nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 22 aprile 2024

Buon acoltatore


Un buon ascoltatore di solito sta pensando a qualcos'altro. 

Kin Hubbard (1868 - 1930)

Canzone del giorno: Stillness Of Heart (2001) - Lenny Kravitz
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venerdì 19 aprile 2024

Accade in Iran

C’è una legge, non scritta ma ferrea: se si vuole rendere popolare una qualsivoglia causa, occorre avere cura, preliminarmente, di procurarsi come nemici, avversari, lo Stato d’Israele o gli Stati Uniti d’America. Meglio se entrambi. La conferma viene dall’Iran. Non ci si riferisce, qui, a quello che organizza e sostiene fuori dai suoi confini. Si parla di quello che si consuma tutti i giorni ai danni del popolo iraniano, tra la sostanziale indifferenza della comunità internazionale. Le prigioni dell’Iran, denunciano unanimi le organizzazioni che si occupano di diritti civili e umani, sono veri e propri «centri di uccisioni di massa». Nel solo 2023 si sono censite ufficialmente 853 condanne a morte; oltre la metà, 481 per esattezza, per presunti reati di droga. È il numero di esecuzioni più alto dal 2015. Una vera e propria carneficina; per il 2024 non andrà meglio, visto che alla data del 20 marzo sono 95 le persone condannate a morte. Nel 2023 le autorità iraniane hanno intensificato l’uso della pena di morte per seminare la paura nella popolazione e aggrapparsi al potere all’indomani della rivolta «Donna Vita Libertà». Così la pena di morte viene applicata su larga scala al termine di processi di assai dubbia regolarità. I Tribunali rivoluzionari decidono la vita o la morte di centinaia di persone Le autorità iraniane rifiutano di rendere pubblici i dati sulle esecuzioni, molte delle quali avvengono in segreto. Almeno 520 delle 853 condanne a morte eseguite nel 2023 sono state emesse dai «Tribunali rivoluzionari»: hanno competenza su un’ampia serie di reati, non solo quelli legati alla droga. Di loro competenza tutte le attività considerate «reati contro la sicurezza nazionale». Praticamente su tutto. In Iran si può essere condannati a morte anche per adulterio, blasfemia, «apostasia» e in generale per «offese al profeta Maometto». Non sono tribunali indipendenti, sono pesantemente influenzati dalle forze di sicurezza e dai servizi d’intelligence, usano regolarmente «confessioni» estorte con la tortura. Non c'è accesso alla rappresentanza legale. Dal 2023 si registra anche uno sconcertante aumento delle condanne a morte nei confronti di minorenni. Particolarmente perseguitata risulta essere la minoranza baluci. I prigionieri di quest'etnia costituiscono circa il 20 per cento dei condannati a morte. Se queste cose accadessero in Israele o negli Stati Uniti, anche una decima parte, sarebbe un fiorire ovunque di proteste, manifestazioni, inviti al boicottaggio sotto ogni forma. Accade invece in Iran. La cosa, dunque interessa poco e pochi.

Valter Vecellio Italia Oggi (11/04/2024)


Canzone del giorno: Indifference (1993) - Pearl Jam
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giovedì 18 aprile 2024

Echoes in the Dark


Echi nell'oscurità

Ho sentito gli echi nell'oscurità,

voci fioche e lontane del passato

E ho visto così lontano nella notte

E ho indugiato nella terra senza luce.


Ben oltre le ore avvolte dell'alba

Sono nato attraverso la nebbia dell'alba

Ma il giorno era ancora offuscato dalla notte

Lasciandomi nella terra senza luce.

 

Uriah Heep, Echoes in the Dark (The Magician’s Birthday – 1972)


Canzone del giorno: Echoes in the Dark (1972) - Uriah Heep
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lunedì 15 aprile 2024

Due nemici

Due nemici si affrontano nel Medio Oriente odierno: Iran e Israele. Lo si capiva prima che cominciasse la guerra in corso da sei mesi a Gaza, lo confermano ora le voci, diffuse da fonti americane, di un possibile imminente attacco di Teheran a Gerusalemme con droni e missili, in risposta al raid israeliano dei giorni scorsi contro l'ambasciata iraniana di Damasco. La guerra nella Striscia tra le forze dello Stato ebraico e i jihadisti di Hamas è solo un fronte di questo più ampio conflitto: si può anzi dire che sia scoppiata in questo momento proprio come conseguenza della contrapposizione fra Iran e Israele. Riavvolgendo il nastro degli ultimi sei mesi, è infatti necessario ricordare che, prima del 7 ottobre, il piano americano per una storica pace fra Israele e Arabia Saudita, tassello decisivo degli accordi di Abramo firmati in precedenza da Gerusalemme con altri quattro Paesi arabi (e, prima ancora, delle relazioni diplomatiche stabilite da Gerusalemme con Egitto e Giordania), era percepito come una minaccia mortale dagli ayatollah di Teheran. […] Ma Hamas non è l'unico attore della guerra che l'Iran combatte contro Israele. Lo sono gli Hezbollah, le milizie che dal Libano hanno ripreso una guerra contro il Nord dello Stato ebraico, costringendo 80 mila israeliani (l'equivalente di circa mezzo milione di persone in Italia) a lasciare a tempo indeterminato le proprie case. Lo sono i ribelli Houti dello Yemen, che con gli attacchi alle navi cargo nel mar Rosso hanno paralizzato il commercio globale e già provocato la risposta militare di Stati Uniti e Gran Bretagna. In sostanza, tre eserciti, Hamas, Hezbollah, Houti, finanziati e manovrati da Teheran, per colpire in diverso modo Israele. A questo punto, secondo le fonti dell'intelligence Usa, l'Iran potrebbe intervenire direttamente contro Gerusalemme, con il rischio di scatenare una guerra mediorientale ancora più ampia e il probabile coinvolgimento dell'America. […] Finora l'Iran era apparso riluttante ad alzare il livello dello scontro, perché stava già ottenendo quello che voleva con i propri eserciti surrogati. Adesso ci sarà una risposta più elevata e l'evoluzione dell'ennesima guerra mediorientale dipende da che tipo di risposta sarà. Ma bisogna tenere presente, per capire dove può portare il conflitto ed eventualmente come mettervi fine, che i veri nemici in campo sono Iran e Israele.

Enrico Franceschini, la Repubblica (13/04/2024)

Canzone del giorno: Enemies (2012) - Shinedown
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domenica 14 aprile 2024

Mediocre

È così mediocre che fa sentire mediocre anche te.

Roberto Gervaso (1937 – 2020)


Canzone del giorno: Mediocre Minds (1998) - Bad Religion
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venerdì 12 aprile 2024

Saper disinnescare

Rocco: "Però una cosa importante l'ho imparata"

Eva: "Cosa?"

R:"Saper disinnescare"

E: "Cioè?"

R: "Non trasformare ogni discussione in una lotta di supremazia. Non credo che sia debole chi è disposto a cedere, anzi, è pure saggio. Le uniche coppie che vedo durare sono quelle dove uno dei due, non importa chi, riesce a fare un passo indietro. E invece sta un passo avanti”.

dal Film "Perfetti Sconosciuti" (2016) di Paolo Genovese


Canzone del giorno: A Wave (2021) - Kings of Leon
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martedì 9 aprile 2024

La guerra delle parole

Nessuna guerra è giusta, ma nemmeno la più ingiusta delle guerre deve spegnere la conoscenza dell'altro (del "nemico"). Della sua arte, letteratura, musica, ricerca scientifica; ma anche delle complessità della sua politica interna. Per secoli l'Europa fu straziata da guerre che oggi paiono intestine, ma a nessuno venne in mente di vietare la circolazione delle idee e delle conoscenze, dei pittori, degli astronomi o dei violinisti. Perché allora, nel tempo guasto che viviamo, la guerra russo-ucraina dovrebbe spegnere la voce di Dostojevskij (come si è tentato di fare a Milano-Bicocca), o impedire la collaborazione fra musei russi e italiani? Perché le stragi di Gaza, risposta certo eccessiva al perfido attacco di Hamas del 7 ottobre, dovrebbero impedire il dialogo e la ricerca congiunta fra archeologi europei e israeliani? E perché mai dovremmo sentirci obbligati, tutti e uno per uno, a schierarci al 100% o con Israele o con i palestinesi? Da sempre fu massima arte politica analizzare i Paesi in guerra e le loro opposizioni interne: premessa indispensabile per ogni proposito di pace anche remota. Dilaga oggi, al contrario, l'impulso ad allargare a dismisura il raggio dei "nemici" da demonizzare: non solo Netanyahu e il suo governo, ma l'intero popolo d'Israele, anche gli oppositori; non solo gli israeliani ma tutti gli ebrei. Occhio per occhio, dente per dente: e sul versante opposto si accusa di antisemitismo non solo chi lo professa inalberando svastiche e giustificando Auschwitz, ma chiunque critichi l'espansione dei coloni israeliani oltre quanto ratificato negli accordi di Oslo, chiunque disapprovi il cinismo politico di Netanyahu. Queste culture wars incidono profondamente nella sfera pubblica. […] La violenza dei tempi che attraversiamo spiega la durezza dei linguaggi, incoraggia gli eccessi. Ma non giustifica l'adozione di categorie di giudizio storicamente infondate, e men che mai la tendenza a tradurre l'indignazione, anche se motivata, in terminologie scagliate contro gli avversari a mo' d'insulto. Le parole sono cose, sono fatti, sono sentimenti ed esperienze. Usandole impropriamente si logorano, vanno soggette a inflazione, perdono il senso che avevano acquistato con la sofferenza e la morte senza dignità di milioni di esseri umani. Perciò è doloroso che due termini fino a ieri quasi sinonimi, "antisemitismo" e "genocidio", siano oggi usati l'un contro l'altro: la devastazione di Gaza diventa "genocidio", chi la condanna diventa "antisemita". In ambo i casi, per esprimere un'opinione comunque difendibile si ricorre a una parola-slogan che confonde le acque. L'atroce accusa di genocidio (dei palestinesi) è una terribile ritorsione non solo per Netanyahu, ma per tutti gli ebrei del mondo, anche quelli che detestano Netanyahu vivendo ogni giorno la memoria della Shoah. Considerare "antisemita" chi non condivide l'attuale politica di Israele, per converso, equivale a etichettare come nazifascista ogni suo oppositore. Queste definizioni urlate rimuovono la natura squisitamente politica del problema e l'analisi delle soluzioni possibili, come quella dei due Stati. Ma chi condanna il governo Netanyahu per i 32mila morti di Gaza non è perciò stesso "antisemita". Non lo è Eshkol Nevo quando dice che "diventare malvagi e crudeli quanto Hamas vuol dire far vincere Hamas", non lo sono le decine di migliaia di israeliani che scendono in piazza contro il loro governo. Quanto a "genocidio", tale fu il progetto di sterminare sistematicamente un popolo perché razzialmente "inferiore", come il nazifascismo fece con sei milioni di ebrei, e intendeva fare con tutti gli altri. Nemmeno Netanyahu ha mai proclamato l'intenzione di uccidere tutti i palestinesi in quanto razzialmente tali, e chiamare "genocidio" l'indebita espansione dei coloni israeliani nella West Bank scatena le passioni ma non ha sostanza storica. Il bombardamento anglo-americano di Dresda (1945), senza obiettivi militari, uccise da 30 a 40.000 persone distruggendo la città storica. Fu una strage e una colpa, ma non un genocidio: perché l'intento era vincere una guerra, non sterminare tutti i tedeschi. La violenza della guerra genera violenza sulle parole. Ma violenza sulle parole vuol dire violenza sulla storia. Vuol dire imporre l'oblio del vero (del passato) per sostituirlo con gli slogan di un presente onnivoro.

Salvatore Settis, La Stampa (3/4/2024)


Canzone del giorno: Le parole più grandi (2015) - Coez
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