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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 26 dicembre 2011

Giorgio Bocca


Il giornalista Giorgio Bocca si è spento ieri nella sua casa di Milano, all’età di 91 anni.
Fra i fondatori del quotidiano La Repubblica, in tanti anni di professione ha raccontato, con i suoi corsivi e le sue inchieste, la storia del nostro Paese.

Su Repubblica.it il ricordo di Fabrizio Ravelli
  «C'è questo momento fondamentale: il partigiano Bocca che, deposte a forza le armi, decide che per "tenere in piedi la baracca" c'era di meglio che buttarsi in politica. C'era da raccontare un Paese, da viaggiare e riferire, da incontrare gente e interrogarsi.

E' quello che ha fatto per tutta la sua seconda vita, mai dimenticando quella prima da partigiano che l'aveva formato per sempre. La sua unica, sbrigativa lezione, risale sempre a quegli anni: "Il mestiere del giornalista è molte cose che si imparano: scrivere chiaro e in fretta, avere capacità di sintesi, non perdersi nei dubbi e nelle esitazioni, ma anche essere colto, aperto al mondo e alle sue lezioni, capace di emozioni, di solidarietà umana": E ai giovani che gli chiedevano quale fosse il segreto (e si chiamavano Egisto Corradi, Bernardo Valli, Angelo Del Boca, Alberto Cavallari, Gigi Ghirotti), Bocca riservava una piccola rivelazione: "Non preoccupatevi, se un segreto c'è, è quello che avete già in testa, il segreto di chi ha orecchio per i suoni del creato, di chi ha occhio per la caccia, dello schermidore che sa parare e tirare". (…)
E sempre volentieri Bocca è tornato sui luoghi della sua formazione, le montagne amate e vissute, di quando da "viaggiatore spaesato" (è il titolo di uno dei suoi libri più belli) riandava a rifugiarsi nella casa valdostana. Cercando il senso dello spaesamento nel silenzio della neve, scrutando aquile e gatti, alberi e prati. Nell'ultima pagina di "E' la stampa, bellezza! La mia avventura del giornalismo" consegnava brusco una piccola lezione: "Ecco, la chiarezza come dote regina del giornalismo. Spesso cambiata per faciloneria o irresponsabilità, ma da cercare sempre, in modo che alla fine del viaggio uno possa dire: non ho camminato alla cieca, non ho capito tutto, ma i nostri grandi vizi e le nostre umane virtù li ho riconosciuti"». http://www.repubblica.it/spettacoli-e cultura/2011/12/25/news/bocca_il_cronista_dell_italia_liberata_dalla_resistenza_al_nuovo_millennio-27109820/?ref=DRM-27206650-2

Altro interessante intervento, in ricordo del giornalista scomparso, è quello di Giuliano Ferrara (Il Foglio.it):
 Non starò a raccontare come e perché ce le siamo date di santa ragione tutta la vita, da quando ero un cucciolo e lui già un adulto cattivo con l’età dei miei genitori, e ce le siamo date da fegatosi, da irascibili, da fieri nemici assoluti su tutto, la politica, il terrorismo, la storia, il Partito comunista, gli azionisti, il fascismo, l’antifascismo, le rispettive ossessioni come Berlusconi, come Craxi, come la corruzione e la questione dell’etica, ma anche il giornalismo, la sua incerta e un po’ sozza morale, la corrività, l’indulgenza e la condiscendenza inguaribili della sua lobby editoriale di Repubblica e dell’Espresso.(...) Quel Giorgio Bocca che ora è morto a novantuno anni era un capitano, non il mio capitano, ma un capitano dello scellerato dovere di scrivere, di guadagnarsi il pane e molto companatico con le vite degli altri, con il maltrattamento della patria sempre evocata e sempre rozzamente servita, con la manipolazione e la dissimulazione oneste (ma fino a un certo punto), e con la secchezza scabrosa di un modo di battere a macchina furiosamente, una successione sillabica come un presto, prestissimo, che era come parlare a un vecchio registratore Geloso con la sorveglianza di qualche libro letto, di un codice sempre tradito, di una passione piena di narcisismo e di ignominiosa voluttà di vivere, imporsi, trionfare costi quel che costi, in tutta fretta.Bocca era un grande artista del pregiudizio. In questo mi era e ci era a suo modo maestro. Era un lucido beone, una razza che ho sempre apprezzato e invidiato, uno che non aveva mai paura di sputtanare e di essere sputtanato, un filibustiere con una deontologia da chirurgo, di quelli che se possono salvano e se non possono ammazzano, ma che sanno sempre di che si tratta quando ci siano di mezzo il sangue e il sentimento della vita umana fragile, imperfetta. Esibiva il pregiudizio, ne faceva una specie di potente e acuminato ferro del mestiere, un arnese di scasso della realtà, e la sapeva mettere in vetrina, la realtà che acciuffava come una preda, con furia animalesca, sessuale, per come la vedeva lui, e lui solo, e per come pensava dovessero vederla gli altri, i lettori comuni nella loro identità sbiadita ma necessaria, i lettori i nomenclatura, i politici, gli editori, i ricchi, i compagni e i nemici, i traditori e i leali, i fedelissimi e gli ambigui.         http://www.ilfoglio.it/soloqui/11688