Questo significa apprendere. All'improvviso capisci qualcosa che avevi capito da sempre, ma in un modo diverso.
Doris Lessing (1919 – 2013), The Four-Gated City, 1969
"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".
Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)
Doris Lessing (1919 – 2013), The Four-Gated City, 1969
Credi che ci sia una proporzione giustificabile tra l’orrore del 7 ottobre e il massacro di Gaza? No, non lo credo. Credi che l’esigenza di Israele di difendersi dal terrorismo giustifichi l’annientamento di civili inermi? No, non lo credo. Credi che vi sia una qualunque ragione politica che possa giustificare la morte di migliaia di bambini? No, non lo credo. Credi che sia umano affamare e umiliare una popolazione? No, non lo credo. Credi che il governo Meloni possa fare molto di più di quello che sta facendo per dissociarsi dal governo israeliano? Sì, molto di più. Credi che sia stato giusto manifestare attraverso uno sciopero generale la solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Sì, lo credo. Ma, cari compagne e compagni pro-Pal, lasciatemi però porre a voi una domanda che non ho visto in nessun vostro comunicato politico o sindacale di questi giorni: perché Hamas non ha liberato e non libera gli ostaggi? Sapete, il mio lavoro, che è lo stesso dell’ebreo Freud, mi spinge sempre a interrogare quello che resta in ombra. Chi ha più visto i volti degli ostaggi detenuti dal 7 ottobre? E quanti di loro sono davvero rimasti ancora in vita? E come hanno vissuto in questi due lunghissimi e interminabili anni? Sono diventati dei fantasmi? Degli spettri? Degli zombie? Mentre siamo assediati quotidianamente dalle terribili immagini della distruzione di Gaza, chi nel mondo si occupa più di loro? Avete mai pensato di rivendicare il diritto della loro libertà o di criticare le condizioni della loro prigionia inumana? Ma, soprattutto, perché Hamas non li libera? Non è questa la richiesta del guerrafondaio Netanyahu per porre fine alla guerra? La loro liberazione non avrebbe ottenuto almeno il cessate il fuoco immediato? Non avrebbe messo fine al massacro? E, in ogni caso, sarebbe stato tutto diverso. Ma il punto non è solo questo. Il punto è l’assenza assordante a sinistra ma, più in generale, nel dibattito politico pubblico, di questa domanda perché non è affatto una domanda secondaria: perché Hamas non libera gli ostaggi? Il loro corpo invisibile agli occhi del mondo non avrebbe il pieno diritto di reclamare la sua esistenza offesa? Cosa significa vivere diventando scudi umani? Possiamo averne un’idea? Esiste una graduatoria dell’orrore? Di fatto la scelta politica di Hamas di non liberare gli ostaggi ha trasformato il popolo di Gaza in un bersaglio militare. Ma puoi credere che questo giustifichi davvero la distruzione di ospedali, l’uccisione di giornalisti, l’affamamento di una popolazione, l’esodo forzato? No, non lo credo. Ma la domanda ritorna per me insistente: perché Hamas non ha liberato e non libera in modo definitivo gli ostaggi? Se si prova a leggere la tragedia di Gaza a partire dai corpi degli inermi il rifiuto di liberare gli ostaggi rivela la subordinazione di tutti questi corpi — quelli degli ostaggi come quelli del popolo palestinese — alla follia dell’ideologia. Perché è l’ideologia per definizione a occultare i corpi e a renderli sacrificabili. […] L’ideologia, diceva l’ebreo Freud, è una macchia cieca che ostruisce la visione rendendola parziale. Cosa significa vivere essendo trattati da scudi umani? Se ne può avere davvero un’idea? E com’è possibile fare di un intero popolo uno scudo umano? Ma credi che questo spieghi o, peggio, giustifichi la predazione delle terre e il massacro dei palestinesi inermi da parte del governo Netanyahu? No. Non lo credo. Credo però che difendere la causa del popolo palestinese non imponga la detenzione degli ostaggi se non per fare di quello stesso popolo il martire sacrificale di una ideologia di morte.
Massimo Recalcati, Repubblica (24/9/2025)
Hackett, Tony Banks ha detto che è lei a mantenere viva l’eredità del gruppo.
"Credo che Tony abbia ragione, perché cerco di onorare la
storia dei Genesis eseguendo sera dopo sera la musica dei loro primi album.
Certo, pure le tribute band lo fanno (e a volte molto bene), ma io riesco forse
a dare un’energia particolare a quel repertorio perché, quale membro originale
della band, sono stato coinvolto direttamente nella sua creazione".
Formidabili quegli anni.
"Non mi nascondo che formazioni come i Genesis oggi
avrebbero molte più difficoltà d’allora a lasciare il segno, perché la soglia
d’attenzione dell’ascoltatore s’è notevolmente abbassata e la musica è
diventata molto più industriale di quanto non lo fosse quando abbiamo
cominciato noi". [...]
Quale pensa sia stato il suo contributo più importante a ‘The
Lamb’?
"L’aver ideato molti riff accattivanti e svariate
soluzioni musicali. Fra le tante canzoni sono particolarmente orgoglioso
di Fly on a windshield e del mio assolo su The lamia".
Nel ’75 il tour di ‘The Lamb’ fu abbastanza difficile perché, con Peter Gabriel sul piede di partenza, stavate separandovi dall’elemento aveva determinato il successo della band. Com’era l’atmosfera su e giù dal palco?
"Per la stima e il grande rispetto che ho sempre nutrito
nei suoi confronti, avrei voluto Peter con noi ancora a lungo. Ma capivo anche
il suo bisogno di autonomia. Così tutti mettemmo da parte le divergenze interne
per creare uno spettacolo eccezionale, ben sapendo che sarebbe stato
l’ultimo".
Intervista a Steve Hackett di Andrea Spinelli - Il Resto del
Carlino (30/8/2026)
È ciò che noi sappiamo dell'amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.
Emily Dickinson (1830 – 1886)
21st Century Schizoid Man
(Uomo schizoide del ventunesimo secolo)
La zampa del gatto, artiglio di ferro
I neurochirurghi urlano a lungo
Alla velenosa porta della paranoia
Uomo schizoide del ventunesimo secolo
Un tormento di sangue, filo spinato
Un rogo di politici
Innocenti stuprati con il fuoco del napalm
Uomo schizoide del ventunesimo secolo
Il seme della morte, la cupidigia dell’uomo cieco
Poeti affamati, bambini sanguinanti
Non ha realmente bisogno di nulla di ciò che ha
Uomo schizoide del ventunesimo secolo
King Crimson (1969)
Venerdì l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato a larga maggioranza l'approvazione di una dichiarazione che delinea «passi tangibili, vincolanti e irreversibili» verso una soluzione a due Stati tra israeliani e palestinesi. Una dichiarazione —142 voti a favore, 10 contrari e 12 astenuti — che precede di pochi giorni l'incontro dei leader mondiali del 22 settembre a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui Gran Bretagna, Francia, Canada, Australia e Belgio dovrebbero riconoscere formalmente uno Stato palestinese. Nelle stesse ore in cui alle Nazioni Unite si votava una risoluzione per riaffermare l'urgenza della soluzione a due Stati, Benjamin Netanyahu dichiarava pubblicamente, da Ma'ale Adumim, che «non ci sarà mai nessuno Stato palestinese», aggiungendo «questo posto è nostro». Netanyahu, a Ma'ale Adumim, ha anche ironizzato su chi continua a definire «territori occupati» le aree di Giudea e Samaria, dichiarando provocatoriamente che «sono occupati, ma da Giosuè bin Nun», evocando la conquista biblica. Bezalel Smotrich lo ascoltava sorridendo, entusiasta. […] La firma dell'accordo per avviare la costruzione di migliaia di nuove unità abitative nell'area El - da decenni considerata una «linea rossa» persino da alleati occidentali di Israele -è un colpo deliberato al cuore della soluzione a due Stati, perché urbanizzare l'area El significa separare fisicamente Gerusalemme Est da Betlemme e Ramallah, spezzando ogni continuità territoriale e vanificando la possibilità di uno Stato palestinese indipendente e vitale. Quelle di Netanyahu, dunque, non sono solo dichiarazioni politiche: sono dichiarazioni d'intenti che si oppongono frontalmente al linguaggio ufficiale della diplomazia internazionale. La fotografia che tutto questo ci consegna è che mentre le diplomazie votano "dichiarazioni di intenti" e "condanne", i bulldozer avanzano. Mentre si invocano soluzioni negoziate, si stabiliscono "fatti compiuti" che svuotano di senso quelle stesse soluzioni. Il paradosso è che la soluzione a due Stati, lungi dall'essere un progetto radicale, è ormai diventata uno slogan ripetuto quasi meccanicamente, più per inibire un pensiero politico alternativo che per proporre una visione realistica. Netanyahu lo sa. E lo dice apertamente: «Non ci sarà nessuno Stato palestinese. Questo posto è nostro». E lo dice mentre il mondo finge di continuare a credere nella soluzione a due Stati. E allora viene da chiedersi: a cosa serve il linguaggio della diplomazia se non ha più corrispondenza con la realtà? E se la realtà viene manipolata con tale spregiudicatezza, chi ha il coraggio di chiamarla per nome? Quando oggi le istituzioni europee e il Consiglio di Sicurezza riaffermano il proprio sostegno alla «soluzione a due Stati», lo fanno più per mascherare un fallimento che per indicare un orizzonte concreto. È una dichiarazione fatta di parole che hanno perso ogni forza prescrittiva, trasformandosi in un atto simbolico, quasi liturgico. Si proclama ciò che non si è mai davvero voluto o saputo realizzare. […] La filosofia politica ci insegna che il linguaggio politico è performativo solo quando è legato all'azione. Senza atti conseguenti, le parole diventano strumenti di oblio, non di trasformazione, perciò dire «due Stati» è diventato un modo per non dire: per non affrontare la realtà attuale di apartheid, per non intervenire su quella realtà che si è lasciata consolidare giorno dopo giorno. Questa è la vera crisi della soluzione a due Stati: non solo l'impossibilità concreta di realizzarla, ma il suo svuotamento semantico. Due Stati oggi è diventata una formula vuota, pronunciata da chi non crede più alla sua possibilità ma non vuole assumersi la responsabilità di dichiararne il fallimento, è una posizione difensiva, non propositiva; e spesso è funzionale a evitare di prendere misure contro chi quella soluzione la sabota ogni giorno con politiche di annessione, segregazione e sfollamento forzato. Il sostegno a quella che fu una proposta di giustizia oggi rischia di diventare un alibi dell'inerzia. Se l'Europa vuole ancora credere in quel modello, ha il dovere non solo di dirlo, ma di agire: riconoscendo la responsabilità di chi lo ostacola, sanzionando le violazioni del diritto internazionale, smettendo di separare la diplomazia dalla coerenza morale. Altrimenti, la "soluzione a due Stati" rimarrà non un progetto, ma una frase vuota, ripetuta per lavarsi la coscienza.
Francesca Mannocchi, La Stampa (15/09/2025)
La vita ha senso, un senso unico; va in avanti, non c'è la moviola, le giocate non si ripetono e non si possono correggere. Per questo bisogna riflettere su quello che uno vuole e pensare a quello che si fa.
Fernando Savater, Etica per un figlio (2004)
E’ più pericoloso per l'Europa e l'Italia (ma anche per il mondo intero) l'accordo che è nato nei giorni scorsi a Pechino fra Cina e Russia e gli altri Paesi asiatici o l'avanzata, inarrestabile delle criptovalute? Mentre negli ultimi giorni le immagini e le cronache da Pechino delle plurime cerimonie per il vertice asiatico convocato dal presidente cinese Xi Jinping hanno avuto larghissimi spazi su tutti i media, negli Usa si consumava un altro atto significativo dell'avanzata delle criptovalute: i gemelli Winklevoss, protagonisti del settore come gestori della borsa di criptovalute chiamata Gemini, hanno ricevuto l'autorizzazione per la quotazione della stessa Gemini nel più dinamico e teoricamente formale mercato borsistico, il Nasdaq di New York. Come dire che se la seconda borsa americana riconosce Gemini come società credibile (valore circa 2 miliardi di dollari), per transizione, c'è un altro riconoscimento formale delle criptovalute. Del resto, da questo lato, è notorio, come vedremo, che il primo benefattore di chi opera nelle criptovalute è lo stesso presidente Donald Trump, che nella mitica Tower di New York ha anche gli uffici non solo del suo dipartimento di cripto seguito dai SO ma anche la sede di una delle società più lanciate del settore. […] Non ci sarebbe bisogno di ricordare il fatto che da sempre il battere moneta è stato il potere degli Stati o di chi si è sostituito agli Stati diventando esso dittatore. Il particolare che le cripto non hanno neppure bisogno di una zecca fa capire che sulla rete chiunque può dire (e infatti ciò avviene) che ha creato una criptovaluta. Sarebbe ciò, Bellezza, la dimostrazione della democratizzazione del mercato? No, sarebbe ed è l'anticamera dell'anarchia e della legittimazione di possibili continui falsi. Eppure, non come negli Usa da parte di Trump, ma anche in Europa si assiste a una inclinazione da parte della presidente della Bce, Christine Lagarde, verso una apertura sempre maggiore verso le stablecoin, non essendo ella favorevole a limitazioni nelle regole relative, denunciandone solo i pericoli per la stabilità bancaria e monetaria, per giunta dopo che la Commissione Europea le ha legittimate. La Lagarde si limita a valutare un aspetto del problema, mentre la diffusione delle cripto investe l'intero settore finanziario, né denuncia le implicazioni delle scelte di Trump per risparmiatori e operatori europei. Non vi è dubbio che se solo una persona pensa ai suoi rapporti con la banca di fiducia, rileva che la materialità delle transazioni con il prelievo o il versamento di banconote non esiste quasi più, ma per lui anche le transazioni per via digitale si esprimono nella moneta ufficiale, ossia i euro, che la legittimazione monetaria delle cripto ne sconvolge il ruolo centrale. […] Non ci vuole molto a capire che siamo di fronte a una possibile guerra valutaria con un inevitabile interlocutore occidentale, nella persona del presidente Trump, che è già privatamente operativo per interessi personali sulle criptovalute nel cui mercato pesa la sua famiglia. Un ennesimo esempio di come la deregolamentazione e ricerca di totale libertà e non rispetto del proprio ruolo pubblico nei confronti degli intessi privati da parte del presidente Trump, possa far passare mesi e forse anni molto duri al resto del mondo. Ma tutto questo è comunque meno grave di quanto la politica estera di Trump abbia determinato o comunque incentivato sullo scacchiere mondiale. Infatti l'apertura della guerra commerciale con i dazi verso mezzo mondo e in particolare verso i due grandi Paesi asiatici, la Cina e l’India, sommati e avvicinatisi alla Russia, ha incentivato quanto è avvenuto nei giorni scorsi a Pechino. Storicamente i rapporti fra la Russia e la Cina, nonostante la comune ideologia comunista, non sono mai stati cordiali per decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale. […] E ora il mondo è nei guai, perché con la disinvoltura che lo contraddistingue l'oligarca di Mosca, il caracollante (quando cammina) Vladimir Putin, certo sfruttando il mood del presidente Xi Jinping, ha di fatto riedificato una grandissima muraglia fra la Cina e Washington. Un rapporto, quello che aveva ricreato Kissinger, che avrebbe potuto far entrare il mondo in un'altra dimensione e in un'altra prospettiva. Invece, per l'approccio di Trump, tutto rivolto a Mosca, la Cina, con tempismo, sfruttando il significativo ottantesimo anniversario della vittoria cinese nella seconda guerra mondiale e quindi di fatto del periodo di alleanza con gli Usa, ha ricompattato intorno a sé il mondo asiatico. Vede Signor Presidente Trump, cosa succede a fidarsi di Putin! Il presidente russo l'ha fregata due volte: nel portarLa a spasso per la guerra m Ucraina e, grazie alla di Lei sconfitta in questo obiettivo di pace, è corso a Pechino, dove al presidente Xi non è parso vero di diventare il centro dell'altro mondo. Ora la situazione è davvero pericolosa, essendo stato buttato nel cestino il messaggio di un centenario del livello di Kissinger. A ricompattare l'Asia è stato inevitabilmente il gesto di Washington, e specifico di Trump di voler mettere dazi ai Paesi fra loro storici avversari trasformandoli così in alleati, come la Cina e l'India, che hanno ritrovato solidarietà nell'unione contro gli Usa e stanno avviando programmi comuni. Bel regalo che il presidente Trump ha fatto agli Usa e inevitabilmente anche all'Europa.
Paolo Panerai, Orsi & Tori - Milano Finanza (6/9/2025)
Non so se mi crederete. Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l'altra metà a credere in ciò che altri deridono Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini, e il vento dà ai rami degli oleandri lente movenze di alga. Non so dire se cercassi qualcosa, o se fossi inseguito: ricordo che erano tempi difficili ma io ero, per qualche strana ragione, felice.
Stefano Benni, Il bar sotto il mare (1987)
“Da quando è nata la religione, abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci dica cosa fare. Cerchiamo di dare un senso alla vita, un significato. Tu mi racconti questa storia, io ci credo, mi ci aggrappo. Questo mi dà un senso di equilibrio in questa follia. La tecnologia lo ha esasperato, certo, c’è più possibilità di connettersi, l’algoritmo ti studia e ti ripropone le stesse cosa. Questo ha reso molto facile cadere in queste trappole. Penso soprattutto ai nostri adolescenti che passano tutto il tempo online, che vengono bullizzati, presi di mira per qualcosa, e cadono in queste tane del Bianconiglio come se questa fosse davvero l’unica realtà, l’unica esistenza. È terrificante? Sì, ma in realtà non credo che sia una novità”.
Emma Stone, intervista a cura di Stefania Ulivi - Corriere della Sera (29/08/2025)
Giorgio Armani
La quota dell'Europa nell'economia globale è probabilmente la più «bassa dal Medioevo». Lo scrivono sul Wall Street Journal, citando il Maddison Project di Groninga nei Paesi Bassi, i giornalisti economici David Luhnow e Tom Fairless. Che spiegano come «il lungo periodo di debole crescita europea ha creato un grande divario di reddito tra Stati Uniti ed Europa. La ricchezza delle famiglie europee è cresciuta di un terzo rispetto a quella americana dal 2009. Il Pil pro capite negli Stati Uniti è ora di 86.000 dollari all'anno, contro i 56.000 dollari della Germania e i 53.000 del Regno Unito». (E l'Italia? Sotto). Ancora: «Il 13 maggio SpaceX di Elon Musk ha lanciato in orbita 28 satelliti in un solo giorno, uno degli oltre 100 lanci orbitali statunitensi quest'anno. La Cina da gennaio ha inviato nello spazio più di 4o razzi. La Russia, impantanata dalla guerra in Ucraina, ne ha lanciati dieci. L'Europa quattro». Ancora: «In assenza di crescita economica, gli stati sociali europei, che rappresentano la metà della spesa sociale del pianeta, saranno sottoposti a una crescente pressione a causa dell'invecchiamento della popolazione. L'europeo medio ha 45 anni, rispetto ai 39 dell'americano e si prevede che la popolazione in età lavorativa diminuirà di quasi 5o milioni entro il 205o, lasciando meno lavoratori a pagare per un maggior numero di pensionati». Ancora: «Dieci anni fa, quattro aziende europee si classificavano per fatturato tra le prime io al mondo. Oggi, la più grande azienda del continente per valore di mercato, la società di software tedesca SAP, è al 28° posto. La quota di mercato degli Stati Uniti nelle valutazioni azionarie globali è rimasta stabile al 48% dal 2000, ma quella dell'Ue è scesa dal 18% al 10%». Ancora: «L'invecchiamento della popolazione comporta costi sanitari e pensionistici molto più elevati, sostenuti da una popolazione in età lavorativa che si prevede diminuirà di circa 2 milioni di persone all'anno in media entro il 2050, secondo il think tank Bruegel di Bruxelles. Una possibile soluzione è che i Paesi europei incoraggino l'immigrazione di giovani lavoratori. Ma finora...». Nel frattempo il campo largo viaggia a Napoli verso l'accordo su Fico e De Luca Junior, la Lega pare spuntarla sul Veneto, Meloni e Salvini bisticciano su chi chiuderà il meeting di Rimini, Decaro in Puglia non vorrebbe la tutela di Emiliano... Funiculì funiculà...
Gian Antonio Stella, Corriere della Sera (27/08/2025)
|  | 
| Micol&Mirco, da google.it | 
1. The View, Under The Rug – (Ropewalk – 2015) – Tappeto
2.     
The
Cranberries, Zombie – (No
Need to Argue – 1994) – Realtà
senza cuore
3.     
Roy Paci
& Aretuska, Sicilia Bedda – (Tuttaposto
– 2003) – Il
Kebabgate siculo
4.     
Procol
Harum, Boredom – (A
Salty Dog – 1969) – Maledetti
noiosi
5.     
Stefano Di
Battista, Fantozzi Blues – (La
voce di Fanzozzi – 2018) – Paolo
Villaggio in Fantozzi
6.     
Braxton
Cook, Statistics – (Who
Are You When… – 2023) – Paura
della statistica
7.     
Oasis, Stand By Me – (Be
Here Now – 1997) – Stand
By Me
8.     
Mika
feat. Ariana Grande, Popular Song – (The
Origin of  Love – 2012) – Pippo icona Pop
9.     
Steve
Ray Vaughan, Crossfire – (In
Step – 1989) – Incontro
tra predatori
10.  
Ten
Years After, I’ve Been There Too – (A
Space in Time – 1971) – La
nostra gratitudine
11.  
Adele, Water Under the Bridge – (25
– 2015) – Il
ponte che non c’è
12.  
The
Kinks, You Really Got Me – (Kinks
– 1964) –
Ispirazione
13.  
Vinicio
Capossela, La crociata dei bambini – (Tredici
canzoni urgenti – 2023) – Anestesia
collettiva