendo in trivellazioni future. Proprio mentre gli scienziati hanno informato che, se volessimo davvero mantenerci entro 1,5°C di incremento delle temperature atmosferiche nel prossimo futuro, dovremmo lasciare sottoterra per sempre il 90% del carbone e il 60% di gas e petrolio. Il cambiamento climatico è un fenomeno fisico e va trattato con metodo scientifico, non con approssimazione e negazionismo d'accatto. Se non piace ciò che gli scienziati suggeriscono, ci si prenda la responsabilità dei roghi, dei fiumi di ghiaccio in estate e delle grandinate fuori misura. Si vede che a qualcuno convengono.

Marco Tozzi, la Stampa (26/07/2023)

Canzone del giorno: All The Good Girls Go To Hell (2019) - Billie Eilish
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lunedì 24 luglio 2023

Identità

Il presidente egiziano ha graziato il giovane Zaki con sollievo generale. A destra si fa intendere che ciò è dovuto all'opera discreta, dietro le quinte, svolta dal nostro governo. A sinistra, ancora per bocca di Schlein, si preferisce parlare di successo della «mobilitazione» e non si riconosce alcun ruolo a Palazzo Chigi, di cui fino a poche ore prima si denunciava l'inerzia o la sudditanza nei confronti del Cairo. In realtà è difficile negare che ci sia la mano dell'Italia in questa buona notizia inattesa. Tanto che la vera domanda posta dall'opposizione dovrebbe essere: qual è la moneta di scambio? Ossia cosa ha chiesto al Sisi nei contatti riservati e cosa ha concesso (o promesso di concedere) l'Italia? Questo farebbe scivolare il discorso sulla politica mediterranea che Giorgia Meloni sta attuando, vedi la Tunisia e adesso l'Egitto. È una politica anche spregiudicata, dal momento che si fonda sul negoziato con autocrati e dittatori. Tuttavia l'opposizione fatica a definire un'alternativa che non sia solo il richiamo sacrosanto ma retorico ai diritti umani violati; o non si limiti a dire che la strategia della destra sui migranti "non funziona". In verità, se l'Italia contribuisce a stabilizzare l'area mediterranea, avrà compiuto un'opera fondamentale in sé e inoltre gradita all'amministrazione di Washington, specie in prospettiva, non meno dell'appoggio a Kiev. In altre parole, nel definire l'identità della destra di governo la coalizione guidata da Meloni sembra più avanti della sinistra nel suo campo. Naturalmente offre risposte di destra, come è logico.

Stefano Folli, la Repubblica  (20/7/2023)


Canzone del giorno: All The Right Moves (2009) - OneRepublic
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sabato 22 luglio 2023

Benedetto

"Io una leggenda vivente? Sembrerà umile da parte mia, ma cerco solo di essere una brava persona, di intrattenere il pubblico e di farlo stare bene. Questo è sempre stato il mio obiettivo da artista: dare loro il meglio affinché possano dire 'mi sono davvero divertito stasera'. Io amo quello che faccio - cantare e dipingere - e sono stato molto fortunato che sia diventato il mio lavoro. Il mio cognome all'anagrafe è Benedetto, e benedetto è proprio come io mi sento: quindi voglio continuare a cantare e dipingere il più a lungo possibile”.

Tony Bennett, intervista ANSA (28/6/2017)


Canzone del giorno: Taking a Change on Love (1962) - Tony Bennett
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giovedì 20 luglio 2023

Oceani di promesse

Di Lloyd, di sir, di oceani di promesse e di navigazione a vista

“Lloyd, dove sono tutte le promesse che mi avevano fatto?”

“Credo che si siano perdute tra il dire e il fare, sir?”

“Immagino non arriveranno mai in porto...”

“Le promesse di marinaio finiscono sempre per naufragare in un mare di giustificazioni, sir”

“Il segreto sta nell'evitare i marinai, Lloyd?”

“Più nel tornare a essere comandanti, sir”

“Riprendiamo il timone, Lloyd”

“Istantaneamente, sir”

Simone Tempia, Dialoghi immaginari - Vita con Lloyd (Linus Settembre 2022)

Canzone del giorno: Invisible Oceans (2022) - Amos Lee
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martedì 18 luglio 2023

Il fumetto arte di governo

Una presidenta minuta che si lamenta dei tacchi in conferenza stampa, perché indolenziscono i piedi, e poi entra e esce fulminea da una photo-op con i cosiddetti grandi della Terra, è un fumetto Disney. Minnie. Una ministra del Turismo che si difende in Parlamento chiamando in causa perentoriamente chi ha prenotato un lettino nel suo stabilimento balneare è un fumetto di Angela e Luciana Giussani. Eva Kant, maestra del mascheramento. Un presidente del Senato che “interroga” suo figlio su una seria circostanza penale notturna è un fumetto horror, non si dica un manga, ma almeno un Dylan Dog indagatore dell’incubo. Un ministro della Difesa gigantesco che mette la sua mole e sapienza democristiana al servizio del fascismo liberale, mentre gli scoppiettano intorno le armi e sfavillano le parate, è un fumetto. Un Titano dark fantasy scritto da Hajime Isayama. […] Ce la caviamo perché non ci siamo fatti fregare, ancora una volta, dal concetto di classe dirigente e dalle sue dolenti costrizioni stilistiche. Dopo i fasti gentili di Paperon de’ Paperoni, che hanno messo fine alla tragedia dei partiti anni Settanta, dilatandola e diluendola, è la volta di Minnie e altre fantasie e nuvolette. Che tutto questo avvenga in una successione ordinata, equilibrata e democratica di vignette lineari e tranquillamente leggibili nella compassata Europa mercantile, con il pasto solitario di Mario Draghi a Fiumicino (nuvoletta) e le sue conferenze a Cambridge che fanno testo e scuola (o squola) al mondo governativo delle Santanchè, dei La Russa, dei Delmastro Delle Vedove e delle Beatrice Venezi, dalle deleghe fiscali gradite al riformismo di centro al trascinante mito del debito buono, invenzione geniale di un uomo geniale, ecco poi la vera sorpresa. Non è la politica che è diventata un fumetto, è il codice espressivo e significante del fumetto che è diventato arte di governo dello stato. 

Giuliano Ferrara, Il Foglio (14/7/2023)

Canzone del giorno: Bam Bang Boom (2020) - Dion ft. Billy Gibbons
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sabato 15 luglio 2023

Fratelli di riccanza

Sono bastati dieci giorni di fuoco per mettere in crisi quello che Giorgia Meloni ha di più caro: il suo racconto. Il berlusconismo decadente e crepuscolare degli ex “berluscones” di destra finiti nell’occhio del ciclone della giustizia – Apache La Russa e suo padre Ignazio, Daniela “Pitonessa” Santanchè e Vittorio Sgarbi sessista – è per la leader di Fratelli d’Italia come la krypronite per Superman: un veleno che si inocula nel sistema immunitario, fiacca ogni energia, distrugge la narrazione della destra nazionale, moderna, conservatrice, «underdog», madre e donna,  peggio delle cluster bombs di Joe Biden. «Non sono ricattabile», ruggiva la Meloni il giorno in cui il Cavaliere l’aveva sfidata, raccogliendo così le simpatie trasversali di tanti italiani di destra, ma anche di sinistra. Vero: lei non è ricattabile, ma “loro” sì. Giorgia è romana, proletaria, cresciuta in una famiglia di sole donne, temprata nella sobrietà (la sua adorata Mini, il rifiuto della scorta), l’apologia della militanza. “Loro” sono nordici, maschilisti e talvolta misogini (Sgarbi ha fatto indignare la regista Cristina Comencini), appariscenti (Filippo Facci ha fatto giochi di parole sullo stupro), inguaiati con la magistratura (e non certo per un complotto): i berluscones amano la bella vita, le belle macchine, le cose di lusso, le bottiglie millesimate, svuotate nei locali “fighi”. […] Oggi gli eredi del Msi popolare cresciuto nel mito dell’onestà si ritrovano impantanati nella guerra ai magistrati. E la Meloni, che si è portata a Palazzo Chigi il sobrio e rigoroso magistrato Alfredo Mantovano, adesso è costretta a tacere sul caso La Russa e a vergare note informali di Palazzo Chigi, dopo essere stata scottata (anche) dal rinvio a giudizio di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia ed esponente della cosiddetta “generazione Atreju”, ovvero la nidiata di Azione Giovani. Solo che la rivelazione di Delmastro al suo onorevole compagno di casa, nonché coordinatore nazionale di Fdi, Andrea Donzelli sembra una storia da studenti fuorisede, e la simpatia di cui gode un po’ ovunque il deputato (celebri sono suoi collegamenti provocatori a L’Aria che tira) non è intaccata.  Il caso Santanchè, invece, sembra fatto apposta per rinnovare tutti gli stereotipi della Casta: la ministra si prende la macchina di lusso in comodato d’uso (77mila euro l’anno!), poi però impone alla scorta di usare la sua e non quella di servizio, poi raccoglie 450 multe nell’area B di Milano (e non le paga). Dice la Santa: «É l’auto di servizio». La ministra imprenditrice ha anche ottenuto 2,7 milioni di euro di prestito dallo Stato (ma i suoi curatori spiegano che non lo rimborserà perché non ha i soldi) ma secondo l’inchiesta di Report ha pompato solo poco meno. E poi ancora Santranchè dice al Senato che la società fallita non è sua, ma si scopre che in realtà la controlla (con un patto para-sociale) e con il compagno dal nome creativo e persino suo figlio (con l’ex dipendente un po’ acida che ricorda: «Siccome non sapeva bene cosa fare chiamava la mamma al telefonino davanti a noi»). 
Ecco, provate a immaginare cosa c’entra tutto questo con la Meloni. Poco o nulla. Ma adesso, la prima presidente donna, deve affrontare il primo virus misogino contratto dalla sua creatura politica. Qualunque scelta – sia parlare che tacere – come cantava il suo amato De André – è una ferita: «E per tutti/ il dolore degli altri/ è un dolore a metà».

Luca Telese, Tpi.it (14/7/2023)

Canzone del giorno: Until The Levee (2015) - Joy Williams
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giovedì 13 luglio 2023

Markèta

Alla mia cartolina provocatoria Markéta rispose con un biglietto breve e banale, le altre lettere che le spedi nel corso delle vacanze non ricevettero risposta. Ero sulla montagna a raccogliere fieno con una brigata dell’università, il silenzio di Markéta mi procurava grande tristezza. Da lì  le scrivevo quasi ogni giorno lettere piene di un’infatuazione supplichevole e malinconica; la scongiuravo di fare in modo che potessimo vederci almeno nelle ultime due settimane di vacanza, ero pronto a non andare a casa, non vedere mia madre che era là sola, ad andare dovunque fosse Markéta; e tutto questo non soltanto perché lei mi piaceva, ma soprattutto perché era l’unica donna sul mio orizzonte e perché la condizione di ragazzo senza una ragazza mi era insopportabile. Ma Markéta non rispondeva. Non capivo che cosa stesse accadendo. Tornai a Praga in agosto e riuscì a trovarla a casa.  Andammo a fare la solita passeggiata lungo la Vltava e sull’isola - il Prato dell’imperatore (quel prato triste, con pioppi e campi da gioco vuoti) -, e Markéta sosteneva che tra noi non era cambiato nulla, e difatti si comportava come sempre, ma era proprio quell’identicità spasmodicamente immobile (l’identicità del bacio, l’identicità della conversazione, l’identicità del sorriso) a essere deprimente.  Quando chiesi a  Markéta un appuntamento per l’indomani, mi disse di telefonarle, che ci saremmo messi d’accordo. Telefonai: una voce femminile sconosciuta mi annunciò che Markéta aveva lasciato Praga. Ero infelice come può essere infelice sono un ragazzo di vent’anni quando non ha una donna; un ragazzo ancora abbastanza timido, che finora a conosciuto l’amore fisico solo poche volte, di sfuggita e male, e nel frattempo non smette mai di pensarci. Le giornate erano insopportabilmente lunghe e inutili; non riuscivo a leggere, non riuscivo a lavorare, andava al cinema tre volte al giorno, a tutti gli spettacoli, uno dopo l’altro, pomeriggio e sera, solo per ammazzare in qualche modo il tempo, Solo per coprire in qualche modo quell’ululato di civetta che saliva di continuo da dentro di me.

Milan Kundera, Lo scherzo (1967)


Canzone del giorno: Howl (2009) - Florence and The Machine
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martedì 11 luglio 2023

Il ponte sospeso sullo Stretto

C’è un ponte sospeso sullo Stretto di Messina. Noi non possiamo vederlo, ma lui sì: il ministro Salvini allunga lo sguardo sullo specchio d’acqua dove un tempo navigava Ulisse, dove secondo la leggenda Colapesce regge l’isola dal fondo per evitare che un giorno s’inabissi, dove l’effetto di Fata Morgana riflette a mezz’aria l’immagine delle due città gemelle, e già vede Scilla e Cariddi coniugate dal mastodonte lungo più di 3 chilometri, retto da due piloni che salgono a 400 metri di quota. Sarà l’ottava meraviglia, la sua piramide privata. Sarà inoltre l’eccezione che smentisce ogni principio conosciuto. Giacché i ponti uniscono, collegano due sponde contrapposte. Invece il ponte sullo Stretto divide, divarica, distanzia. Non solo la politica, con destra e sinistra a fronteggiarsi tra favorevoli e contrari. Benché – diciamolo – a suo tempo l’idea venne sposata pure da Prodi, D’Alema, Rutelli, Renzi, oltre che da Berlusconi. Ma questo ponte ci separa inoltre dalla logica, o almeno dal buon senso. E ci allontana, ahimè, dalla Costituzione, dai suoi valori. Mettiamo da parte i dubbi tecnici, che pure in queste faccende dovrebbero essere importanti. Anche se molti studiosi di strutture in acciaio lo reputano di fatto irrealizzabile, anche se il ponte a campata unica più esteso del mondo (quello dei Dardanelli in Turchia) misura il 63 per cento in meno di quest’ultimo prodigio. Lasciamo altresì da parte il rischio eolico, in una zona battuta da venti formidabili, che impediranno il traffico per almeno 30 giorni l’anno. O il rischio sismico, dopo 36 terremoti catastrofici nell’arco di due millenni (l’ultimo, nel 1908, ha fatto 80 mila morti). E dimentichiamo che le due sponde dello Stretto poggiano su placche continentali che si divaricano d’un centimetro per anno. In due secoli fanno un paio di metri;  e allora il ponte si romperà come una corda tesa. Sì, possiamo trascurare questi leggeri inconvenienti, possiamo perfino disinteressarci della sorte cui vanno incontro le popolazioni locali. Il comitato “Invece del ponte” calcola che i lavori dureranno almeno 10 anni, in base al raffronto con il Terzo valico e con altre opere pubbliche perennemente incompiute. Nel frattempo Messina verrà traforata dalle cave (occorre scavare 8 milioni di metri cubi, secondo alcune stime). Subirà il passaggio di centinaia di camion al giorno. Respirerà nubi di polvere. Verrà assordata dal rumore. Per ottenerne in cambio un’astronave sospesa fra le mulattiere, giacché in Sicilia corre (si fa per dire) il treno più lento d’Italia: 13 ore da Trapani a Ragusa. Ecco, qui comincia ad affacciarsi la regola costituzionale, ammesso che qualcuno voglia prenderla sul serio. In quella Carta non c’è forse scritto che “la sovranità appartiene al popolo”? E si può allora decidere tutto questo pandemonio senza l’assenso popolare? In Francia la legge Barnier del 1995 garantisce il giudizio della cittadinanza sui grandi progetti d’infrastrutture nazionali. Da parte nostra potremmo quantomeno celebrare un referendum consultivo, è il minimo. Magari allargandolo a tutti gli italiani, dato che le grandi opere hanno sempre un rilievo nazionale, dato che in ballo c’è una spesa di 11 miliardi. Il governo, viceversa, ha in odio il dibattito, preferisce l’indottrinamento. Sicché assegna un milione l’anno alla società concessionaria per “sensibilizzare” le popolazioni di Messina e Villa San Giovanni, anche attraverso concorsi nelle scuole. Roba da Minculpop, altro che libertà d’informazione. Ma il governo ha in odio pure la concorrenza, benché a sua volta iscritta nelle tavole costituzionali. Difatti attribuisce l’opera al vecchio General Contractor (disdetto nel 2013) senza una nuova gara; e scaricando per giunta tutti i rischi sulla parte pubblica, come ha denunziato l’Autorità Anticorruzione. Infine, la Costituzione subisce una ferita nella norma – celeberrima – che promette la tutela del paesaggio. Che ne sarà di quel tratto di mare, con una cicatrice nera a sfregiare l’orizzonte? Sennonché lo Stretto di Messina è parte del patrimonio culturale, oltre che di quello naturale. Ne scrisse Omero, e poi anche Tucidide, e Virgilio, e Lucrezio, e Ovidio, e Dante, e Goethe, e Pascoli, e D’Arrigo. Si può oscurare questo lascito in nome della viabilità? Sarebbe come costruire un ponte sospeso sopra il Colosseo, per migliorare il traffico di Roma. Ma lo Stato italiano ha appena riformato l’articolo 9 della Costituzione, per rafforzare la tutela del paesaggio; e con quest’impresa diventa il primo nemico del paesaggio.

Michele Ainis, la Repubblica (10/7/2023)

Canzone del giorno: Oceans of Emotions (2023) - The Teskey Brothers
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sabato 8 luglio 2023

Tanta roba

Silvio Berlusconi lascia tanta roba, ma tanta sul serio. Una vertigine, uno sterminio, una tale infinità di soldi, aziende, ville, palazzi e ammennicoli che nell’immaginario italiano, ormai da più di trent’anni, supera la semplice dimensione contabile per entrare in quella incandescente e contagiosa del Mito. Dalla Bibbia, per intendersi, a Paperon de Paperoni che si tuffa e fa il bagno nelle monete. E questo anche perché ai veri miliardari “la ricchezza non basta — ha scritto sull’Avvenire Luigino Bruni, economista e grande esegeta delle Scritture: — i veri potenti hanno bisogno che la loro ricchezza sia vista, lodata, invidiata, e quindi deve essere eccessiva, dissipata, sprecata in cose inutili. Perché in realtà, per loro, essere ricchi e potenti è troppo poco: vogliono essere Dio, esseri divini e come tali adorati e venerati dai sudditi. Il vitello d’oro dell’Antico Testamento — continua Bruni — non è solo l’icona dell’oggetto, ma anche l’immagine del soggetto idolatrico, di chi, una volta conquistati tutti i beni, avverte invincibile il desiderio del bene finale, escluso ai mortali in quanto prerogativa degli dei. E così tenta quest’ultimo folle volo…”. Ma zàc, e addio Cavaliere! Posto che Berlusconi è stato troppe cose per essere ridotto alla sola ricchezza, occorre riconoscere che la sua non è mai apparsa avara e anzi, come ammesso di recente da Pierluigi Bersani (gemello astrologico di Silvio), è stato capace “di trasmettere una certa generosità”. D’altra parte è pur vero che il Cavaliere era consapevole che la sua conclamata munificenza lo rendeva diverso da chiunque altro rientrando a pieno titolo nella sua concezione di sovrano. Per cui da sempre ha operato in pubblico come un assiduo e magnifico donatore. Natali, capodanni, compleanni, cerimonie di fine legislatura, premi per i collaboratori (con Dell’Utri non si pensi mica che è la prima volta), ricompense per le amichette (ciò che gli ha creato un sacco di guai); ogni occasione era buona e Berlusconi regalava automobili, appartamenti da Milano a Palermo, gioielli, costosi bracciali, un tempo palmari e poi telefonini per i suoi parlamentari, una volta anche un tapis-roulant a ciascuno. […] Molti ne hanno certamente approfittato; ma il Cavaliere ha sempre ignorato tanto i numerosi vampiri quanto i furboni. Altre contingenze minacciavano il suo patrimonio. Perciò continuava a far scorte di regali prevedendo occasioni e opportunità. Ha raccontato l’avvocato Ghedini dopo l’impiccio di Noemi, quando il gioielliere Damiani venne convocato ad Arcore e il Cavaliere “si mise lì, paziente, a ordinare: 30 collanine, 20 ciondoli, 40 bracciali. Berlusconi — insisteva — è fatto così, gli piace sorprendere e gratificare”. Forse c’entra poco, o forse è una pretesa eccessiva cercare di capire oggi se nell’ultimo regalo della sua vita è riuscito a sorprendere e gratificare tutti e cinque i figli intorno ai quali, a partire dalla prima lettera di Veronica (gennaio 2007) s’era venuto a creare, nei criteri di ripartizione tra primo e secondo letto, un discreto, ma stringente groviglio ereditario. Nel frattempo l’eccezionale e debordante ricchezza di Berlusconi ha cessato di essere di un solo uomo. Finisce il Mito, inizia lo spezzatino del vitello d’oro.

Filippo Ceccarelli, la Repubblica (7/7/2023) 

Canzone del giorno: The Big Money (1985) - Rush
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venerdì 7 luglio 2023

Testamento aperto

 

Claudio Cadei, da google.it













Canzone del giorno: Il testamento di Tito (1970) - Fabrizio De Andrè
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martedì 4 luglio 2023

Generazione della rinuncia

Cosa succede se le nuove generazioni perdono la fiducia nel futuro e nella possibilità di cambiare il mondo? Se il loro desiderio si spegne? In Francia, l'uccisione da parte della polizia del diciassettenne Nahel è stata la miccia che ha acceso la rabbia latente di tanti ragazzi. Combinandosi con il senso di discriminazione razziale e la forte contrarietà già presente verso il decisionismo di Macron, il disagio generazionale si è reso evidente in una forma distruttiva. In Italia (con un tasso di abbandono scolastico del 13% tra i più alti d'Europa e un esercito di 2 milioni di under 30 che non studiano né lavorano), il disagio diffuso delle nuove generazioni si manifesta in una forma meno eclatante, ma non per questo meno preoccupante. Psicologi e servizi sociali segnalano l'aumento di forme gravi di ritiro sociale, e più in generale di uno stato ansiogeno che diventa un vero fattore di blocco per tanti ragazzi. Le dipendenza sono diffuse (alcool, droghe, videogiochi, azzardo), gli episodi di violenza di gruppo ripetuti, le relazioni affettive fragili e ritardate, il lavoro tenuto a distanza. I turni, lo stress, la fatica fisica: le imprese si stanno accorgendo quanto sia complicato trattare con i più giovani che, anche di fronte a una proposta di lavoro, valutano solo i «contro» (che in moltissimi casi superano i «pro», questo va detto) e declinano. Relegata in una condizione di instabilità cronica, da cui peraltro non ha fretta di uscire, buona parte della coorte giovanile contemporanea si dispone lungo uno spettro che va dal disagio acclarato alla disaffezione nei confronti del mondo circostante. Non protesta, ma ha distacco e disillusione. Una generazione che è nella condizione di poter desiderare, sembra incapace di farlo. E la società degli adulti certo non aiuta. Chi è nato negli anni 2000 è cresciuto in un mondo instabile. Prima la lunga stagione di difficoltà provocata dai dissesti finanziari del 2008; poi la pandemia e ora la guerra in Europa. Per le ultime generazioni, il mondo è pericoloso e il futuro fuori controllo. Mentre gli effetti a medio - lungo termine del cambiamento climatico sono vissuti fatalisticamente: «Saremo noi a pagare il conto di chi ci ha preceduto». In buona sostanza, i giovani - numericamente pochi - pensano di aver ereditato un «bidone»: un mondo avariato, intrattabile e per di più refrattario al cambiamento. Questa sfiducia di fondo si combina col benessere a cui i giovani, anche quelli delle fasce più marginali, possono in un modo o nell'altro accedere. Livelli di consumo più che soddisfacenti sono garantiti dalla famiglia, dalla possibilità di lavoretti più o meno precari o (specie al sud) da qualche forma di sussidio pubblico. Senza dire che, di norma, i ragazzi arrivano fino ai 20-25 anni senza nessuna esperienza concreta (lavoro, volontariato, responsabilità) dentro la bolla di una scuola (per chi la frequenta) che rimane ingessata e astratta. I social (accusati da Macron di aver fomentato la rivolta) hanno un peso importante, anche perché nessuno ha educato al loro uso. Soprattutto dopo il lockdown, l'abitudine a stabilire rapporti a distanza filtrati dallo schermo fa perdere competenze relazionali essenziali per il saper vivere. Grande è la tentazione di rimanere all'interno di un mondo virtuale fatto a propria immagine e somiglianza, in cui l'incontro con l'altro reale non avviene mai. D'altra parte, in una società come quella italiana, con una mobilità sociale bloccata da anni, in cui le posizioni più interessanti sono stabilmente occupate da generazioni che invecchiano molto più tardi, è difficile per un giovane immaginare di farcela. E d'altra parte, in un mondo in cui è la figura stessa dell'adulto a essere evaporata e/o deludente, non è chiaro per quale ragione si debba desiderare di diventarlo. E in un mondo in cui sia l'esperienza famigliare che quella lavorativa sono del tutto scomposte, non è scontato per i ragazzi avere dei punti di riferimento saldi. Così, le gerarchie sociali sono completamente risegnate: mentre crolla l'autorevolezza dei genitori, degli insegnanti, dei politici, visti come già superati dall'innovazione incalzante, i nuovi riferimenti sono figure mediatiche idealizzate (campioni sportivi, youtuber, influencer, personaggi della moda e dello spettacolo). Di fronte a un mondo che non capiscono e non amano, molti ragazzi si sentono soli. Incapsulati in piccole nicchie di benessere, faticano a capire ciò per cui valga la pena vivere. E temendo la fatica e la frustrazione - a cui nessuno li ha educati - rifuggono il rischio della prova. Per questo, alla fine, si ritraggono. E la generazione della rinuncia. Non tutti sono così. Ci sono giovani meravigliosi che sono molto più avanti dei loro padri. Più intelligenti, più critici, più capaci, più consapevoli delle sfide da affrontare. Ma sono una minoranza. Molti di più sono quelli che si accucciano in una sorta di posizione fetale, che è insieme fuga dal mondo e fuga da sé. Il transito generazionale è a rischio. Anche senza esplodere come in Francia, da noi la questione generazionale è un problema serio e urgente.


Mauro Magatti, Corriere della Sera (4/7/2023)


Canzone del giorno: My Starless Sky (2023) - Graziano Romani
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domenica 2 luglio 2023

La profondità degli abissi

C'è chi insegue la sua occasione
C'è chi cerca d'esser miglioreC'è chi insegue il suo grande amoreE c'è chi insegue la sua ossessione
La veritàLa verità la so organizzareLa veritàSe servirà, si può travestireMi fido soloQuando vedo quello che fissiLa profondità degli abissiLa profondità degli abissi
Manuel Agnelli, La profondità degli abissi (2022)

Canzone del giorno: La profondità degli abissi (2022) - Manuel Agnelli
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sabato 1 luglio 2023

Playlist Giugno 2023

     1.      Lou Reed, Nobody’s Business – (Conely Island Baby – 1976) – Emergenze

2.      John Lennon, Woman Is The Nigger of the World – (Some Time in New York City  1972) – La viltà dei violenti

3.      Supertramp, Know Who You Are – (Famous Last Words – 1982) – Come noi

4.      Nick Drake, Pink Moon – (Pink Moon – 1972) – Formicai

5.      Negrita, Vertigine – (Radio Zombie – 2001) – Implosione tunisina

6.      Tom Waits, Closing Time – (Closing Time – 1973) – Berlusconi

7.      Paolo Conte, Pomeriggio zenzero – (Amazing Game – 2016) – Pomeriggio

8.      Papa Roach, Snakers – (Infest – 2000) – Rapito

9.      Bad Company, Live For The Music – (Run With The Pack – 1976) – Live For The Music

10.   Elisa, Un filo di seta negli abissi – (L’anima vola – 2013) – Abissi

11.   Uriah Heep, Bird Of Pray – (Salisbury – 1971) – Ammutinamento

12.   The Black Keys, Things Ain’t Like They Used to Be – (Attack & Release – 2008) – Multipolare