nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 15 luglio 2023

Fratelli di riccanza

Sono bastati dieci giorni di fuoco per mettere in crisi quello che Giorgia Meloni ha di più caro: il suo racconto. Il berlusconismo decadente e crepuscolare degli ex “berluscones” di destra finiti nell’occhio del ciclone della giustizia – Apache La Russa e suo padre Ignazio, Daniela “Pitonessa” Santanchè e Vittorio Sgarbi sessista – è per la leader di Fratelli d’Italia come la krypronite per Superman: un veleno che si inocula nel sistema immunitario, fiacca ogni energia, distrugge la narrazione della destra nazionale, moderna, conservatrice, «underdog», madre e donna,  peggio delle cluster bombs di Joe Biden. «Non sono ricattabile», ruggiva la Meloni il giorno in cui il Cavaliere l’aveva sfidata, raccogliendo così le simpatie trasversali di tanti italiani di destra, ma anche di sinistra. Vero: lei non è ricattabile, ma “loro” sì. Giorgia è romana, proletaria, cresciuta in una famiglia di sole donne, temprata nella sobrietà (la sua adorata Mini, il rifiuto della scorta), l’apologia della militanza. “Loro” sono nordici, maschilisti e talvolta misogini (Sgarbi ha fatto indignare la regista Cristina Comencini), appariscenti (Filippo Facci ha fatto giochi di parole sullo stupro), inguaiati con la magistratura (e non certo per un complotto): i berluscones amano la bella vita, le belle macchine, le cose di lusso, le bottiglie millesimate, svuotate nei locali “fighi”. […] Oggi gli eredi del Msi popolare cresciuto nel mito dell’onestà si ritrovano impantanati nella guerra ai magistrati. E la Meloni, che si è portata a Palazzo Chigi il sobrio e rigoroso magistrato Alfredo Mantovano, adesso è costretta a tacere sul caso La Russa e a vergare note informali di Palazzo Chigi, dopo essere stata scottata (anche) dal rinvio a giudizio di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia ed esponente della cosiddetta “generazione Atreju”, ovvero la nidiata di Azione Giovani. Solo che la rivelazione di Delmastro al suo onorevole compagno di casa, nonché coordinatore nazionale di Fdi, Andrea Donzelli sembra una storia da studenti fuorisede, e la simpatia di cui gode un po’ ovunque il deputato (celebri sono suoi collegamenti provocatori a L’Aria che tira) non è intaccata.  Il caso Santanchè, invece, sembra fatto apposta per rinnovare tutti gli stereotipi della Casta: la ministra si prende la macchina di lusso in comodato d’uso (77mila euro l’anno!), poi però impone alla scorta di usare la sua e non quella di servizio, poi raccoglie 450 multe nell’area B di Milano (e non le paga). Dice la Santa: «É l’auto di servizio». La ministra imprenditrice ha anche ottenuto 2,7 milioni di euro di prestito dallo Stato (ma i suoi curatori spiegano che non lo rimborserà perché non ha i soldi) ma secondo l’inchiesta di Report ha pompato solo poco meno. E poi ancora Santranchè dice al Senato che la società fallita non è sua, ma si scopre che in realtà la controlla (con un patto para-sociale) e con il compagno dal nome creativo e persino suo figlio (con l’ex dipendente un po’ acida che ricorda: «Siccome non sapeva bene cosa fare chiamava la mamma al telefonino davanti a noi»). 
Ecco, provate a immaginare cosa c’entra tutto questo con la Meloni. Poco o nulla. Ma adesso, la prima presidente donna, deve affrontare il primo virus misogino contratto dalla sua creatura politica. Qualunque scelta – sia parlare che tacere – come cantava il suo amato De André – è una ferita: «E per tutti/ il dolore degli altri/ è un dolore a metà».

Luca Telese, Tpi.it (14/7/2023)

Canzone del giorno: Until The Levee (2015) - Joy Williams
Clicca e ascoltaUntil....