nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 28 febbraio 2020

Bersaglio

Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l'ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante.

Zygmunt Bauman (1925 - 2017), Paura liquida, p.153


Canzone del giorno: Easy Target (1987) - Heart
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mercoledì 26 febbraio 2020

La società del rischio

Viviamo dunque nella società del rischio. Come ci aveva insegnato, già molti anni fa, il grande sociologo Ulrich Beck. Per quanto potenti e ben organizzate, anche le società avanzate rimangono vulnerabili. La novità sta nella natura e nella portata dei rischi. A differenza del pericolo, che percepiamo attraverso i sensi, il rischio è più difficile da riconoscere e valutare. Della sua pericolosità sappiamo solo grazie agli strumenti di analisi di cui disponiamo. L’esperienza – personale e collettiva – non basta. Così, è vero che grazie alla scienza sappiamo molto di più e possiamo difenderci meglio. Ma questa maggiore consapevolezza ha anche un risvolto problematico. Il singolo cittadino non è uno scienziato. Per capire cosa sta accadendo deve affidarsi agli esperti che, in genere, hanno valutazioni diverse. Ma, soprattutto, il nostro cittadino è in balia di ciò che circola nella infosfera, dove ascolta le voci (variegate) delle istituzioni, della comunità scientifica, dei media tradizionali, dei social. In un marasma di notizie, più o meno accurate, tra le quali è difficile districarsi.
Quando il rischio si fa concreto, diventa emergenza. Come in questi ultimi giorni, quando il numero delle infezioni e dei morti da Covid-19 – pur limitatissimo – ha trasformato qualcosa di lontano in un fatto tangibile e vicino. Ecco che allora la paura cresce, spingendo verso un riordino delle priorità. Fino al punto – davvero impensabile fino a qualche giorno fa – di fermare tutto il Nord Italia.
Decisione giusta o eccessiva? La discussione è aperta.
Ma al di là di come la si pensi, sorge la domanda: non è che in assenza dell’urgenza normalmente siamo portati a sottovalutare altri fattori di rischio, magari anche più pericolosi (inquinamento delle nostre città, fumo, incidenti stradali, o più banalmente la tradizionale influenza)? Comunque sia, quando si fa emergenza, il rischio porta alla ribalta il grande rimosso della nostra società: la nostra fragilità di mortali. Da sempre la morte è qualcosa che fa paura e terrorizza. Ma quanto più viene rimossa, tanto più è probabile che il suo ritorno scateni reazioni incontrollate. Che in taluni casi possono arrivare fino alla violenza.
Il riscoprirsi vulnerabili è però anche una occasione per riscoprire quello che rischiamo sempre di dimenticare. Siamo tutti legati gli uni agli altri. E la solidarietà non è una sovrastruttura ideologica, ma il fondamento della stessa vita sociale. Lo abbiamo potuto constatare con drammatica evidenza in questi giorni: il contagio si diffonde da persona a persona. Attraverso un bacio, una stretta di mano, un abbraccio. O semplicemente condividendo una sala d’attesa o il sedile di un treno. Siamo tutti legati, e lo siamo sempre di più.

Mauro Magatti, Avvenire (26/2/2020)

Canzone del giorno: Take A Risk (2019) - Chris Brown
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lunedì 24 febbraio 2020

Dissennata

Tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell'arbitrio di un animo terrorizzato. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata. 

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65


Canzone del giorno: Panico (2013) - Fabri Fibra ft. Neffa 
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sabato 22 febbraio 2020

La terra

Ho sempre sentito il comandamento “Amerai il prossimo tuo come te stesso” come un imperativo ad amare anche la terra come me stesso. Non si può amare l’altro, il prossimo, senza amare la terra, perché l’altro sta di fronte a me e condivide lo stesso mio spazio, perché ha una vita che dipende dalla vita della terra e anche perché, come me, è terra: venuti dalla terra, torniamo alla terra. Ma che cos’è la terra che amo?
È la terra su cui cammino e vivo; è la mia terra delle colline coperte di vigne del Monferrato; è la terra morenica, boscosa e piena di grandi sassi in cui abito; è la terra del mio orto; è la terra che sa generare la vita e accoglie la morte. Il mio è un amore viscerale, tanto che a volte mi sembra di poter abbracciare la terra e che essa possa ascoltare le mie confessioni di passione per lei. Non è una dea, ma è il dono essenziale che Dio ci ha fatto perché possiamo essere e vivere.
La terra mi ha accolto quando sono uscito dal ventre di mia madre, mi ha aiutato a “stare in piedi” a camminare con speranza, mi sta aiutando nell’arte di “lasciare la presa”, di consentire che essa mi accolga, apra le braccia al mio corpo e permetta che io diventi lei stessa. Ma come si ama la terra?
Innanzitutto si tratta di imparare a vederla, ad ascoltarla, a conoscerla, in una vera e propria relazione nella quale, crescendo l’assiduità, cresce anche l’amore.
La terra chiede di essere osservata così come si presenta nelle sue variazioni dovute ai ritmi del giorno, della notte e delle stagioni. Nel buio la terra emerge solo con la luce, sia pure poca; allora acquista almeno un profilo, anche se le ombre sembrano avvolgerla. Ma al mattino la terra, accogliendo la luce, si mostra, si veste di molti colori e inizia a cantare. La terra è fatta di cose: un ruscello, un prato che fiorisce, un bosco che della luce sa fare un’ombra, la mia quercia centenaria che è la prima cosa che al mattino guardo con gioia uscendo dalla cella. Dal vedere sgorga poi il celebrare: celebro, dunque canto la terra, o meglio la vita, mia, nostra, di noi umani e della terra insieme. Umani perché venuti dall’humus, e dunque umili per natura. Non essere umili è il grande peccato contro natura!
Secondo la tradizione ebraica e cristiana Dio non ha solo creato con la sua parola e con il suo soffio la terra, ma l’ha affidata ai terrestri: Adam riceve la terra per essere il suo giardiniere; giardiniere, non sfruttatore, che la devasta, la opprime, la fa ammalare.
Perché non ci domandiamo cosa abbiamo fatto e continuiamo a fare contro la bellezza e la bontà della terra? Terre avvelenate dai rifiuti, terre cementificate da costruzioni insensate, terre sfruttate … Fa impressione rileggere le parole di Alano di Lilla, un monaco del XII secolo: “Uomo, ascolta cosa dice contro di te la terra, tua madre: perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi tormenti e mi sfrutti per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti dono, senza che tu me le estorca con la violenza?”.

Enzo Bianchi, la Repubblica (17/2/2020)

Canzone del giorno: Nature's Disappearing (1993) - John Mayall
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giovedì 20 febbraio 2020

Supply chain

Quali saranno gli effetti sull’economia mondiale del coronavirus? È ancora troppo presto per dirlo, non fosse altro perché ancora non è chiaro quanto grave sia la crisi dal punto di vista puramente medico (e le ultimissime notizie sembrano fortunatamente indicare un miglioramento della situazione). Ma proviamo a fare qualche ragionamento. (...) L’impatto sul resto del mondo degli sviluppi economici in Cina avverrà attraverso due canali. Il primo è quello della caduta della domanda di beni e servizi da parte della Cina: imprese e consumatori cinesi importeranno meno dal resto del mondo. Già è evidente, per esempio, il calo dei turisti cinesi negli altri Paesi. Il secondo riguarda le minori forniture da parte della Cina di prodotti semilavorati che vengono utilizzati dal resto del mondo. La Cina svolge un ruolo importantissimo nella cosiddetta «supply chain», la catena dell’offerta. Per alcuni prodotti farmaceutici di base, per esempio, la Cina è ormai di gran lunga il principale produttore. Naturalmente, col tempo il calo delle forniture cinesi potrà essere compensato da forniture da altri paesi. Ma nell’immediato la produzione in diversi Paesi del mondo potrebbe risentirne. Questo effetto diventerà più evidente nelle prossime settimane. Il fatto che l’epidemia si sia diffusa in Cina in prossimità delle festività dell’anno nuovo cinese ha attenuato inizialmente il suo impatto sulla supply chain, perché, in previsione di tali festività, le imprese che importavano dalla Cina si erano comunque preparate a una breve riduzione delle forniture. Ma ora, col solo parziale ritorno a ritmi di produzione normali, gli effetti sul resto del mondo saranno più pesanti. (...)
Due cose mi preoccupano. La prima è l’esistenza di possibili «bolle speculative», con prezzi di certe attività finanziarie (per esempio le azioni) gonfiati da anni di tassi di interesse bassi e addirittura negativi. La seconda è il forte rallentamento della crescita in alcune aree del mondo, incluso il nostro continente, già in corso prima dell’epidemia. L’Europa è quasi ferma, con una crescita dell’area dell’euro dello 0,1 per cento nell’ultimo trimestre del 2019 e un calo del Pil italiano dello 0,3 per cento. Il rischio è allora che il coronavirus diventi l’occasione per un cambiamento di umore dei mercati finanziari e per una revisione degli investimenti a danno delle attività e dei Paesi considerati più a rischio, compreso il nostro Paese.

Carlo Cottarelli, la Stampa (20/2/2020)

Canzone del giorno: Chinese Rock (1980) - Ramones
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martedì 18 febbraio 2020

Find The River

Il fiume va nell'oceano,
una fortuna per le correnti.

Niente di tutto ciò sta venendo nella

Non c'è rimasto niente da buttare
di zenzero, limone, indaco
gambi di coriandolo e rose di fieno.

La forza ed il coraggio

superano gli occhi stanchi e privilegiati
del poeta del fiume che cerca la semplicità.
Sali qui e parti per il viaggio

Tutto questo sta venendo nella tua direzione.


R.E.M., Find The River (1992)

Canzone del giorno: Find The River (1992) - R.E.M.
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domenica 16 febbraio 2020

Posto alle Poste

La mia inutile solidarietà a Maurizio Sarri, non per l'infittimento dei voli sopra la sua testa, da Allegri a Guardiola, fa parte del mestiere, ma perché ha preso bacchettate sulle dita anche dalle Poste. E nemmeno se le è andate a cercare. Avevo risposto, sulla precarietà del suo lavoro: "Se non volevo essere sotto esame lavoravo all Poste". Risposto, posto alle Poste, sembra un gioco di parole. Garantisco la sua involontarietà. Non mi pare ci fosse niente di offensivo nella risposta di Sarri, che va vista nell'ottica di almeno quarant'anni anni fa, quando un poste alle Poste (o al Catasto, o nelle banche), sembrava un Eldorado, una garanzia di stabilità e di durata. Senza sottintese che si trattava di covi di fannulloni, insomma. E gli esami c'erano, sicuro: se uno rubava, lo licenziavano. Se era il direttore della banca, un po' meno, a volte lo promuovevano. Le Poste hanno risposto su Twitter in maniera piccata (al limone) invitando Sarri a impiegare un po' del suo prezioso tempo per documentarsi sulla più grande azienda del nostro Paese, che sta addirittura al terzo posto nel mondo per immagine e dove si è costantemente sotto esame.
La mia inutile (6,5) solidarietà a Sarri nasce dal fatto che questo episodio mi ha fatto capire per chi suona la campana. Per lui, ma anche per me. Dovrò stare attento, è il segnale che le battute ormai si possono fare solo su un campo (tennis, volley) ma fuori si rischia. Qualche esempio. Quand’ero un giovane cronista, si usavano espressioni quasi tutte finite in un baule, in soffitta: la barba al palo, la metà campo da vendere, il triplice fischio finale, le bandiere che garriscono al vento, gli spalti gremiti. E meno male che ci sono finite. Ma si usavano altri luoghi comuni, tipo: “l’Atalanta ha perso, ma con la Juve, mica col Peretola”. non si sa perché, Peretola. L’alternativa era Canicattì, anche qui non si sa perché. Oggi conviene evitare di dirlo e di scriverlo. Ti twitterrebbero contro l’assessore allo sport di Peretola (o di Canicattì), L’assessore alla cultura di Canicattì (o di Peretola), forse i sindaci, sicuramente molti cittadini indignati di Peretola o di Canicattì. Evitare anche, a proposito di un gioco sparagnino, riferimenti ai genovesi e pure agli scozzesi, non si sa mai. Non sottovalutare la suscettibilità dei turchi (non tutti, Erdogan di sicuro): “fumare come un turco”. Se ne può fare a meno. Di uno che beve molto, quale paragone: come un’oca o come un alpino? Come vi pare. Le oche non twittano e forse nemmeno leggono i giornali. Gli alpini sì, ma sono brava gente (9) che non ha tempo per queste scemenze.

Gianni Mura, Sette giorni di cattivi pensieri (la Repubblica - 16/2/2020)

Canzone del giorno: Heavy Water (2008) - Foals
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venerdì 14 febbraio 2020

Il miglior piano


Il miglior piano nella vita è quello di non farsi mai dei piani”.

dal Film "Parasite" di Bong Joon-ho



Canzone del giorno: Strategy (1997) - Something for Kate
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martedì 11 febbraio 2020

Post Scriptum Film

 Tolo Tolo

REGIA: Checco Zalone
INTERPRETI: Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Byrya, Alexis Michalik, Nicola Di Bari, Arianna Scommegna, Nunzio Cappiello
SCENEGGIATURA: Checco Zalone, Paolo Virzì
FOTOGRAFIA: Fabio Zamarion
MONTAGGIO: Pietro Morana
DURATA: 90'
USCITA: 1/1/
È trascorso poco più di un mese dall’uscita in tutte le sale di Tolo Tolo e le cifre parlano chiaro. Ancora in programmazione in molte città, il film ha già incamerato più di 46 milioni di euro e lo fa classificare, ad oggi, alla quinta posizione fra le pellicole con più alto incasso di sempre al botteghino italiano. Se poi si pensa che al secondo e al terzo posto di tale classifica si posizionano rispettivamente altri due film che vedono come protagonista Checco Zalone  ("Quo vado?" e "Sole a catinelle") non c’è da stupirsi se il dibattito scaturito da ogni sua pellicola travalichi ogni confine che abbia a che fare con una tipica recensione cinematografica.
Milioni di spettatori sprigionano milioni di discussioni e polemiche. Un vero e proprio fenomeno culturale.
Luca Medici (in questo caso è più giusto chiamarlo con il suo vero nome anagrafico) questa volta si trasforma anche in regista e con Paolo Virzí è il coautore della sceneggiatura.
Se ci si concentra soltanto sul film e si lascia da parte la sterilità di tante polemiche si potrebbe partire dal fatto che, a certuni critici, la narrazione sia apparsa poco fluida e che, in alcune parti, la sceneggiatura poco coerente nell’evidenziare ciò che realmente e tristemente accade dall’altra parte del Mediterraneo. Ma non bisogna mai dimenticare che si tratta di una commedia e, come tale, la si può apprezzare, nel suo complesso, per gli innumerevoli spunti che ci permettono di sorridere ma anche riflettere, di abbuffarci dei tanti cliché che la animano, di mettere a nudo un certo modo di essere italiani. Checco Zalone con il suo codice comico mette nel sacco le certezze di tanti quando si parla di migranti, con intelligenza coglie lo spirito dei tempi fino a ricordarci i nostri istinti nazionalistici. D’altronde come sintetizzerebbe Checco: “un po’ di xenofobia me la sono meritata sul campo“. La sua è un’operazione culturale sicuramente  delicata e rischiosissima. Egli s'intrufola, con gli attrezzi dell’umorismo, nel tragico labirinto dell’immigrazione riuscendo a trovare una via intelligente per ricordare ad ognuno di noi che basta un attimo per trovarsi dalla parte sbagliata del confine e che rappresenta un vero privilegio essere nati dalle nostre parti (la cicogna in Africa, come ci ricorda Checco nel finale del film, è proprio stralunata e strabica).

Canzone del giorno: Apriti cielo (2017) - Mannarino
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domenica 9 febbraio 2020

Everyman

Il Sanremo dei record, la maratona Sanremo, il Festival del maschilismo, l’Ariston delle lacrime, la kermesse dei social e degli scazzi. Ogni anno il Festival della canzone italiana sembra camminare sull’orlo del burrone (una spintarella e ops, giù…) e ogni anno siamo qui, se non a tesserne le lodi, almeno a registrarne il successo, l’eco mediatica, il fiume di parole che la manifestazione riesce incredibilmente a produrre. Le canzoni, per entrarti dentro, vanno sentite e risentite, camminano da sole e, come sempre, è difficile ora determinarne la durata nei nostri cuori.
L’aspetto più incredibile è che il format Sanremo è di una bruttezza senza pari, sguarnito di ogni principio di vita, e pur tuttavia resta un magnete formidabile. In termini mediatici, l’unica risposta possibile è questa, fragile ma accettabile: in tempi di frammentazione (ciascuno di noi si è trasformato in un medium) cerchiamo appuntamenti condivisi. Sanremo è l’ultimo orologio sociale su cui sincronizzare le ore, le risposte, persino l’on demand. È il raduno annuale delle tribù dei social. È forse l’ultima messa profana, una lunga concelebrazione che si dilata dalle omelie laiche di Rula Jebreal al sacro erotismo biblico. Per descrivere la prestazione di Amadeus è stata scomodata l’infelice formula che Umberto Eco usò per Mike Bongiorno. Amadeus incarnerebbe l’everyman, l’idealtipo dell’uomo medio, il presentatore del passo indietro «tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto».
L’everyman si commuove (come un Tiziano Ferro qualunque), non commuove. E di everymania si muore, non si produce spettacolo, neanche il più scalcinato, figuriamoci Sanremo. Se fossimo colti come Benigni, diremmo che Amadeus ha incarnato il mistero di Giuda: si è sacrificato per Fiorello (Borges fa dire a un suo personaggio che Giuda è stato il solo tra i discepoli a intuire la tremenda missione di Gesù e ha fatto in modo di renderla possibile). Amadeus ha placato controversie, si è messo al servizio dello show, è stato molto più bravo dei suoi autori: chi ha deciso di tirar mattina, chi ha scritto il monologo sulla bellezza per la Leotta, chi ha organizzato la serata delle cover andrebbe cacciato via. Amadeus crede nei sogni e il suo sogno più bello era quello di avere a fianco Fiorello, l’unico fuoriclasse della nostra tv, il solo in grado di trasformare in divertimento la routine festivaliera e di impartire lezioni di felicità.

Aldo Grasso, Corriere della Sera (9/2/2020)

Canzone del giorno: Fai rumore (2020) - Diodato
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venerdì 7 febbraio 2020

Suicidi

Le ragioni che conducono una persona a compiere un gesto radicale come il suicidio sono sempre talmente imperscrutabili che non autorizzano nessuno ad avanzare ipotesi né, tantomeno, a esprimere pareri. Impossibile dire se c’è uno stringente rapporto di causa-effetto fra la tragica decisione del vigile e la valanga di insulti che lo ha travolto sui social da qualche giorno. Semmai ciò su cui non si può — anzi non si deve — tacere è l’insopportabile violenza con cui i social hanno iniziato e poi continuato a vomitare improperi anche dopo le pubbliche scuse. Del resto, parlare dei social come fossero entità astratte rischia di alleviare la responsabilità dei singoli individui che, certo esaltati e autoalimentati dal delirio collettivo, si godono l’ebbrezza di saltare sul carro urlante della calunnia e dell’offesa indiscriminata: naturalmente ciascuno ben nascosto (e protetto) dietro la maschera dell’anonimato.
E dietro il pretesto di una giusta causa: la difesa del debole (nella fattispecie il disabile cui è stato sottratto, a quanto pare per sbaglio, lo spazio del parcheggio), al punto da affossare il «colpevole» senza pietà e senza neanche concedergli il beneficio delle scuse. Ma non c’è giusta causa più ingiusta se non si limita alla critica e si rovescia in furore. Siamo troppo abituati alla protervia di chi non ammetterebbe mai di aver sbagliato da non riuscire a distinguere tra un oltraggio prepotente e un sincero pentimento? Sempre più di fronte all’arrembaggio vile e cieco dei social — tra menzogne e fango — viene voglia di seguire l’esempio di Stephen King, il re dell’horror che, non sopportando più l’horror di Facebook, ha deciso di salutare tutti e sottrarsi.

Paolo Di Stefano, Corriere della Sera (5/2/2020)

Canzone del giorno: Fear (1989) - Lenny Kravitz
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mercoledì 5 febbraio 2020

Terrorizzate

Cinque persone terrorizzate. Cinque persone che si sorvegliavano a vicenda, che ora non si preoccupavano più di nascondere la loro tensione. Nessuno si sforzava di fingere, di sostenere una conversazione. Erano cinque nemici legati l’uno all’altro da un mutuo istinto di conservazione. E tutti e cinque, improvvisamente, persero un po’ la parvenza di esseri umani. Stavano regredendo, senza accorgersene, allo stato animale.

Agatha Christie, Dieci piccoli indiani (1939)

Canzone del giorno: Ful Stop (2016) - Radiohead
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domenica 2 febbraio 2020

Sindrome cinese

Nico Pillinini, da google.it



















Canzone del giorno: Bad Obsession (1991) - Guns N' Roses
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sabato 1 febbraio 2020

Playlist Gennaio 2020


1.      America, Hope  (Hourglass - 1994) – Speranza
2.      Metallica, Don’t Tread On Me  (Metallica - 1994) – The New Popeye
3.      Sister  Sledge, We Are Family  (We Are Family - 1979) – Rimpicciolita
4.      Black Sabbath, Danger Zone  (Seventh Star - 1986) – Operazione Soleimani
5.      Galeffi, Burattino  (Scudetto - 2019) – Pinocchio
6.      Rory Gallagher, Brute Force And Ignorance  (Photo Finish - 1978) – Ignoranza
7.      Subsonica, Veleno  (L’eclissi - 2007) – Frodi alimentari
8.      Iggy Pop, Ambition  (Soldier - 1980) – Ambizione
9.      Pearl Jam, Marker In The Sand  (Pearl Jam - 2006) – Crociate
10.  Peter Gabriel, Down the Dolce Vita  (Peter Gabriel - 1977) – Fellini
11.  Alessandro Sipolo, Un altro equilibrio  (Un altro equilibrio - 2019) – Un altro equilibrio
12.  Fleetwood Mac, Don’t Stop  (Rumors - 1977) – Perseveranza
13.  Mina, Luna Diamante  (Mina Fossati - 2019) – La dea fortuna
14.  White Lion, Fight To Survive  (Fight To Survive - 1985) – Coronavirus