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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

domenica 16 agosto 2020

Sapone

Lui non usa lo shampoo, il deodorante, neppure il sapone, da cinque anni. Eccetto che per le mani (che anzi raccomanda fortemente di lavarsi bene). E lo fa scientificamente. Lui è James Hamblin, 37 anni, americano, medico che insegna alla Yale School of Public Health oltre che autore di testi scientifici e podcast per la rivista The Atlantic. Pure in tempi di politicamente corretto a tutti i costi e di cancel culture, insultare qualcuno che non si lava è ancora valido. Pensa poi durante una pandemia per un virus infettivo. Insomma, la sporcizia è l’ultimo tabù sociale. «È una delle poche cose rimaste per le quali ci sentiamo nel giusto nel dire a una persona che fa schifo – ha detto Hamblin al Guardian – E per me onestamente è incredibile». La sua teoria sul meno sapone meglio è, la spiega nel libro fresco di uscita Clean: The New Science of Skin and the Beauty of Doing Less, partendo proprio dalla sua esperienza personale.
Dopo essersi trasferito dalla California in un monolocale a Brooklyn, New York, per intraprendere la carriera di scrittore, Hamblin racconta di aver avuto bisogno di risparmiare tutto: tempo, denaro e spazio. E mentre diminuisce per necessità i detergenti da doccia, si imbatte anche nella scienza emergente del microbioma, di cui diventa studioso appassionato. Molto in breve, la nostra pelle e il nostro intestino sono colonizzati da trilioni di microbi che conducono vite simbiotiche con noi umani. Germi che hanno funzioni fondamentali nello sviluppo del nostro sistema immunitario, nel proteggerci dagli agenti patogeni e nel diminuire anche la probabilità di condizioni autoimmuni come l’eczema. «Pensiamo erroneamente alla nostra pelle come una barriera, ma invece è più un’interfaccia dinamica con l’ambiente in cui viviamo».
Insomma quando usiamo litri di detergenti (che inquinano pure) li spazziamo via, anche se ormai la consapevolezza che non sia proprio una buonissima idea è piuttosto cementata. Così nonostante i progressi nella cura della pelle e nella medicina moderna, condizioni come acne, eczema e psoriasi sono aumentate costantemente e potrebbero in parte essere il risultato di una scarsa esposizione ai patogeni ambientali, specialmente durante l’infanzia. Teoria che potrebbe suonare piuttosto impopolare in tempi di emergenza planetaria per il Covid, che tra i metodi preventivi più raccomandati ha proprio il lavarsi bene le mani con sapone e gel disinfettanti. Ma Hamblin ha la risposta pronta.
Più di una ricerca ha rivelato che molte persone non si lavano le mani quando conta: prima di mangiare e dopo essere andati in bagno. Mentre si tirano a lucido, si profumano abbondantemente, si idratano e si esfoliano con cura (funzione che probabilmente assolvono già perfettamente gli acari microscopici che vivono nei nostri pori mangiando la pelle morta). Secondo Hamblin la crociata contro l’odore naturale del corpo umano è nata come una strategia pubblicitaria che ha imposto al pulizia come principale attributo per essere socialmente accettabile. (...) Secondo uno studio uscito nel 2016 sul New England Journal of Medicine, una comunità di Amish in Indiana aveva tassi quattro volte più bassi di asma e sei volte meno allergie rispetto a una comunità di Hutterite geneticamente simile nel South Dakota. La differenza fondamentale, spiegano i ricercatori, era che gli Amish erano cresciuti avendo interazioni quotidiane con gli animali e con la terra della fattoria. Molto meglio il fango del sapone.

Emanuela Griglé, La Stampa (14/8/2020)

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