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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 3 febbraio 2019

Invasione

Più della metà degli immigrati che vivono in Italia arriva da Paesi europei. Nove su dieci risiedono nel nostro Paese da più di cinque anni. E la stragrande maggioranza di loro non sono né richiedenti asilo né rifugiati: hanno il permesso di lavoro o arrivano per ricongiungimento familiare. Alcuni dati del terzo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni, finanziato dalla Compagnia di SanPaolo e presentato questa mattina a Torino, contrastano con la narrativa che denuncia un’invasione. «La presenza di stranieri in Italia è al di sotto della media dei Paesi dell’Europa occidentale e settentrionale – spiega il professor Tommaso Frattino, responsabile della ricerca insieme a Natalia Vigezzi -. Di questi tempi pensiamo agli immigrati e vengono subito in mente gli sbarchi, ma i richiedenti asilo e coloro che chiedono protezione umanitaria rappresentano una percentuale minima. La retorica dell’emergenza non trova riscontro nei dati».
Il rapporto analizza i numeri di tutta Europa, dove il numero di immigrati è aumentato di due milioni all’anno negli ultimi due anni: nell’Unione Europea un residente su dieci è immigrato. In Italia sono circa sei milioni (il 10% della popolazione). Più della metà, il 56%, è di origine europea: il 35% arriva da Paesi dell’Unione, il 21% da Paesi extra Ue. Il resto proviene da Africa e Medio Oriente (17%), Oceania e Americhe (13%) e Asia (14%). Il 90%, poi, vive nel nostro Paese da più di cinque anni. La teoria dell’invasione, di nuovo, scricchiola.
Per quel che riguarda l’istruzione, il livello degli stranieri in Europa riflette quello del resto della popolazione. I Paesi con una maggior proporzione di persone con istruzione universitaria hanno anche una maggior quota di immigrati laureati, quelli con una scarsa istruzione universitaria (come l’Italia) ne hanno meno. In tutti gli Stati europei la probabilità di trovare impiego, per gli immigrati, aumenta con il passare del tempo. L’Italia, a questo proposito, rappresenta un unicum. Solo nel nostro Paese, infatti, la probabilità raggiunge quella del resto della popolazione dopo sei anni di residenza. La supera, addirittura, dopo sette. Rimangono, però, le differenze di stipendio: più basso per gli immigrati, più alto per gli italiani. Il dato, spiegano i ricercatori, è dovuto alla concentrazione degli stranieri occupati in settori lavorativi meno retribuiti. Una condizione che accomuna tutti i Paesi europei, dove negli ultimi anni si è registrato un progressivo deterioramento delle condizioni lavorative degli immigrati, sempre più concentrati in occupazioni poco qualificate e poco retribuite. In tutta Europa gli immigrati hanno una maggiore probabilità di trovarsi nelle zone più basse della distribuzione del reddito. Ciò avviene in tutti i Paesi a eccezione del Regno Unito dopo il 2013. Questa situazione è più accentuata in Italia e Spagna, dove gli immigrati hanno una probabilità di trovarsi nel dieci per cento della popolazione con il reddito più basso più che doppia rispetto al resto della popolazione. «In questi ultimi anni si registra una concentrazione crescente degli immigrati in settori svantaggiati del mercato del lavoro, soprattutto in alcuni Paesi come l’Italia – si legge nelle conclusioni del rapporto – La chiusura crescente all’immigrazione per motivi di lavoro dai Paesi extra-europei può avere contribuito a generare o accelerare, questo trend».
                                                                                                                         Filippo Femia, La Stampa (1/2/2019)

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