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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 13 gennaio 2023

Pizza

Pizza. C'è forse parola più capace di fare venire l'acquolina in bocca agli otto miliardi di inquilini del condominio chiamato Terra? Che la pizza sia il cibo più popolare del pianeta non lo diciamo noi, lo dice Google quando si digitano le parole most+popular+food+world sul motore di ricerca. Pizza. Pizza. Pizza. Neapolitan. Pepperoni. Sicilian. Margherita. Da un piatto così universale ci si aspetterebbe tradizione e conservazione, al massimo le sgrammaticature che siamo soliti attribuire alle pizze expat, ricolme di ananassi e altri ingredienti offensivi. E invece la pizza ha dato prova negli ultimi anni di un’inaspettata vitalità, diventando il vero cibo del terzo millennio, palestra di sperimentazione e perfino avanguardia, anello di congiunzione tra il tinello e la sala delle cerimonie, tra la cucina familiare e il fine dining. Ma quando è accaduto tutto questo? Secondo Albert Sapere, gastronomo e ideatore di 50 Top Pizza, la guida che da qualche anno mette in fila le migliori pizzerie d'Italia, d'Europa e del mondo, si può individuare una data della rinascita della pizza ed è il 2008. «Con la crisi economica seguente alla bancarotta di Lehman Brothers un pubblico borghese si è avvicinato alla pizza. Un pubblico che era abituato a buoni ingredienti, a buone birre e a buoni vini e ha iniziato a chiederli ai pizzaioli. E la domanda ha creato l'offerta». Così la pizzeria è diventata un luogo dove l'avanguardia si mangia a costi accessibili, «dove una famiglia di tre persone con 70-80 euro si diverte e può andarci anche due volte a settimana, mentre al ristorante con questa cifra non ti diverti, devi andare in un posto di bassa qualità con prodotti di bassa qualità». La domanda ha creato l'offerta, ma poi l'offerta ha modellato la domanda grazie a una generazione di pizzaioli oggi più o meno quarantenni che «ha colto questa tendenza e ha voluto fare qualcosa di differente da chi l'aveva preceduta», lavorando da un lato sulla qualità delle farine, sulla tecnica dell'impasto e della sua maturazione; e dall'altro sulla varietà degli ingredienti, ciò che ha trasformato la pizza in un piatto-laboratorio, non solo da condire ma sul quale cucinare. (…) Ma in tutto questo, Napoli? È ancora la capitale della pizza? E deve sentirsi orgogliosa o minacciata dalla globalizzazione di un piatto che da 5 anni tondi (è proprio il caso di dire) è patrimonio immateriale dell'umanità? Dal golfo arrivano messaggi contraddittori. Da un lato «Napoli resta la capitale spirituale della pizza, dove si mangia la migliore, il posto a cui tutti guardano», garantisce Sapere. Ed è vero del resto che la scena partenopea ha saputo a sua volta rinnovarsi al di là di ogni aspettativa. Ma ancora oggi rigurgiti di campani/lismo risalgono ogni qual volta l'identità della pizza sembra confondersi in un qualsivoglia esperanto. Ne è dimostrazione la polemica innescata da qualche grande firma della pizzologia napoletana quando l'imprenditore Flavio Briatore, mesi fa, ha preso a vendere le sue Crazy Pizzas nelle sue insegne Dubai-style (ma anche a Roma e a Milano) a prezzi folli. Per tutti ma non per coloro sensibili al lusso dello scontrino: 15 euro una margherita (che da Martucci, numero uno al mondo, sta a meno della metà: 7 euro), 49 una Tartufo (con tartufo nero, si badi) e 65 una Pata Negra con jamón Joselito, la Ferrari dei prosciutti. Polemiche inutili, stucchevoli, che servono solo a dimostrare l'«appropriazione culturale» ormai ultimata da parte del jet set di un piatto-Cenerentola, nato povero e ormai sedotto dal principe azzurro, che lo ha portato a corte. Interessante semmai il fatto che la gazzarra ormai si alzi soltanto sulla questione del prezzo, un po' come avviene per un altro vanto gastronomico di Napoli, il caffè. Prodotti per i quali sembra resistere il concetto di prezzo politico, che non deve superare mai un certo livello, che per la margherita potremmo collocare, a Napoli, a cinque euro. Al di sopra è una bestemmia, anzi una jastemma come dicono sul golfo. Del resto la pizza ha proprio tutto: è facile, veloce, buona, versatile, deliverabile, comprensibile, condivisibile, autenticamente popolare. Deve solo non montarsi la testa.

Andrea Cuomo, Il Giornale (10/1/2022)


Canzone del giorno: Fatte 'na pizza (1993) - Pino Daniele
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