nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

giovedì 30 agosto 2018

Vicini

Vicini

- Quelli d'ombrellone risultano spesso più molesti rispetto a quelli di città, e servono proprio a rivalutare questi ultimi.

Giuseppe Culicchia (Vizionario - Donna moderna 15/8/2018)


Canzone del giorno: Io non voglio (2018) - Luca Carboni
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lunedì 27 agosto 2018

Eritrei

L’Europa sui migranti deve vergognarsi, vergognarsi, vergognarsi. Ciò detto e ripetuto: se l’88% degli africani a bordo della nave «Diciotti» sono eritrei in fuga da un regime tra i più repressivi del pianeta e in guerra da decenni, può Salvini sbarrare loro la porta? Disse: «I profughi veri van trattati coi guanti bianchi». Non si vede...
Era il 21 giugno scorso, quando il vicepremier leghista, in visita a Terni, disse quelle parole parlando «da ministro e da padre di famiglia». Spiegò che molti dei richiedenti asilo, a suo dire, imbrogliavano: «Solo 7 su 100 ne han diritto davvero» e al contrario di quanti «bivaccano in giro mentre gli paghiamo colazione, pranzo e cena», quei sette su cento «hanno in casa mia casa loro. Perché se scappano davvero dalla guerra vanno trattati con i guanti bianchi». Due mesi fa.
E non faceva una generosa regalia tra una fucilata e l’altra sugli immigrati. Glielo imponeva la legge. L’articolo 10 della Costituzione: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo». La convenzione di Ginevra del ‘51 da noi ratificata nel ‘54: ha diritto all’asilo chi scappa per il «giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni».
La stessa liceità o meno d’una politica muscolare sulla immigrazione che raccoglie di qua applausi e di là sgomento passa in secondo piano davanti al tema di oggi: i rifugiati hanno diritto o no a essere trattati non coi guanti bianchi, troppa grazia, ma secondo le regole della Carta? Perché nessuno, che si sappia, ha messo mai in discussione casi come quello degli eritrei. Non a caso riconosciuti come profughi, negli anni, con quote anche superiori al 90%. Soprattutto nei paesi nordici.(...)
...chi più degli eritrei (soprattutto quelli cristiani che più acutamente soffrono l’asfissia della dittatura nata marxista) ha diritto a chiedere (senza automatismi: chiedere) lo status di rifugiato in un paese come l’Italia che, stando alle ultime tabelle del Global Trends Unhcr, ha 2,76 profughi riconosciuti ogni 1.000 abitanti contro gli 11,5 della Svizzera, gli 11,7 della Germania, il 17,4 di Malta o i 23,7 della Svezia? E può bastare il sorprendente abbraccio di un mese fa fra Isaias Afewerki e il nuovo premier etiope Abiy Ahmed, figlio di un islamico e di una cristiana, a rassicurare gli eritrei sulla fine reale di una guerra un po’ rovente e un po’ fredda durata un’eternità?
Certo, gli stessi operatori umanitari e i diplomatici che operano in zona riconoscono che per i «tigrini» che vivevano in Etiopia non è stato difficile per anni spacciarsi per eritrei e godere d’un pregiudizio positivo. È successo. Non si sa in quanti casi, ma è successo. C’è un solo modo per scoprire chi fa il furbo: parlare con le persone, ascoltarle, farle interrogare da interpreti che conoscano la lingua, approfondire... Ma è difficile farlo, tenendo tutti al di là di una barriera.

Gian Antonio Stella, Corriere della Sera (24/8/2018)

Canzone del giorno: New Shoes (2006) - Paolo Nutini
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venerdì 24 agosto 2018

Pale

Non avrei mai pensato che la Regione Siciliana, con il saggio presidente Musumeci e gli assessori che furono miei colleghi, in particolare Alberto Pierobon, stanziasse 37 milioni per distruggere il meraviglioso paesaggio siciliano. Sono certo che lo hanno tutti nel cuore, a partire da Musumeci, ma, soggiogati da ridicoli precetti europei per seguire le mode che il nostro tempo concepisce, hanno pubblicato un bando che prevede 37 milioni per le fonti energetiche rinnovabili. Un crimine. Con tanto denaro che, come è sempre accaduto, ecciterà la fantasia criminale della mafia. Si illude Musumeci che gli interventi di pseudo-efficienza energetica consentano alle aziende siciliane di ammodernare i loro cicli produttivi. In realtà continua il martirio di luoghi bellissimi sottratti alla loro aura e alla loro integrità. Già in passato ci fu l’illusione di Priolo, cancro della Sicilia orientale. In realtà l’unica scelta intelligente fu, lo sa bene ogni siciliano onesto, l’istituzione dell’oasi di Vendicari, vicino a Noto, un’area molto simile a come dovrebbe essere il paradiso. Altrove le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici hanno sconvolto aree bellissime, Francofonte, Palazzolo Acreide, Mazara del Vallo, i Nebrodi. Ma non hanno gli occhi i politici siciliani? E i soldi dell’Europa possono veramente comprare il paradiso per distruggerlo? Fermatevi, amici! E convertite quei 37 milioni di euro in sostegno all’agricoltura, alle culture siciliane, alla vostra anima.

Vittorio Sgarbi, il Giornale - 23/8/2018

Canzone del giorno: Temporary Remedy (2003) - Ben Harper
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martedì 21 agosto 2018

Privatizzazioni

Il business delle privatizzazioni dei beni pubblici, nel corso degli ultimi venti anni, è stato analizzato in lungo e in lardo da studiosi, esperti ed economisti.
La regolamentazione del settore autostradale, approvata dal Parlamento italiano dieci anni fa attraverso la convenzione con la società legata alla famiglia Benetton, è oggi vista come la punta nefasta dell’iceberg generato dalla stagione delle privatizzazioni se la si accosta alla tragedia di Genova e alle tante problematiche del degrado infrastrutturale del nostro paese.
Nadia Urbinati (Repubblica del 17/8), docente nel Dipartimento di Scienze politiche alla Columbia University, riassume cos’è accaduto in questi anni: “Degrado etico e ambientale e caduta di responsabilità pubblica e politica verso i beni pubblici sono andati di pari passo. Sono anche l’esito di una politica radicale di privatizzazioni del patrimonio pubblico che dalla fine del secolo scorso ha segnato tutti i governi, al di là di sigle e maggioranze. E ha goduto di legittimità per l’incontro di due fenomeni concomitanti: la scoperta di tangentopoli e la conversione al liberismo della sinistra post marxista. (…) Tangentopoli sembrò giustificare la politica delle privatizzazioni con un argomento che era il perno della retorica thatcheriana e reaganiana: la politica tende a infiltrarsi dove ci sono risorse, togliendo le quali si toglierà incentivo alla corruzione. Meno Stato significava meno opportunità di corruzione”.
Naturalmente affinché ciò potesse realizzarsi l’impostazione del programma delle privatizzazioni, prevedeva (prevede?) una serie di vincoli necessari a evitare distorsioni nel processo di vendita (o di concessione), nonché l’applicazione di norme sulle condizioni di trasparenza e seri controlli.
Le imprese a partecipazione statale erano agonizzanti, la corruzione imperversava e, quindi, soltanto una classe imprenditoriale moderna, potrebbe eva sostenere adeguati investimenti per la gestione dei beni pubblici: “Maggiore efficienza delle imprese private e lotta alla corruzione – questo combinato doveva essere l’esito delle privatizzazioni. Il paradosso di fronte al quale ci troviamo – non oggi, ma che con Genova ha raggiunto livelli tragici – sta nel fatto che né l’efficienza né la neutralizzazione delle ragioni della corruzione sono seguite alla massiccia cura del dimagrimento del pubblico. (…) La questione è molto nostrana e mette in primo piano la decadenza etico-politico della nostra classe dirigente, statale ed economica. Controlli laschi o colpevolmente poco monitorati, persistenza di rapporti opachi in una pletora di agenzie e responsabilità che lasciano aperti ampi varchi alla corruzione: tutto questo impone di rivedere il rapporto tra pubblico e privato, per restituire al pubblico una funzione direttiva e di controllo diretto”.

Canzone del giorno: Cast No Shadow (1995) - Oasis
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domenica 19 agosto 2018

Riprendiamola

E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.
Riprendiamola in mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l’abbondanza.

Claudio Lolli, Ho visto anche degli zingari felici

Canzone del giorno: Ho visto anche degli zingari felici (1976) - Claudio Lolli
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venerdì 17 agosto 2018

Diagnostica

"Non è certo colpa della casualità né della topografia della fragile Genova. Io non so cos'è accaduto, posso dire però che non credo al fatalismo che considera incontrollabile l'anarchia della natura, dei fulmini e della pioggia. I ponti non crollano per fatalità. Nessuno dunque venga a dirci che è stata la fatalità". (...)
"All'opposto della fatalità c'è la scienza. L'Italia è un paese di grandi costruttori, progettisti geniali, scienziati e umanisti. E però non applicano quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica. In medicina nessuno fa niente senza una diagnosi. I ponti, le case e tutte le costruzioni vanno trattati come corpi viventi. In Italia produciamo apparecchiature diagnostiche sofisticatissime e strumentazioni d'avanguardia che esportiamo in tutto il mondo. Ma non li usiamo sulle nostre costruzioni. Perché? E non è un discorso di tecnica e basta. Solo con un approccio diagnostico si esce dal campo delle opinioni e si entra in quello delle certezze scientifiche. Io spero che il maledetto crollo di questo ponte ci faccia riflettere e ci faccia uscire dall'oscurantismo culturale del 'secondo me si fa così'. Per esempio con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo, proprio come avviene con il corpo umano: si comincia col misurare le temperature delle sue varie parti".

Renzo Piano (da un intervista a Francesco Merlo - Repubblica 15/8/2018)


Canzone del giorno: Screamin' And Cryin (1978) - Muddy Waters
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mercoledì 15 agosto 2018

Ponte Morandi

Solo la magistratura potrà dirci se nell’apocalisse di Genova ci siano o meno precise responsabilità umane, amministrative, politiche. Ma certo, per chi ha perduto un marito, una moglie, un fratello, un figlio in questa tragedia ripresa in diretta coi telefonini («Oddio! Oddio!») sarà difficile se non impossibile accettare certe rassicurazioni uscite in queste ore sul «quotidiano e scrupoloso monitoraggio» sulle condizioni strutturali del viadotto Morandi. Il cui crollo, tra l’altro, assesta un colpo durissimo a una città come quella della Lanterna già colpita negli ultimi anni da più eventi rovinosi e oggi spezzata in due, con danni gravissimi per tutta l’economia ligure.(...) Basti rileggere quanto diceva già nove anni fa lo studio «La Gronda di Genova» di Autostrade per l’Italia. E cioè che i calcoli fatti nei lontani anni Sessanta su quell’arteria ieri spezzata erano totalmente sbagliati: «Il tratto più trafficato è il viadotto Polcevera (Ponte Morandi) con 25,5 milioni di transiti l’anno, caratterizzato da un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni e destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni». Davvero sarebbe bastata, per il futuro, una «manutenzione ordinaria con costi standard»?

Gian Antonio Stella (Corriere della Sera - 15/8/2018)

Canzone del giorno: Purple Haze (1967) - Jimi Hendrix
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domenica 12 agosto 2018

Competenza

Se seguiamo le indicazioni del vocabolario Treccani, la parola "competenza" è da inquadrare, principalmente, nel mondo del diritto e, quindi, fa riferimento a coloro che possiedono "idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate questioni".
In modo più approfondito, su il Sole 24 Ore, il vescovo Nunzio Galantino parla di competenza come fondamentale risultato che viene fuori da una miscela fra conoscenza e abilità individuali: "Dal verbo latino cum-petere (cercare insieme, mirare a un medesimo obiettivo, gareggiare), la competenza indica la capacità degli individui di combinare i diversi elementi delle conoscenze (notizie, fatti, teorie, principi) e delle abilità personali per il raggiungimento di un risultato.
Il competente è una persona che «se ne intende», nel senso dell’essere entrato in un argomento in maniera tale da poterlo capire e maneggiare in maniera consapevole e “competente”, appunto. Il competente è tale solo se nel processo di trasferimento e di utilizzo delle conoscenze tiene conto del contesto e agisce in maniera autonoma, quasi spontanea".
Galantino evidenzia l'importanza dello studio approfondito perché in moltissime occasioni per riuscire a farcela non soltanto occorrono delle "capacitá" individuali ma soprattutto l'ausilio della conoscenza e la forza della cultura. Studiare per saper gestire il mondo o, per dirla con le parole di S. De Bignicourt,  «lo studio è il padre della competenza».
Proprio per tale motivo: "La competenza non si improvvisa e non si può inventare. Il competente trasforma la conoscenza in cognizione, padronanza ed esercizio; e le abilità in perizia e capacità. Le abilità senza conoscenze difficilmente si trasformano in competenza. In tutti i campi".
Il riferimento più immediato è al mondo della politica, ma sono tantissimi gli altri campi (la sfera scolastica, il settore imprenditoriale e tantissimi altri campi professionali) che non possono fare a meno di un'adeguata competenza sposata a brillanti capacità: “A me piace però la definizione più ampia di competenza fornita da Guy Le Boterf: «Un insieme riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato». Rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti possono essere riassunti col termine “risorse”. La persona competente, che usa le proprie risorse per gestire o affrontare in maniera efficace le situazioni, è una persona affidabile, stimata e riconosciuta fino a diventare essa stessa una risorsa indispensabile”.

Canzone del giorno: High Priestess (1971- Uriah Heep
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venerdì 10 agosto 2018

Ferramenta

Chiara: Cosa fate nella vita?
Giovanni: Be', noi... lavoriamo nella meccanica di precisione, tecnologie avanzate al servizio di progettazioni particolari e specifiche. Non so... "harware"...
Giacomo: Hardware!
Giovanni: Hardware e quelle cose... cioè, creiamo dei supporti che poi serviranno per progettare grosse situazioni, non so, mecc... Proprio... Strumenti di precisione per una svolta magari futura anche della meccanica... eh, non so se mi spiego...
Aldo: Sì, insomma... Abbiamo un negozio di ferramenta... Cioè, non è che il negozio di ferramenta è nostro... noi ci lavoriamo come commessi, come galoppini, insomma, come... come... sì...

Dal film Tre uomini e una gamba (1997) - regia di Aldo, Giovanni & Giacomo e Massimo Venier

Canzone del giorno: Average Guy  (1982) - Lou Reed
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mercoledì 8 agosto 2018

Caporalato

«Se non si crepa nei campi, lo si fa per strada. E bisogna pagare anche 5 euro per farsi trasportare dai furgoncini della morte». Yvan Sagnet, il camerunense di 33 anni che nel 2011, a Nardò, si ribellò ai caporali, conosce bene le campagne di Puglia. E il lungo filo rosso che le unisce, dal Salento alla Capitanata. Il rosso non è solo quello delle angurie e dei pomodori che in estate si raccolgono nell’entroterra della regione più conosciuta per le spiagge del Salento e del Gargano che per la piaga del caporalato. Il rosso è anche quello del sangue.
Una lunga striscia che negli ultimi tre anni ha un punto di partenza e un punto di arrivo. Entrambi tragici. Il 13 luglio del 2015 è il giorno in cui, nelle campagne di Andria, muore la 49enne Paola Clemente, la bracciante agricola tarantina stroncata nei vigneti dove lavorava per 27 euro al giorno. Dopo la morte di Paola inizia l’iter della normativa anti caporalato, che diventa legge nel 2016. A due anni da allora, però, si continua a morire per il lavoro nei campi. «Perché anche i 16 morti sulle strade di Capitanata di questi giorni – ed eccolo il punto di arrivo della striscia – sono conseguenza di un sistema marcio che si fonda sull’illegalità e lo sfruttamento». (...)
... i braccianti continuano a vivere nei ghetti e nei casolari di campagna, con l’unica eccezione di Casa Sankara, una struttura che può ospitare fino a 250 braccianti, a San Severo. Per il resto, il Gran Ghetto di Rignano, non appena chiuso dopo un devastante incendio nel 2017 (nel quale morirono due migranti), è stato sostituito da un altro adiacente, con meno braccianti (dai precedenti 2 mila si è passati a mille) ma in continua crescita. E a sud di Foggia continua a prosperare il ghetto di Borgo Mezzanone, dove lungo una vecchia pista di atterraggio abitano altri 1.500 immigrati.
Dall’approvazione della legge anti caporalato, quindi, poco è cambiato, almeno nella prevenzione, nei trasporti e nell’accoglienza dei migranti. «Passi avanti sono stati fatti nella repressione del fenomeno – spiega Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia – ma senza un deciso intervento pubblico per i servizi di accoglienza e trasporto pubblico, continueremo a contare vittime mentre le economie criminali ingrasseranno i loro portafogli».

Michelangelo Borrillo, Corriere della Sera (7/8/2018)

Canzone del giorno: Right Next Door To Hell (1991) - Guns N'Roses
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lunedì 6 agosto 2018

Magliette

Il rito dello scambio della maglia a fine partita è difficile. Non perché Matteo Salvini non sia sportivo. Ma ve lo immaginate mentre si toglie la t-shirt «Ruspe in azione» per mettersi quella rossa di Saviano, simbolo dell’accoglienza? Pure il fair play ha dei limiti.
Dalle felpe con i nomi delle città alle cravatte verdi, era dai tempi della bandana di Berlusconi che non si studiava così il look di un politico. Ma nella cabina armadio di Matteo, un’occhiata particolare lo meritano le magliette.
Diceva Balzac che «il bruto si copre, l’arricchito si addobba e l’elegante si veste». Il ministro dell’Interno invece indossa le sue idee e le sue passioni, i suoi nemici e il suo Pantheon. Il meccanismo è quello dei tatuaggi: uno per ogni idolo e per ogni fase della vita. Salvini ha fatto di se stesso una bacheca elettorale permanente e le t-shirt sono i suoi manifesti.
L’ultima polemica è stata sulla maglietta «Offence best defence», l’offesa è la miglior difesa, che sta all’estrema destra come le babbucce a Briatore. La risposta è stata un tweet con la polo del Brigata San Marco. Nell’era dell’iper-comunicazione in tempo reale, la propaganda veste largo. L’abito non fa il monaco, ma la maglietta può fare il politico. E può fare la differenza.
L’accusa è facile: è la maniera più superficiale di lanciare slogan e di avvicinare la «gente». I completi di sartoria sono da casta, il giubbotto di Renzi démodé: meglio una pelle di stoffa che cambia ogni volta a seconda della platea. Strategia populista e banale finché si vuole, ma rodata ed efficace. Ci sono immagini di un Salvini poco più che adolescente che sfoggia sul petto la foto di Bossi e la scritta «Mai mulà», mantra di una Lega che fu. Ci furono «Padania is not Italy» e «Prima il Nord», modelli della collezione celtica primavera-estate. Funzionavano, anche economicamente. Alle feste del Carroccio si vendevano come salamelle, facevano gruppo e squadra. Una t-shirt contro Pisapia e il gazebo si riempiva. Dunque perché non continuare, seppur su sfumature sempre meno verdi?
L’elenco è stucchevole, se ne scovano di ogni genere, da quelle della serie «Io sto con...» (con Stacchio, con la Polizia) a quelle della serie «Stop...» (Fornero, Invasione, Euro, Renzi). Hanno seguito l’evoluzione di Matteo da autonomista a sovranista. Ma spesso nemmeno sono sue, semplicemente gliele mettono in mano durante comizi e serate. La differenza è che altri sorridono e le lasciano lì, Salvini le indossa e le fa proprie, così come fa proprie le battaglie per gli operai di Fincantieri o per l’autonomia del Veneto. La reazione della gente è automatica: lui è uno dei nostri. E a forza di essere dei nostri diventa uno di tutti. Superficiale ma ad ampio raggio.
Riviste tutte insieme, sembrano la bacheca di un adolescente confuso e Salvini ne esce come uno Zelig indeciso fra Putin e la sagra del prosecco. Lunedì cattolico tradizionalista, martedì basco, mercoledì uomo d’ordine, giovedì ultras, venerdì papà orgoglioso della maglietta disegnata dal figlio. Si può storcere il naso e pensare che all’istituzione convenga di più una camicia. Ma non si può negare che funzioni. La politica è una giungla, l’habitat perfetto del camaleonte.

Marco Zucchetti, Il Giornale (2/8/2018)

Canzone del giorno: Chameleon (1974) - Elton John
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domenica 5 agosto 2018

Re


"Siediti al sole. Abdica e sii Re di te stesso".

Fernando Pessoa (1887 - 1935) - da "Una sola moltitudine" - a cura di Antonio Tabucchi





Canzone del giorno: Il Re del mondo (1979) -  Franco Battiato
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giovedì 2 agosto 2018

Compressa

Massimo Bucchi, da google.it












Canzone del giorno: Afterglow (1994) - Fates Warning
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mercoledì 1 agosto 2018

Playlist Luglio 2018


1.      Cheers Elephant, My Bicycle Ride  (Man Is Nature – 2011) – Rider
2.      I Ministri, Una Palude  (Per un passato migliore – 2013) – Gli altri
3.      Olivia Newton-John ft. Melida Schneider, Courageous  (A Celebration in Song  2008) – Audacia
4.      Chris Botti ft. Andrea Bocelli, Italia  (Italia  2007) – Italiano
5.      Radiohead, All I Need  (In Rainbows – 2007) – Provviste
6.      Annie Lennox, Ghosts of  The Machine  (Songs of Mass Destruction – 2007) – Vitalizi
7.      Keith Jarret & Charlie Haden, Goodbye  ( Last Dance  2014) – Franco Mandelli
8.      Pino Daniele, Pigro  (Passi d’autore  2004) – Pigro
9.      Gabin ft. Dee Dee Bridgewater, In my Soul  (Mr. Freedom  2004) – Otium
10.  Howard Jones, Is There A Difference?  (Dream into Action  1985) – Abusi
11.  Ryan Adams & The Cardinals, Numbers  (III/IV  2010) – Numeri percepiti
12.  Jason Isbell, Traveling Alone  (Southeastern  2013) – Imprecisioni
13.  Lucio Dalla, Scusa  (Ciao  1999) – Scusa