nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 29 marzo 2024

Rimozioni

È la quinta primavera inquieta. Dopo due anni di impennate del Covid (2020 e 2021), la guerra in Ucraina (2022-2024). Dal 7 ottobre 2023 c’è anche la tragedia in Israele e a Gaza, ovviamente. E poi gli attacchi nel Mar Rosso. Ora la carneficina di Mosca, dalle conseguenze imprevedibili. La reazione di quasi tutti noi? Usciamo, lavoriamo, vediamo amici e parenti. Parliamo di soldi, andiamo a passeggio. Giochiamo col telefono. Seguiamo le nostre piccole celebrità. Programmiamo le vacanze di Pasqua e quelle estive. Non è una fuga: è un calmante.  L’impressione è che sia in corso una sottile, metodica, inconfessabile rimozione. Quando il peso è eccessivo, la mente trova il modo di scaricarlo. Una legittima autodifesa, non priva di conseguenze. Se non comprendiamo la gravità del momento, e i rischi che corriamo, non troveremo la forza di organizzarci e reagire.  Non siamo di fronte alla «chiusura della mente italiana», parafrasando il titolo di un bestseller americano di qualche tempo fa. Ma l’ansia collettiva porta una distrazione progressiva. Uno spostamento tattico dell’attenzione. Cerchiamo consolazione nelle consuetudini, nelle famiglie, nella stagione. La capacità terapeutica della primavera italiana è indiscutibile. Poi, in estate, verranno le ombre, le pergole, i prati, le spiagge, le acque e le terrazze. I precari delle metropoli del mondo, gli immigrati ammassati nelle periferie non possono permettersi il lusso della preoccupazione, ha spiegato su La Lettura l’argentino Miguel Benasayag, filosofo d’ispirazione rivoluzionaria. D’accordo: ma tutti gli altri? I cittadini degli Stati Uniti d’America sono lontani dalle conflagrazioni del pianeta e sono attesi da una scelta epocale (riprovare Donald Trump?). Ma noi, cittadini degli Stati Esauditi d’Europa, che attenuante abbiamo per la nostra distrazione Prendiamo la guerra in Ucraina. A parte pochi fanatici, tutti vorremmo la pace. Il problema è: come ottenerla e mantenerla? Ha detto Anne Applebaum a Lorenzo Cremonesi (Corriere, 24 marzo): «È ingenuo pensare che esista un lato gentile e cordiale di Putin, e sta a noi coltivarlo». Eppure molti italiani accarezzano questa illusione. Rimuovono i fatti: Vladimir Putin, venticinque mesi fa, ha scatenato la guerra perché voleva l’Ucraina. Se non fosse stato respinto — con le armi — due anni fa sarebbe arrivato a Kiev. Qualcuno può negarlo? Il pensiero della guerra disturba e vogliamo allontanarlo: comprensibile. Ma proviamo a ragionare, anche se costa fatica. Se abbandoniamo l’Ucraina, Putin la sottometterà. Siamo certi che si fermerà? Potrebbe avanzare pretese sui Paesi Baltici, sovietici fino al 1991, abitati da minoranze russe. Anche quello gli lasceremmo fare? E se, poi, un giorno toccasse a noi? Come reagiremmo? A questa domanda — teorica, per ora — pochi vogliono rispondere. Anzi, si irritano se qualcuno osa porla. Ma, se non affrontiamo la questione, l’idea (costosa) di rinforzare la difesa comune europea non troverà mai un sostegno popolare. Ascoltiamo continuamente l’invocazione «Basta armi!». Sarebbe meraviglioso, ma ripetiamolo: se ci attaccano, come ci difendiamo? Se in vita nostra non è mai accaduto, è perché siamo protetti da un’alleanza solida, la Nato. Parlare della sua utilità rende impopolari: meglio invocare una generica pace, senza spiegare come garantirla. Rimozioni, illusioni, piccole consolazioni: una combinazione che rischia di costarci cara. Siamo i sovrani del regno di noi stessi. In un piccolo libro di Diego Marani, L’uomo che voleva essere una minoranza, il protagonista sogna «un confine portatile da tracciare intorno a sé per tenere fuori tutti gli altri». La tentazione esiste: case, famiglie e città sono, insieme, luoghi e scudi; forniscono un senso di protezione. Così le abitudini, le tradizioni, l’identità (la politica lo sa, e ne enfatizza l’importanza). Ma tutto ciò non basta, di fronte a guerre, catastrofi e pestilenze. Fino a qualche anno fa, potevamo provare a liquidarle con un’alzata egoista di spalle. Oggi non è possibile: il rumore del futuro è forte e incredibilmente vicino. Turarsi le orecchie non basta. Occorre usare quello che sta nel mezzo: il cervello.

Beppe Severgnini, Corriere della Sera (25/3/2024)

Canzone del giorno: Mi sento bene (2021) - Salmo
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mercoledì 27 marzo 2024

Zucchero e violenza


Mi sono avventurata e non ho trovato altro che zucchero e violenza.

Bella Baxter (Emma Stone in Povere creature  - 2023)


Canzone del giorno: Open Your Eyes (2010) - Andrew Belle
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lunedì 25 marzo 2024

Gli spettri del male

Come se si muovesse fuori dal tempo, ignorando la realpolitik occidentale del calendario gregoriano e il consenso dispotico dell'era putiniana giunta al suo venticinquesimo anno, la Jihad islamista è uscita dall'ombra in cui ci illudevamo di averla confinata per portare il terrore e la morte nel cuore della Russia, in una notte giovane di musica e di festa. Mancava solo il terrorismo: adesso tutti gli spettri del caos sono allineati nello scenario dell'ultima guerra in Europa, ultima in ordine di tempo ma anche in ordine di distruzione, visto che è ormai saltato l'interdetto universale che per decenni ci aveva impedito di traslocare gli arsenali nucleari dalla deterrenza al possibile utilizzo tattico della loro potenza. Non ci sono più filtri, istituzioni di garanzia, strumenti condivisi e accettati di regolazione dei conflitti. Siamo esposti di fronte al male, senza averne più una nozione comune, morale, politica o culturale: ognuno giudica per sé, misurando le sue paure e le sue reazioni, senza più la possibilità di una difesa comune. Solo il male nella sua minaccia resta universale. Putin due anni fa aveva dato inizio a questo ridisegno del mondo, scegliendo il ruolo di invasore per restituire alla Russia la cornice imperiale di sudditanza perduta con il dissolvimento dell'Unione Sovietica. Oggi l'assalto con le mitragliatrici alla periferia di Mosca dimostra che l'aggressore pub anche essere aggredito e ha dei punti di vulnerabilità, soprattutto quando tutta l'energia politica, militare, sociale del Paese è concentrata sul fronte ucraino e la gerarchia della sicurezza nazionale diventa scalabile dall'interno con il terrorismo.  […] Putin non insegue il comunismo smarrito, ma l'impero perduto. Per recuperarlo nel mondo nuovo disegnato dai vincitori della guerra fredda deve riscrivere la storia, e manipolare la geografia. Prova a spostare i punti cardinali del nuovo secolo: si separa dall'Ovest abbandonandolo alla deriva nell'Atlantico, e denunciando l'Europa vassalla degli Usa. Ingigantisce il concetto di Est inventando la creatura geo-strategica dell'Eurasia, un continente da unificare, il cui centro è la Russia nuovamente egemone dello spazio ex sovietico, e soprattutto pronta a trasformarlo in soggetto politico. Con questa operazione, Putin cancella Pietro il Grande che fondando San Pietroburgo apri alla Russia una finestra sull'Europa e sposta l'Est più a Oriente nell'alleanza con la Cina: facendo di Mosca nuovamente la capitale di un impero bifronte, e principalmente il ponte indispensabile tra Este Ovest. Resta il Sud, cui Putin ha già dato una dignità politica complessiva unificandolo nella figura del "Sud globale", invitato dal Cremlino a entrare nelle fratture aperte nel vecchio ordine del mondo per scalarne le gerarchie, con Mosca come lord protettore. Soltanto che il mondo non si lascia disegnare a piacere, e un attentato jihadista rivela le linee di fuga del progetto imperiale di "rivoluzione conservatrice", come la chiama il filosofo Aleksandr Dughin. La trasversalità orizzontale della minaccia terroristica attacca insieme le democrazie e il neo-autoritarismo Grande russo, l'Este l'Ovest, mentre la sfida del Cremlino all'Occidente rende oggi impossibile una coalizione organizzata contro l'Isis, lasciando Putin solo a fare i conti domestici con l'incoerenza del dialogo ravvicinato con Hamas e con l'Iran, come se il terrorismo concedesse eccezioni. E i conti in casa sono complicati dalla presenza in Russia di venti milioni di musulmani cui Mosca propone un patto di inclusione patriottica rifacendosi a Caterina II, ma riconoscendo il pericolo della predicazione costante e dell'infiltrazione clandestina dei testimoni di un islamismo radicale combattivo, di ceppo indigeno ibridato dall'Isis. Cosa dobbiamo aspettarci? Nel caos ci si può orientare solo a patto di mantenere viva la scintilla di una civiltà comune: altrimenti ognuno è vittima di un suo nemico, non riconosciuto dagli altri come tale. Forse è tardi, e quella scintilla è perduta. Ma se è così, Putin proprio oggi sentirà l'eco delle parole di Khomeini a Gorbaciov, nel gennaio 1989: "E chiaro come il cristallo che l'Islam erediterà le Russie".

Ezio Mauro, la Repubblica (25/3/2024)

Canzone del giorno: Tears (1994) - The Stone Roses
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venerdì 22 marzo 2024

Post Scriptum Film

Un altro ferragosto

REGIA: Paolo Virzì
INTERPRETI: Sabrina Ferilli, Laura Morante, Silvio Orlando, Christian De Sica, Vinicio Marchioni, Rocco Papaleo, Liliana Fiorelli, Lorenzo Balducci, Andrea Carpenzano, Gigio Alberti, Silvio Vannucci, Emanuela Fanelli, Paola Tiziana Cruciani, Anna Ferraioli
SCENEGGIATURA: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Carlo Virzì
FOTOGRAFIA: Guido Michelotti
DURATA: 155'

USCITA: 07/03

Meglio non utilizzare mezzi termini. 
Un altro ferragosto” è un film impietoso e, in più tratti, volutamente spietato.

Probabilmente era proprio l’intento di Paolo Virzì.

Una volta deciso di riproporre, al giorno d’oggi e sotto forma di sequel, vita e vicende dei personaggi del suo “Ferie d’agosto”, film cult del 1996 premiato con il David di Donatello, doveva fare una scelta di campo per rappresentare le contraddizioni dei tempi attuali.

Oggi come quasi trent’anni fa, i due gruppi di persone dalle chiare differenze culturali e politiche, si ritrovano come vicini di casa a trascorre le loro vacanze estive all’isola di Ventotene.

Attraverso le difficoltà di una quasi obbligata convivenza, le situazioni che emergono e i comportamenti dei vari personaggi diventano, nel corso dei vari momenti della narrazione, la lente d’ingrandimento con la quale il regista indaga vizi (tanti) e virtù (pochissime) di tanti italiani.

Pellicola amara (forse fin troppo) che, grazie al nutrito cast di bravi attori e attrici (divenuti in questi decenni meritatamente famosi), riesce a delineare evidenze scomode, insoddisfazioni specifiche che, in una maniera o nell’altra, coinvolgono noi tutti.

Attraverso i contrasti fra i vari modi di pensare e di relazionarsi si possono raccontare i cambiamenti del nostro paese? Si può tentare di capire cosa veramente ci divide? Cosa ci unisce?

Paolo Virzì naturalmente non riesce a dare una risposta ai tanti interrogativi connessi con i rapporti relazionali della società contemporanea. Di sicuro sfoggia la realistica e penosa tendenza a dividerci in assurde fazioni, l’opprimente condizione che fa sì che i legami fra individui diventino sempre più privi di consistenza, caratterizzati da conflitti e deliri di ogni genere.

Film malinconico che sprigiona gioie illusorie e disperazioni di varia natura nel quale rimane imprigionato ogni personaggio e, forse, ognuno di noi.

Canzone del giorno: In Limbo (2000) - Radiohead
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giovedì 21 marzo 2024

Miss Russia 2024

Elle Kappa, da google.it


















Canzone del giorno: King And Queens (1977) - Aerosmith
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martedì 19 marzo 2024

E un giorno...

Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio

nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio,

la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato,

la paura e il coraggio di dire: " io ho sempre tentato,

io ho sempre tentato... "

Francesco Guccini, E un giorno… (2000)


Canzone del giorno: E un giorno... (2000) - Francesco Guccini
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sabato 16 marzo 2024

In perpetuo

Governare, si sa, non è uno scherzo. Serve molta abnegazione, energia mentale e capacità seduttiva. Oltre ad un pizzico di sano cinismo, come raccomandato da Machiavelli. Un fisico bestiale aiuta. Il potere produce potere, si autoalimenta in un vortice di eccitamento smisurato, in una tensione emotiva che alterna ferocia a mestizia. Una volta giunti all’incombenza, nello stordimento irresistibile del comando, difficile togliersi di mezzo. Piuttosto rimanerci in perpetuo, se possibile. Ecco perché non stupisce la richiesta del terzo mandato; più probabile e intuitivo che si debba insistere per il quarto e, forse, per il quinto, qualora si rendesse consono, magari invocando la continuità amministrativa, il completamento della missione, l’apprezzamento degli elettori, la saggezza delle urne. Abdicare non è previsto. Lo fece Carlo V, stufo di dominare sul mondo intero, mica su una regione, e ancora prima di lui si dimise il pragmatico Diocleziano che in carrozza ripiegò sazio e felice verso la sua dimora di campagna. E tanti saluti. Certo ci vorrebbero altre motivazioni, ambizioni di vita desiderabili, affascinanti e meno scontate, o persino l’indubitabile privilegio di godersi gli affetti, di seguire i propri figli o fare bisbocce con gli amici. Ma se non sei Cincinnato, non se ne parla. L’unicità del proprio ego traboccante, orgoglioso, essenziale, lo proibisce. Ciò che imbroglia è la presunzione di disporre di una serie di abilità speciali, incommensurabili, precluse ad altri esseri umani, la certezza di ritenerli non all’altezza di ricoprire lo stesso mandato, di non possedere quella prestanza fisica e morale senza cui l’esercizio della funzione decade, l’autorità costituita si affloscia, l’incarico perde significato. Ovvio, nessuno meglio di loro sa comprendere e risolvere i problemi delle persone. Più che una questione di principio prevale il bisogno di esserci, l’adrenalina che sgorga irrefrenabile nel voluttuoso trambusto del presenziare. [...] I cittadini sanno perfettamente che bloccare a due mandati il governo delle regioni e dei comuni, proprio per la loro grande appetibilità, significa evitare il formarsi di consolidati e abnormi centri di potere. Che poi il limite dei due mandati dovrebbe valere per tutte le cariche elettive, comprese quelle dei parlamentari, sarebbe un vulnus da rimuovere e non da comparare. Un ricambio attivo della classe dirigente è dunque auspicabile per porre un freno all’insorgere di espressioni narcisiste e autoreferenziali ed evitare i rischi derivanti dalla protratta concentrazione di poteri trattenuti per un tempo prolungato nelle stesse mani. E lasciamo stare, per carità di patria, le intonazioni di giubilo dei propri accoliti che valgono esattamente zero, e alimentano forse pretestuosi e astuti fraintendimenti da parte di chi non vuole sentire ragioni per farsi da parte.

Carmelo Zaccaria,  Il Fatto Quotidiano (13/3/2024)

Canzone del giorno: Power (2020) - Ellie Goulding
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giovedì 14 marzo 2024

Commercio

Se bisognasse dire sempre la verità alla clientela, il commercio non sarebbe possibile.

dal film Cèsar di Marcel Pagnol (1936)


Canzone del giorno: Oggi vendo tutto (2013) - Giorgia
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lunedì 11 marzo 2024

Senza cellulare

Così è. Salgo sul treno, parto per un viaggio di quattro giorni, e quando mi siedo scopro di aver perso il cellulare. All'inizio sembro uno stupido, mi tocco la tasca mentre penso, non ci posso credere, come si dice adesso. Non può essere, ma lo è. Sono rimasto senza cellulare così come sono rimasto senza genitori e nonni: totalmente orfano comunicativo. In ogni caso, abituato a vivere fin da piccolo con la certezza che una buccia di banana sul pavimento, una saponetta nella doccia del carcere o un iceberg sulla rotta del Titanic siano sempre in agguato, cerco di prendermela con calma. Come dice il mio amico Élmer Mendoza, un saggio messicano del nord, originario di Sinaloa e connazionale della Regina del Sud, nella vita a volte perdi e altre volte smetti di vincere. Allora vediamo come andranno le cose, rifletto. Controllo dei danni. Con mia sorpresa, prima, e con mio sollievo, poi, il danno è minimo. Questo è quello che concludo dopo averci pensato un attimo. Analfabeta tecnologicamente come sono, la parte della mia vita affidata al cellulare è piccola. Se il mio lavoro e le mie esigenze fossero diversi, sarei senza dubbio obbligato, per imperativo categorico o come si chiama, a portare in tasca - o in mano, come ormai fanno quasi tutti - uno smartphone, Android, iPhone o come diavolo chiamano i dispositivi intelligenti che, paradossalmente, limitano tantissimo l'intelligenza dell'utente. In altre parole, finiscono per farci fidare di quelle chiacchiere con l'anima, il cuore e la vita, come canta il bolero, fino agli estremi della tossicodipendenza. Non usarlo per rendere il mondo migliore, che sarebbe la cosa ragionevole e carina da fare, ma guardarlo un'ottica estremamente pericolosa esclusivamente attraverso di esso. […] … sono su un treno, in viaggio, circondato da persone che parlano al cellulare e ho appena perso il mio ma porto comunque con me tutto quello che mi serve. Ad esempio, i biglietti del treno stampati a casa dal computer - ho visto troppe persone incaute bloccate all'imbarco, che puntavano disperatamente il dito sui treni e sugli aerei, perfino alle porte dei cinema. Anche le carte di credito che mi accompagnano sono divise tra il portafoglio e lo zaino, nel caso perdessi o mi rubassero l'una o l'altra, e porto con me anche una discreta quantità di contanti, perché in questo mondo di banche senza personale, i cosiddetti bancomat, bancomat e banche gestite da veri figli di p... che non ti garantiscono nemmeno la sicurezza, la plastica è responsabilità del diavolo. Inoltre, in questo modo nessuno potrà localizzarmi o hackerarmi. E bene. Cosa posso dire. So benissimo, perché non sono un completo idiota, che tutto questo, intendo dire il mio relativo sollievo oggi, è solo una trincea temporanea. Che a poco a poco - è più comodo così, sostengono i mascalzoni e gli idioti - quelli di noi che cercano di mantenersi relativamente liberi vengono messi alle strette, senza alternative, costringendoci a dipendere sempre di più dai meccanismi suicidi che prendono il sopravvento sul mondo. Ma ascoltate: siamo mulattieri. Nessuno potrà toglierci l'ultima risata quando tutto andrà a rotoli.

Arturo Pérez-Reverte, Il Giornale (11/12/2023)

Canzone del giorno: Crazy (2017) - Nina Massara
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sabato 9 marzo 2024

All Connected

Perché prendere tutto a cuore

Quando poi per una goccia di pioggia cadi a pezzi

Affronta gli alti e bassi con calma

Spesso lascia che le cose vadano avanti

Non c'è dove puoi correre

Non c'è dove puoi nasconderti

Siamo tutti connessi

Connettendo tutte le nostre vite

Non sei mai fuori portata

Non sei mai fuori di testa

Siamo tutti connessi

Connettendo

Connettendo tutte le nostre vite

Yes, All Connected (2023)

Canzone del giorno: All Connected (2023) - Yes
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giovedì 7 marzo 2024

Sovversivo

Valentina Stecchi, da google,it


















Canzone del giorno: Amandoti (1990) - CCCP - Fedeli alla linea
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lunedì 4 marzo 2024

Punti neri

Trecento, tremila, tredicimila, trentamila morti. Cento persone affamate uccise dai colpi israeliani mentre lottavano per un sacco di farina o morte sotto la calca di chi, nella ferocia della battaglia quotidiana per sopravvivere, cammina sopra gli altri per cercare di sfamarsi, di sfamare, e resta schiacciato dai camion e dalla folla. C'è un punto, nella sensibilità di chi guarda le guerre dall'agio della lontananza, in cui i numeri diventano meri segni grafici. Nessuno di noi, chiudendo gli occhi, può figurare trecento morti. Figuriamoci trentamila. Da cinque giorni, però, abbiamo nella testa l'immagine di un drone che dal cielo mostra dei punti neri che come formiche, disperate, velocissime, si avvicinano a un mezzo da Nord, da Sud, da Est, da Ovest. Quei punti neri sono esseri umani. Quell'immagine è la fame. E quella fame è il prodotto degli uomini, non del caso. I fatti sono noti. Alle 4.30 di giovedì scorso un convoglio di una ventina di camion, inviato tra gli altri da Qatar, Arabia Saudita ed Emirati, attraversa una postazione dell'esercito israeliano e si dirige verso Haroun Al Rasheed Street, nella parte occidentale di Gaza City. Lì, nel Nord della Striscia, dove sono bloccate ancora 300mi1a persone, i civili aspettavano la distribuzione. Secondo il Ministero della Sanità palestinese a Gaza, almeno 112 persone sono state uccise e 760 ferite. Per le autorità palestinesi le vittime sono state uccise a colpi di arma da fuoco in un massacro, mentre per l'esercito israeliano la maggior parte delle vittime è stata causata da una fuga precipitosa e dai camion che si allontanavano velocemente travolgendo le persone in attesa di cibo. […] Gaza era già un posto che viveva di aiuti umanitari e oggi, semplicemente, quegli aiuti non ci sono. Interrotti gli aiuti delle agenzie umanitarie per ragioni di sicurezza, bloccati i convogli ai valichi terresti. Gli esperti delle Nazioni Unite dicono da settimane che non hanno mai visto una tale quantità di civili soffrire la fame «così rapidamente e in modo così totale». Alla fine di febbraio, secondo i dati forniti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite da Ramesh Rajasingham, vicecapo dell'agenzia umanitaria Ocha, «almeno 576.000 persone a Gaza sono a un passo dalla carestia, equivale a un quarto della popolazione», e un bambino su sei sotto i due anni nel Nord di Gaza soffre di malnutrizione acuta e deperimento. Gaza è un luogo in cui quasi tutti i sopravvissuti devono limitare i pasti, scegliere chi mangi prima, i bambini, gli anziani e i malati, le donne. E chi si sacrifichi non mangiando. Non ci sono forni per fare il pane, non c'è abbastanza carburante per far funzionare gli ospedali e gli impianti di desalinizzazione, oltre un quarto dei pozzi d'acqua è andato distrutto, così come 340 ettari di serre. Non ci sono quasi più animali, più niente da macellare. Secondo la Fao i165%deivitellie il 70% dei bovini da carne sono morti. Gaza è diventata un luogo in cui i sopravvissuti hanno a disposizione meno di un litro di acqua potabile al giorno. Che significa esporsi a malattie, rischio di infezioni, che a sua volta significa epidemie. La domanda, di fronte a questa catastrofe umanitaria, è quale sarà la sorte di chi oggi ancora sopravvive. […] Il giorno dopo la strage degli affamati, l'aeronautica americana ha iniziato i lanci di aiuti umanitari su Gaza. L'avevano già fatto prima Giordania, Francia, Egitto, Emirati. Tre C-130 hanno sganciato 66 pallet, il corrispettivo di 38 mila pasti. Per dirla con le parole di Emile Hokayem, direttore per la sicurezza regionale presso l'Istituto internazionale per gli studi strategici, è stato «un segnale di virtù e un'ammissione di impotenza da parte degli Stati Uniti». Perle agenzie umanitarie lanciare aiuti dal Belo è costoso, inefficiente e totalmente inadeguato per sfamare due milioni di persone senza un posto dove andare: non si può sapere chi riceverà gli aiuti e chine sarà escluso. In più è rischioso, perché gli aiuti aerei arrivano senza preavviso sulle teste di centinaia di migliaia di persone che aspettano di sfamarsi e sanno che non ci sarà cibo per tutti. Sabato i container sono scesi dal cielo uno ogni 30-60 secondi, ognuno attaccato a un paracadute. Hanno raggiunto le coste di Gaza, dove ci sono meno edifici, una visuale migliore, e quindi maggiore possibilità per i civili di vederli arrivare. Dentro c'era cibo, medicine, pannolini, kit per l'igiene femminile. I video di quei momenti mostrano i civili guardare verso l'alto e poi correre sulla spiaggia, accalcandosi gli uni sugli altri per avere di che sfamarsi. Come i punti neri ripresi dal drone, venerdì. L'ennesima immagine di una popolazione imprigionata e affamata, che sopravvive mangiando semi e cereali per il bestiame. L'immagine di una carestia per le Nazioni Unite «quasi inevitabile» e di un negoziato che appare sempre più lontano.

Francesca Mannocchi, La Stampa (4/3/2024)

Canzone del giorno: Had to Cry Today (2004) - Joe Bonamassa
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sabato 2 marzo 2024

La Costituzione

La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità.  

Piero Calamandrei (1989 – 1956), Discorso sulla Costituzione – Salone degli Affreschi della Società Umanitari (Milano – 26/01/1955)


Canzone del giorno: Because You Loved Me (1996) - Céline Dion
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venerdì 1 marzo 2024

Playlist Febbraio 2024

     1.      20 Seconds To Mars, Alibi – (This Is War – 2009) – Memoria

2.      The Chambers Brothers, Time Has Come Today(The Time Has Come – 1967) – The Holdovers

3.      Marco Mengoni, Cambia un uomo – (Materia - Terra – 2021) – Trasformarsi

4.      The Smiths, Meat Is Murder – (Meat Is Murder – 1985) – Transizione ecologica

5.      Noemi, La luna storta – (La luna – 2018) – Er carattere

6.      Mark Knopler, Hill Farmer’s Blues – (The Ragpicker’s Dream – 2002) – Civiltà contadina

7.      Giovanni Allevi, Estasi – (Estasi – 2021) – Un bel dì vedremo

8.      Van Morrison, Higher Than the World – (Inarticulate Speech of The Heart – 1983) – Higher…

9.      Stevie Wonder, Evil – (Music Of My Mind – 1972) – Orrori

10.   Hozier ft. Brandi Carlile, Damage Gets Done – (Unreal Unearth – 2023) – Ambiente digitale

11.   James Brown, How Do You Stop – (Gravity – 1986) – Esperti istantanei

12.   Carey Bell, Let Me Stir in Your Pot – (Deep Down – 1995) – Avvocati dello zar

13.   Terence Trent D’Arby, Seasons – (Symphony or Damn – 1993) – Voto sardo