nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

giovedì 13 giugno 2013

Usato

Usato sicuro?
Si potrebbe fare un elenco smisurato dei vari motivi per cui, negli ultimi anni, la macchina amministrativa locale non ha funzionato. Dinanzi ai molti sfracelli della crisi e alle innumerevoli inadempienze delle giunte comunali, il popolo d’iscritti ai collegi elettorali ha reagito in modo differente alla chiamata alle urne per l'elezione del sindaco.
Un numero considerevole di persone ha deciso di disertare le urne e l’astensionismo è arrivato ai massimi livelli!
Coloro che hanno, invece, deciso di esprimere il proprio voto, si sono affidati, in moltissimi casi, alla "tranquillità" psicologica di orientare la scelta verso lidi partitici più sicuri e, com’è accaduto in Sicilia, si rimettono alla prova nomi che hanno già provato l'esperienza (tanto ambita) di sedere sulla poltrona riservata al primo cittadino.
Come ci ricorda Marcello Sorgi su La Stampa di ieri, il ricorso all’usato sicuro era già accaduto lo scorso anno con l’elezione a Palermo di Leoluca Orlando. Si ripropone oggi con la rielezione a Catania di Enzo Bianco: «sono due i sindaci richiamati in servizio dopo 20 anni, alla guida delle due maggiori città dell’Isola. Sessantenni, con due storie politiche diverse alle spalle, Bianco e Orlando hanno in comune il fatto di aver attraversato indenni la Prima e la Seconda Repubblica, e adesso di collocarsi in posti di tutto rispetto anche nella Terza. (…) Si dirà che la Sicilia è un mondo a parte. Ed è vero. Un’isola che nel giro di dieci anni passa dal famoso 61 a zero di Berlusconi contro la sinistra, a cancellare dalla guida delle sue città tutti i primi cittadini di centrodestra, o che a ottobre accoglie a braccia aperte Grillo che attraversa a nuoto lo stretto di Messina, riempie per lui le sue piazze più belle e nove mesi dopo gli volta le spalle, una regione che mette insieme - con Crocetta e i due redivivi di Catania e Palermo - il massimo del nuovo e l’usato collaudato, non è affatto facile da interpretare. Eppure in questa specialità siciliana c’è una traccia, un segnale, l’indizio di qualcosa che domani, chissà, o forse dopodomani, potrebbe farsi strada anche nel resto del Paese, afflitto dalla disillusione e dal pessimismo. L’idea, cioè, che dopo esserci disgustati del vecchio, e dopo aver sperimentato invano il nuovo per vent’anni, stia arrivando il momento di tornare sui nostri passi. “Megghiu ’u tintu canusciutu ru bonu a canosciri” (“Meglio un «cattivo» conosciuto piuttosto che un «buono» da conoscere”), dice appunto un vecchio proverbio siciliano». 



Canzone del giorno: Security (2004) - Joss Stone
Clicca e ascolta: Secuity....


La Stampa (12/6/13) - Marcello Sorgi

Enzo e Leoluca vent’anni dopo L’eterno ritorno siciliano

Tra i risvolti dei risultati elettorali in Sicilia ce n’è uno, imprevedibile e sorprendente: con la rielezione di Bianco a Catania, dopo quella di Orlando l’anno scorso a Palermo, sono due i sindaci richiamati in servizio dopo 20 anni, alla guida delle due maggiori città dell’Isola.  
Sessantenni, con due storie politiche diverse alle spalle, Bianco e Orlando hanno in comune il fatto di aver attraversato indenni la Prima e la Seconda Repubblica, e adesso di collocarsi in posti di tutto rispetto anche nella Terza. Bianco, per dire, era il pupillo di Ugo La Malfa (morto nel 1979, trentaquattro anni fa), quando dirigeva i giovani repubblicani. Ha fatto in tempo a veder andare in pensione il figlio di Ugo, Giorgio, e a caricarsi sulle spalle la gloriosa eredità del Pri. Nel frattempo, dopo la prima sindacatura catanese all’inizio degli Anni Novanta, è stato deputato, senatore, ha fondato o cofondato tre nuovi partiti (Alleanza democratica, l’Asinello, la Margherita), è diventato ministro, è sopravvissuto all’infortunio delle code di elettori ai seggi nel 2001 (altri tempi: ora c’è l’astensione di massa), ha metabolizzato la sconfitta alle precedenti comunali di Catania ed ora s’è preso il gusto della rinvincita al primo turno contro il sindaco che lo aveva battuto. Chapeau! Prima di parlar male del professionismo politico, come oggi si fa sempre più spesso, bisogna pensare - e rifletterci bene su - ai tipi come Bianco.  
Ma anche Leoluca Orlando c’era già ai tempi di Andreotti: anzi, nella Dc, fu il primo a dichiarargli guerra apertamente per le connessioni degli andreottiani siciliani con la mafia. Così la prima volta, nel 1989, quando ancora non c’era l’elezione diretta, Orlando divenne sindaco contro Lima e Ciancimino, il primo assassinato tre anni dopo dai corleonesi di Totò Riina, che non si sentivano più garantiti, l’altro morto nel suo letto, come un vero boss. Intanto Leoluca si faceva rieleggere altre due volte, fondava un suo partito personale (la Rete), metteva in crisi in Sicilia il Pci e poi il Pds e il Pd, si alleava con Di Pietro e poi se ne separava. E anche lui, è riuscito a digerire la sconfitta alle regionali, e a vedere tramontare la stella dell’ex-pm simbolo di Mani Pulite, prima di tornare per la quarta volta al suo vecchio amore: il municipio. 
Si dirà che la Sicilia è un mondo a parte. Ed è vero. Un’isola che nel giro di dieci anni passa dal famoso 61 a zero di Berlusconi contro la sinistra, a cancellare dalla guida delle sue città tutti i primi cittadini di centrodestra, o che a ottobre accoglie a braccia aperte Grillo che attraversa a nuoto lo stretto di Messina, riempie per lui le sue piazze più belle e nove mesi dopo gli volta le spalle, una regione che mette insieme - con Crocetta e i due redivivi di Catania e Palermo - il massimo del nuovo e l’usato collaudato, non è affatto facile da interpretare. Eppure in questa specialità siciliana c’è una traccia, un segnale, l’indizio di qualcosa che domani, chissà, o forse dopodomani, potrebbe farsi strada anche nel resto del Paese, afflitto dalla disillusione e dal pessimismo. L’idea, cioè, che dopo esserci disgustati del vecchio, e dopo aver sperimentato invano il nuovo per vent’anni, stia arrivando il momento di tornare sui nostri passi. “Megghiu ’u tintu canusciutu ru bonu a canosciri” (“Meglio un «cattivo» conosciuto piuttosto che un «buono» da conoscere”), dice appunto un vecchio proverbio siciliano. 
D’Alema e Veltroni (e perchè no, anche il vecchio Epifani) al posto di Bersani. Due giovani-vecchi democristiani come Letta e Alfano a Palazzo Chigi, sulle stesse poltrone dove per mezzo secolo sono stati seduti i loro padri e i loro nonni. Bossi al posto di Maroni, per rinverdire il vecchio sogno nordista (altro che “Lega 2.0”!). E Berlusconi? Lui di tornare non ha bisogno. Non se n’è mai andato.