nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 30 ottobre 2023

Cosa c'entrano quei bambini?

«I bambini giocano alla guerra / È raro che giochino alla pace / perché gli adulti / da sempre fanno la guerra, / tu fai “pum” e ridi; / il soldato spara / e un altro uomo / non ride più. / È la guerra». I bambini giocano alla guerra, recita una poesia di Bertolt Brecht, perché i bambini non sanno come si gioca alla pace. Nessuno ha insegnato loro come si fa. Giocano alla guerra perché hanno sempre visto i grandi fare questo, ed è bellissimo “fare pum”. Ma i bambini non sanno che la guerra non è un gioco, incomincia quando si vuole tutto per sé, o non si riesce a vedere la bellezza nemmeno nei disegni degli altri bambini. Non sanno ancora, i bambini, che se a giocare sono i grandi la battaglia non finisce in cucina a fare merenda. L’esito è solo fame, freddo e paura. Andrebbe riletta questa poesia, meditarla in queste ore aiuta a decifrare la cronaca delle sofferenze inflitte ai bambini di Gaza, a gestire la fatica nel guardare i volti dei piccoli israeliani ostaggi di Hamas, a ricordare i figli ucraini deportati in Russia, a pensare ai minori affidati alla sorte delle onde nella disperata ricerca di un futuro. Concede un “oltre”, la poesia, che non è rimozione, ma il tentativo di scongiurare l’assuefazione a un male senza senso, fissando un ordine morale di responsabilità; come solo la preghiera può affrontare la grande e terribile domanda su cosa c’entrino i bambini con la sofferenza, accettando che una vera risposta non esiste al di fuori della sofferenza stessa. C’è sempre una guerra nel mondo, un conflitto i cui effetti diventano insopportabili quando le vittime sono i più innocenti tra gli innocenti. Avviene da secoli, ma oggi è ancora meno comprensibile: non siamo nell’era ipertecnologica? Quella dei droni che consegnano gli ordini sulla soglia di casa o dell’intelligenza artificiale che scrive romanzi, delle auto che si guidano da sole e dei robot che sostituiranno i e le badanti? Abbiamo la tecnologia e le risorse per mandare i turisti su Marte, ma siamo ancora qui a fare i titoli su Re Erode, e le stragi dei bambini. Il mondo in pace guarda con ansia a tutto questo, prova pietà, piange in silenzio e prega. Probabilmente non ci si chiede abbastanza quanto di questo lusso derivi da un equilibrio di forze generato dall’ingiustizia. E non si coglie che questa pace può essere frutto di un armistizio, il patto di un mondo che la sofferenza dei bambini crede di poterla eliminare non facendoli più nascere. Le guerre nascono sempre da un problema di risorse, si tratti di terra o di acqua, di energia o di popolazione. La “Guerra mondiale a pezzi” è misura anche della crisi climatica e delle tensioni demografiche, la prova di un’umanità che ha dimostrato di saper giocare alla guerra, ma non riesce e non vuole “inventare” e poi insegnare ai suoi figli, ai fratelli e alle sorelle di oggi e di domani, il grande gioco del futuro e della pace. Quello in cui «tutti i bambini / sono tuoi amici».

Massimo Calvi, Avvenire (29/10/2023)

Canzone del giorno: Invisible Sun (1981) - The Police
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sabato 28 ottobre 2023

Idee chiare


Ciascuno chiama idee chiare quelle che hanno lo stesso grado di confusione delle sue.

Marcel Proust (1871 - 1922)


Canzone del giorno: World of Confusion (2002) - Gary Moore
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mercoledì 25 ottobre 2023

Tra le cose perdute

Nel mondo finito fuori controllo anche il futuro non è più quello di una volta e sfugge a qualsiasi previsione, perché nell'esplosione della realtà sono saltati tutti i criteri di giudizio e i codici di valutazione degli avvenimenti: ma è possibile rintracciare la vera misura della crisi cercandola nell'inventario delle cose perdute, in quanto appartenevano a un'altra stagione e a una diversa coscienza della pubblica opinione, e oggi non riescono a trovare una loro ragion d'essere nella furia del cambiamento e nel tumulto della fase attuale. C'è anche una data che fissa il momento di separazione tra il prima e il dopo, ed è sempre più 1'11 settembre 2001, il vero giorno d'inizio del secolo ribelle e insieme l'ultimo giorno del vecchio ordine che pensava di governare la storia ricomposta e controllare la geografia ridisegnata, ricavandone addirittura una disciplina politica e morale valida ad ogni latitudine. Abbiamo perso prima di tutto la convinzione dell'invulnerabilità, che derivava direttamente dal nostro benessere, cioè dalla consapevolezza di far parte del Primo Mondo e dunque di essere gli esclusivi produttori e i principali consumatori del progresso scientifico, medico, tecnologico. L'innovazione ci proteggeva separandoci, ci privilegiava illudendoci: finché il terrorismo islamista ha scelto di concepire l'impensabile volando sotto la linea d'ombra del pensiero occidentale, fino al precipizio delle torri gemelle e dell'improvvisa vulnerabilità dell'America svelata in diretta nelle televisioni di tutto il mondo. […] Pensavamo cioè che la religione civile democratica potesse ormai avere un'ambizione globale, trasformandosi in un universale: fino a commettere l'errore di esportarla con le armi, scavalcando la contraddizione insostenibile. Dalle torri gemelle alle caverne afghane, quella pretesa di universale ci è stata restituita ridotta a semplice particolare, ridimensionando la portata e la pretesa del pensiero occidentale nei confini del suo perimetro domestico. Tra le cose perdute, dunque, c'è la convinzione del primato della democrazia, la speranza che potesse suggestionare il mondo con la sua promessa di giustizia, uguaglianza e libertà, la sua sperimentazione quotidiana dell'esercizio dei diritti e dell'autorità laica delle istituzioni. Al contrario sta crescendo anche in Europa l'insidia del neo-autoritarismo che rifiuta lo stato di diritto, il bilanciamento dei poteri e il sistema dei controlli, proponendo un modello contrario di democrazia della sovranità, coscientemente illiberale. La democrazia ha infine trovato sulla porta di casa la sua contraddizione. […] Abbiamo creduto che la dimensione imperiale della Russia (parte della sua anima eterna) fosse soltanto una sovrastruttura del comunismo, svanita insieme con il bolscevismo, autorizzandoci a retrocedere Mosca al rango di potenza regionale, di seconda fascia: finché quell'anima è riemersa come una minaccia nel rigurgito imperialista di Putin. In Medio Oriente abbiamo sottovalutato la minaccia perenne di morte di Hamas verso Israele, l'ideologia della distruzione che sostituisce ogni politica, mentre vedevamo marcire nella corruzione e nell'inabilità l'Anp senza renderci conto che perdevamo un interlocutore decisivo per il processo di pace, lasciando campo libero alla rappresentanza terroristica dei palestinesi da parte di Hamas invece che all'affermazione dei loro diritti insieme con quelli di Israele. Ridimensionati nell'hybris del Novecento, possiamo riprenderci oggi quel che abbiamo perduto nel suo nucleo sostanziale: accettando la fatica della democrazia, costretta ogni volta a ricominciare e a dare un nome alle cose in nome di libertà e giustizia. Una magnifica condanna.

Ezio Mauro, la Repubblica (23/10/2023)

Canzone del giorno: Peace Piece (1958) - Bill Evans
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lunedì 23 ottobre 2023

Tempo per capire

E’ lecito, in queste ore, perdere l'equilibrio. E’ lecito essere in pena per Gaza, il peggior luogo possibile in cui trovarsi sulla terra, pur senza smettere di essere in pena per gli ostaggi israeliani, per le vittime del 7 ottobre e le loro famiglie. Ed è lecito anche, dopo gli attentati di Arras e di Bruxelles, sottrarre al Medio Oriente un frammento di quella pena per rivolgerla di nuovo verso noi stessi, intimoriti dal ritorno di una stagione che ci eravamo affrettati a stabilire conclusa. Iniziava così una versione precedente di questo articolo. Era già in pagina martedì sera, pronta per uscire la mattina seguente, quando è arrivata la notizia del bombardamento dell'ospedale di Al-Ahli. Ogni riga successiva, che un attimo prima mi sembrava ragionevole, è stata sorpassata dalla realtà. E lo scenario che consideravo come eventuale — una strage massiccia a Gaza dovuta a un'offensiva via terra — si è inverato prima del previsto, solo in forma diversa. In guerra sentimenti e opinioni invecchiano in fretta, vengono continuamente sopraffatti da altri più recenti, ma in questa guerra accade con una frenesia particolare, per quanto è densa, circoscritta e al contempo globale, per quanto investe strati di convinzione depositati in precedenza in ognuno di noi. Si potrebbe pensare che una simile velocità ci renda automaticamente più scattanti, ricettivi, mutevoli e anche guardinghi, invece ha quasi sempre l'effetto opposto, quello di farci irrigidire sulle nostre posizioni a priori, delle quali non troviamo che conferme su conferme. […] Per noi, che osservando tutto ciò non possiamo che occuparci della nostra tenuta psichica, la domanda è forse questa: siamo in grado di tenere insieme tutto? Possiamo, almeno noi, piangere le vittime del rave e dei kibbutz e insieme quelle dell'ospedale, senza che si elidano reciprocamente? Possiamo essere critici, anche molto critici, riguardo alla politica estera di Israele, furiosi per l'oppressione di Gaza, e insieme riconoscergli il diritto a una risposta militare, alla liberazione dei propri cittadini e al tentativo di debellare un'organizzazione terroristica che ha come scopo la sua cancellazione? Sono contraddizioni strazianti, emotivamente ancor prima che intellettualmente. Strazianti ma non così ambigue, all'interno delle quali cerchiamo uno spazio dove restare umani. Nelle ultime ore sono in tanti a praticare questo esercizio faticosissimo: sui giornali, nelle conversazioni private, silenziosamente in sé stessi. Che cosa ci rende tutto ciò? Dei virtuosi o degli abietti? Dei moderati o dei debosciati? Non lo so davvero, meno che mai adesso. Ma so che lo sforzo di esistere su più livelli, di diffidare delle questioni di principio per occuparsi dei singoli elementi, di ciò che è vero e ciò che non lo è, di ciò che è terrorismo e ciò che non lo è, di ciò che è un crimine di guerra e ciò che non lo è, di ciò che è proporzionato e ciò che non lo è, del rispetto delle regole proprio quando i contesti si fanno più sregolati, è qualcosa di molto simile a una definizione del vivere in una democrazia liberale. […] Non esiste al mondo un magnete più potente di Israele-Palestina. L'attualità di cui stiamo discutendo assume forme diverse a seconda di dove riavvolgiamo il nastro. A coloro che lo riavvolgono continuamente al 1948, per esempio, alla fondazione di Israele e alla sua presunta illegittimità, non c'è granché da dire. Osserviamo gli stessi fenomeni ma in sistemi di riferimento non inerziali, usiamo strumenti calibrati diversamente quindi le nostre misure saranno sempre fra di la ro sballate. Per questo, il 7 ottobre, la mia reazione istintiva è stata di proporre, provocatoriamente, di far partire un nuovo nastro. Non di cancellare i precedenti, ma di inaugurarne anche uno nuovo, riconoscendo tutti, senza infingimenti, che quello era un attacco terroristico e in quanto tale eccedente rispetto al contesto. Non si trattava di una proposta a beneficio esclusivo di una parte: rimuovere l'opacità su quel giorno permetterebbe di sottrarre anche la popolazione palestinese a un'opacità contraria, che grava su di loro insieme a tutto il resto. E di valutare la risposta militare israeliana con maggiore lucidità, distinguendone ogni iniziativa specifica come legittima oppure no, secondo i nostri standard. La nostra fede democratica non è fatta solo di principi ma anche di questa vocazione al particolare, al ricondurre ogni evento alla sua verità fattuale, per poi valutarlo in base alle regole. La specificità come antidoto all'ideologia. È proprio ciò che un estremista non fa. Perché un estremista non si permette mai di perdere l'equilibrio, non si lascia scompaginare i pensieri dalla realtà che accade, non si confonde, non riscrive e non ritratta. Riascolta solo, all'infinito, lo stesso nastro.

Paolo Giordano, Corriere della Sera (19/10/2023)

Canzone del giorno: Tight Rope (2016) - Jack Savoretti
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sabato 21 ottobre 2023

Pistacchiera

Durante lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943, una mia zia, proprietaria di un enorme campo coltivato ad alberi di pistacchio, fece otturare le falle della recinzione, incatenò i due cancelli di ferro d’accesso e vi pose a guardia due campieri a cavallo armati di fucili. «Che la guerra non entri nella pistacchiera!» –ordinò, correndo a barricarsi nella cantina della sua villa. Ovviamente, la guerra non solo entrò di prepotenza nella pistacchiera, ma la spazzò via per tre quarti. Ecco, quando sento qualche uomo politico sbraitare che è necessario erigere barriere per contrastare il flusso degli immigrati o che bisogna respingerli in mare, mi torna alla memoria la stupida, non miopia, ma assoluta cecità, di mia zia.

Andrea Camilleri, 22/1/2012

Canzone del giorno: It Grows in Me Garden (2016) - Sanguine Hum
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mercoledì 18 ottobre 2023

Film Post Scriptum

Io Capitano


REGIA: Matteo Garrone
INTERPRETI: Seydou Sarr, Moustpha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna
SCENEGGIATURA: Matteo Garrone, Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso, Andrea Tagliaferri
FOTOGRAFIA: Paolo Carnera
DURATA: 121'

USCITA: 7/9/2023

Si può proibire a dei giovani di sognare? Le speranze e le delusioni dell’universo giovanile sono state narrate in moltissimi film e sotto le più svariate angolazioni.
“Io, capitano” di Matteo Garrone, ha tanti pregi (cinematografici e non solo) ma ha soprattutto la radiosa straordinarietà di catturarti fin dai primi minuti proprio perché riesce a raccontare un sogno. Quello di due ragazzi che vivono in Senegal e che, anche se impauriti e pieni di dubbi, non riescono a frenare l’impeto di lasciare casa e affetti per intraprendere il viaggio verso le coste europee nel tentativo di acciuffare un futuro migliore.
Il regista non insiste più di tanto sulle condizioni di vita dei giovani. Le loro famiglie vivono in modo decoroso, non si trovano in una situazione di sofferenza o miseria estrema. La madre di Seydou tutto vorrebbe tranne che il figlio inseguisse la chimera del rischioso viaggio migratorio.
Matteo Garrone capovolge la nostra prospettiva. Non ci troviamo ad assistere passivamente a uno sbarco di migranti: il film è così coinvolgente da farci vivere l’esperienza traumatica e dolorosa del lunghissimo viaggio verso l’Europa come se ci trovassimo accanto al protagonista
La scelta di far uscire il film con i sottotitoli, senza doppiaggio, rende ancora più forte l’impatto emotivo. La pregevole sceneggiatura riesce a fare percepire, senza retorica, il dramma che coinvolge tanti esseri umani costretti a subire violenze di ogni genere
Il film è intenso, drammatico, toccante.
Un racconto di formazione che fa riflettere e che mette in rilievo la grande accortezza e bravura di Matteo Garrone.
Imperdibile.

Canzone del giorno: Pane e coraggio (2003) - Ivano Fossati
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lunedì 16 ottobre 2023

Oasi


La famiglia è un'oasi in un mondo spietato.

Christopher Lasch (1932 - 1994)


Canzone del giorno: Family Table (2005) - Zac Brown Band
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sabato 14 ottobre 2023

Something To See

No war no greed

That would be something to see

I hope I live that long

 No blood in the streets

Just a distant memory


Nessuna guerra, nessuna avidità

Sarebbe qualcosa da vedere

Spero di vivere così a lungo

Niente sangue nelle strade

Solo un ricordo lontano


Tracy Chapman, Something To See (2008) – dall’album Our Bright Future 


Canzone del giorno: Something To See (2008) - Tracy Chapman
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mercoledì 11 ottobre 2023

I punti interrogativi d'Israele

Che cosa fare? È una domanda atroce quella che attraversa Israele. Perché, se la risposta più ovvia è farla pagare a Hamas e cancellarla, tutti gli svantaggi delle guerre asimmetriche emergono come un tormento. Bombardare? Israele lo sta facendo e molto spesso avverte che quel palazzo sta per essere colpito (è una democrazia, quella che affronta un nemico terrorista) per evitare vittime civili. Ma così si salvano anche i miliziani. E la misura non basta a evitare vittime civili. Puoi radere al suolo una terra densamente popolata nella quale migliaia di miliziani si nascondono in mezzo a quasi due milioni di civili? In un certo senso Hamas tiene in ostaggio, oltre a un centinaio di israeliani, anche il suo stesso popolo, usandolo come uno scudo umano. Credete che non avessero previsto la risposta israeliana? È che gli va bene, approfondisce il solco di odio, tanto peggio tanto meglio. Puoi entrare via terra ma le perdite da entrambe le parti non possono che essere molto alte, e devi sperare che l’Egitto apra la frontiera a migliaia di civili in fuga, ciò che ti consentirebbe di muoverti più liberamente nello scovare covi e provare a liberare ostaggi. Nelle guerre ho imparato che devi provare a ragionare con la testa del nemico, per vincerlo. Cosa si aspetta Hamas? Quello che sta succedendo: istigazioni al confine nord con il Libano, abbastanza da tenere impegnate una parte delle forze nemiche. Bombardamenti subìti a Gaza, con le immagini di bambini morti e feriti, per scaldare le piazze arabe. E soprattutto il peggiorare della situazione nella West Bank, la Cisgiordania. Scontri sono segnalati a Hebron e Qalqylia: la tremebonda Autorità Palestinese è sopraffatta dall’iniziativa di Hamas. Se scoppia la Cisgiordania, Hamas ha vinto anche il secondo atto di questa guerra, che vuole rendere permanente. Se Israele vuole vincere, deve usare durezza tattica senza smettere di interrogarsi sul dopo: impossibile non negoziare con qualcuno, che sia Abu Mazen o il Qatar, con l’obbiettivo di arrivare prima o poi all’unica convivenza possibile, due popoli e due Stati.

Toni Capuozzo, ultimabozza.it (10/10/2023)

Canzone del giorno: Not Too Late (1996) - Satchel
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lunedì 9 ottobre 2023

Oltre

Oltre ogni possibile immaginazione, Israele è ferita come non mai mentre Hamas festeggia la morte di centinaia di ebrei e migliaia di feriti. È stato un disastro, le difese del mitico esercito di Israele sono crollate. I missili hanno colpito e i terroristi hanno insanguinato quasi tutto il territorio nazionale. Tel Aviv e Gerusalemme sono finite nei rifugi. Il sud si è coperto di morti e feriti. È stato il giorno della sorpresa, dello stupore anche se adesso nell'inizio della nuova impresa «Spade d'acciaio» combatte duramente per non subire mai più un simile sfregio. Ci sono stati eroi, la gente ha combattuto contro un furioso assalto, programmato per mesi, chissà con quanto aiuto, soldi, uomini dell'Iran e dei suoi amici. Ma anche se in queste ore Israele, come ha detto Netanyahu, è in una autentica guerra di difesa che «ferma l'attacco, punisce i responsabili, dissuade chi ambisce a unirsi a Hamas». Sono corsa una decina di volte nel rifugio al suono della sirena con parte della mia famiglia. Siedi nella semioscurità e senti le esplosioni, poi si spengono e puoi uscire. Pensavo nella stanzetta polverosa a una neonata a Kfar Aza, nel nord. Ha pianto otto ore da sola, finché qualcuno l'ha trovata nella polvere di una casa vandalizzata. I suoi forse sono ostaggi o ammazzati o impazziti di paura quando dalla Striscia sono arrivati su un camion nel loro villaggio un centinaio di terroristi urlanti, con i kalashnikov, una torma selvaggia, con l'ordine di Ismail Hanye dal Qatar e di Yehie Sinwar e di Muhammad Deif da Gaza di «uccidere quanti più ebrei possibile» e di rapire, terrorizzare, picchiare. Quella bambina ignara e disperata è per me il simbolo di una giornata simile forse soltanto a quell'Yom Kippur di un giorno e 50 anni fa, nel 1973, quando mentre la gente d'Israele andava al tempio, fu aggredita da tutte le parti, per poi vincere miracolosamente Egitto e Siria, ma prima perse migliaia di ragazzi. Le sirene furono l'inizio di un incubo. Hamas e la Jihad Islamica si sono ripassati parecchie volte quella vicenda. […] Un gruppo di varie centinaia di giovani riuniti nel deserto per una festa, è fuggito mentre gli sparavano addosso: andava, tornava nel deserto come anatre-bersaglio in uno stagno, alcune decine sono spariti, forse rapiti o uccisi. I terroristi hanno rubato carri armati e veicoli militari e ucciso tutti i soldati di guardia in una postazione vicina a Gaza; a Ofakim, a Sderot si sono scatenati, avidi di uccidere e di portarsi via quanti più prigionieri. Nella sala da pranzo del kibbutz Beeri si sono ancora 50 prigionieri di Hamas. Il sangue è scorso a fiumi. Gli ostaggi sono centinaia: vecchiette caricate su motociclette, giovani e ragazze legati, sanguinanti, col mitra puntato alla tempia, trascinati, picchiati. È un trauma ancora indefinito, un'ansia sconosciuta, per cui anche il capo dell'opposizione ha dichiarato che è pronto a formare un governo di coalizione: Israele si sente messa a rischio, beffata. E il lutto è grande: tutto l'epos è in crisi, anche se già si conoscono molte storie di resistenza eroica. Ma come è potuto accadere tutto questo, l'uno chiede all'altro? L'Iran ha aiutato a programmare la maggiore operazione che Hamas, con la Jihad abbia mai intrapreso? La risposta logica è certa e la sua dichiarazione di sostegno si unisce alla ferocia e al razzismo che ieri ha avuto una sua rappresentazione plastica. Adesso resta la guerra. Occupare Gaza? Lasciare di nuovo in piedi Hamas che solo ieri ha cosparso Israele di sangue e lutto? Si discute, mentre intanto si cerca di distruggere le strutture principali. Ma non basta. La deterrenza non è mai sufficiente. Ci vuole la prevenzione.

Fiamma Nirenstein, Il Giornale (8/10/2023)

Canzone del giorno: Cry (2004) - James Blunt
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sabato 7 ottobre 2023

Chi sa fare...

Giacomo: Giovanni guarda, non so proprio come dirtelo, ma i mobili di tua madre fan veramente cagare.

Giovanni: Ma cosa ne vuoi capire tu Giacomo, non sai neanche cos'è una pialla!

Giacomo: Ma cosa c'entra? Non è che uno deve costruire i mobili per saperli apprezzare!

Giovanni: No caro: chi sa fare, sa capire!

Giacomo: Ma che cazzo di proverbio è?

Giovanni: Non è un proverbio: è la vita, Giacomo!

Chiedimi se sono felice (2000), Regia di Aldo, Giovanni e Giacomo e Massimo Venier


Canzone del giorno: Una sera con gli amici (2013) - Elio e le Storie Tese
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mercoledì 4 ottobre 2023

Nagorno Karabakh

Siamo disponibili a difendere qualsiasi animale in via di estinzione, ma evidentemente non siamo disposti a fare niente per gli armeni del Nagorno Karabakh: chi ha scritto che più di 100.000 armeni in pochi giorni stanno abbandonando come profughi la loro terra sbaglia. Non hanno scelto di abbandonare una terra alla quale sono legati da secoli, non hanno scelto di abbandonare le loro antichissime chiese e i loro monasteri, che saranno distrutti con i bulldozer: sono stati costretti a farlo per salvarsi la vita. L'Unione europea non ha mosso un dito per protestare contro gli azeri, per fermare la cacciata di un popolo antico dalla terra che occupava da millenni. Anzi, insistono con il chiamare gli armeni del Nagorno Karabakh separatisti, sposando il punto di vista azero. Come può essere considerato separatista un popolo che vive in quel territorio, senza mai averlo lasciato, da 2500 anni? Il motivo di questo vergognoso silenzio sta nella necessità di comprare il gas dell'Azerbaigian, e nella dipendenza da Erdogan, che può liberare valanghe di immigrati verso i nostri confini. Ma forse sta anche in qualcosa di più profondo, cioè dalla difficoltà per noi europei secolarizzati di sentire quegli antichi cristiani, ancora appassionatamente legati alla loro tradizione religiosa, vicini a noi, simili a noi, quindi avamposto orientale di una cultura europea da difendere. Ci stiamo dimostrando indifferenti alla loro sorte, forse perché da lontano ci appare strano che siano così legati alle loro croci con i fiori, ai loro strani e antichissimi riti, e soprattutto che siano disposti a morire per non rinnegare la loro fede. Livediamo come portatori di qualcosa di antico e lontano, che forse ci pare classificabile come folclore più che come una religione moderna e rispettabile. Il Papa stesso li ha sempre difesi debolmente. Del resto i ricchi regali con cui il governo azero si conquista le simpatie dei politici europei - condito da chili di fantastico caviale, Le monde parla di "diplomazia del caviale" - forse sono arrivati anche in Vaticano. O almeno sono stati ben visti i soldi per i restauri delle catacombe di Commodilla e di alcuni dei preziosi beni artistici conservati in San Pietro, tanto che la moglie del presidente azero Aliyev è stata insignita della più alta onorificenza vaticana riservata ai laici. Sì, sembra proprio che il dolore degli armeni infastidisca tutti, e tutti pensino che comunque non sono affari che ci riguardano come europei. Invece ci riguardano e ci riguarderanno: i turchi infatti non nascondono il progetto di passare alla conquista dell'intera Armenia, considerata una inutile enclave incuneata nel mondo islamico. Il progetto di genocidio che sembrava sventato dopo la prima guerra mondiale troverà così completa realizzazione, e proprio sotto i nostri occhi indifferenti. Per la seconda volta l'Europa volta la testa davanti a un crimine contro l'umanità, a un attentato alla sopravvivenza di un popolo intero. L'Occidente è pronto a rinnegare perfino le proprie origini pur di non pagare il prezzo che il coraggio comporta.

Lucetta Scaraffia, La Stampa (3/9/2023)

Canzone del giorno: Shout (1985) - Tears for Fears
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lunedì 2 ottobre 2023

Essere bambino

Mauro Biani, da google.it














Canzone del giorno: Ninna Nanna (2007) - Teresa De Sio
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domenica 1 ottobre 2023

Playlist Settembre 2023

1.      Noel Gallagher’s High Flying Birds, Open The Door, See What You Find(Council Skies – 2023) – Cucina povera

2.      The Modern Lovers, Modern World – (The Modern Lovers – 1976) – Di parte

3.      Rainbow, Eyes Of  The World – (Down To Earth – 1979) – Intrattenuti

4.      Julia Stone, Winter On The Weekend – (The Memory Machine – 2010) – Il dovere di agire

5.      Francesco Bianconi, L’abisso – (Forever – 2020) – Tronco divelto

6.      Roy Rogers & Norton Buffalo, The Massage – (Travellin’ Tracks – 1992) – L’era della povertà educativa

7.      Darren Hayes, Sense of Humor – (The Tension And The Spark – 2004) – Umorismo

8.      Ben Howard, Follies Fixture – (The Collection From The Whiteout – 2021) – Asset della follia

9.      Samuele Bersani, Mezza bugia – (Cinema Samuele – 2000) – Incomunicabilità

10.   Ornella Vanoni ft. Vinicius de Moraes - Toquinho, Io so che ti amerò(La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria – 1976) – Esempi di amore

11.   John Waite, No Brakes – (Mask of Smiles – 1985) – Debito senza freni

12.   Scott Hoying, Four – (Parallel – 2023) – Quattro

13.   Foy Vance, Burden – (The Wild Swan – 2016) – Fardello