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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

mercoledì 10 luglio 2024

Elezioni francesi

Chi ha vinto? Chi ha perso? Dopo una campagna elettorale ricca di colpi di scena, compreso evidentemente il finale imprevisto (solo intravisto, in realtà, dai sondaggi), non è impossibile capire chi ha oggi migliori prospettive per il futuro politico. La situazione è in rapido sviluppo, ma qualche punto fermo non manca.

Emmanuel Macron

Non ha perso, ma non ha vinto. Il presidente è stato fortemente criticato per la sua decisione di sciogliere l’Assemblée, senza consultare praticamente nessuno. Oggi qualcuno rivaluta la sua scelta: l’alternativa sarebbe stata vedere il governo, di minoranza, continuamente eroso dalla propaganda dei lepenisti “vittoriosi” alle Europee. Non tutto è però andato come lui desiderava, probabilmente. Non ha previsto il cartello elettorale della sinistra, che probabilmente si scioglierà presto (ma non subito). Uno scenario che vedeva Bardella incaricato primo ministro, costretto a rinunciare subito o dopo un infruttuoso tentativo sarebbe stato, per il presidente, molto più proficuo politicamente. Ora sarà costretto, verosimilmente, a una difficile demi-cohabitation con i Républicains e una parte della sinistra. 

Gabriel Attal

Ha mantenuto la rotta, e ha avuto ragione. Il giovane primo ministro non sarà riconfermato nella carica ma ha da subito aperto la porta a una coalizione del “campo repubblicano”, dai gollisti fino alla sinistra non radicale, per il dopo elezioni. La sua vicinanza, in passato, al Parti socialiste lo ha aiutato ha tenere le porte aperte. Molti dei suoi ministri, e degli alleati di Macron non hanno capito e hanno adottato un approccio più rigido, soprattutto nel momento in cui si è trattato di decidere le desistenze, le rinunce alla candidatura per favorire lo sbarramento al Rassemblement nationale. È stato un errore: oggi la sinistra può rivendicare di aver contribuito all’affermazione del campo presidenziale e, nello stesso tempo, rimproverare ai macroniani di non aver fatto lo stesso fino in fondo. La distanza con Bardella, in termini di competenze e capacità di governare, emersa nel dibattito televisivo, ha sicuramente contribuito al risultato finale.

Marine Le Pen

Ha perso, inequivocabilmente. La vittoria alle Europee è stata la fonte della sconfitta alle Legislative e ora deve sciogliere questo paradosso per poter andare avanti. Ha sbagliato molti passaggi: ha tentato, negli ultimi giorni, di recuperare la visibilità perduta nei confronti del “delfino” Jordan Bardella, più bravo nell’intercettare il voto dei giovani (che restano però più affezionati alla sinistra) e nella de-diabolisation del partito. Ha fatto intravvedere un governo in continuo conflitto con il presidente, pronto a contestare le prassi costituzionali; ha evocato un colpo di stato amministrativo, che non c’è stato, così come nelle scorse settimane aveva parlato di un colpo di Stato di fronte alle sentenze del Conseil Constitutionnel che hanno abrogato alcune norme della legge sull’immigrazione. Sostenuta apertamente da Mosca, ha preso sull’Ucraina posizioni che, di fatto, aiutavano Putin, come il no all’uso delle armi francesi sul territorio russo. Troppi candidati, infine, «non dovevano essere candidati», come ha ammesso il vicepresidente del partito Louis Alliot: hanno ricordato che il vecchio Front national non è morto. Rispetto a Bardella è stata però più “istituzionale” nel riconoscere la sconfitta. Come se non ne fosse del tutto scontenta: «La vittoria è stata rinviata». Pensa alle presidenziali, ma il suo tempo potrebbe essere finito.

Jean-Luc Mélenchon

Vuol far credere di aver vinto, ma è destinato quasi sicuramente a perdere. Non è alla guida della coalizione della sinistra, che mal lo sopporta e, a differenza di quanto avvenne nel 2022, non lo ha indicato come candidato primo ministro e anche oggi, dopo il voto, prosegue su questa strada. Ha perso peso nella coalizione, le sue rigidità hanno allontanato diversi dissidenti – alcuni dei quali sono stati rieletti – e altri si sono sganciati dalla France Insoumise subito dopo il voto. È stato abile nel rivendicare per primo la vittoria e l’incarico di governo per il cartello elettorale del Nouveau front national, ma non può ottenere entrambi i suoi obiettivi: non restare isolato e non cedere sul proprio programma di democrazia radicale. Almeno uno dei due va abbandonato, più probabilmente il primo, anche per la situazione politica complessiva.

Marine Tondelier

È, al momento, l’astro nascente della sinistra francese. Segretaria degli Ecologistes, si è fatta notare per aver recuperato quell’approccio pragmatico che ha sempre caratterizzato i Verts, e che si era un po’ perso dopo la vittoria alle Europee del 2019 e, soprattutto, dopo le Amministrative del 2021. Nel voto per Strasburgo di giugno ha bloccato le ambizioni di Mélenchon, impedendo che si creasse un nuovo cartello delle sinistre guidato dal leader di La France Insoumise: è stata la scelta che ha poi permesso la nascita del Nouveau Front National su basi profondamente diverse dal cartello Nupes del 2022. Anche dopo il voto ha subito precisato che l’incarico di formare il governo non potesse andare all’alleato-rivale. Già in campagna elettorale ha invitato tutti a «essere adulti», senza troppo sbilanciarsi sulle possibili alleanze, ma facendo intravvedere un approccio molto aperto.

Riccardo Sorrentino, il Sole 24 Ore (8/7/2024)

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