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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

martedì 30 aprile 2013

Terra


Sempre in tema di (importanti) celebrazioni ricordiamo un evento che ha coinvolto tutto il mondo. Come accade ogni 22 aprile è stata festeggiata, una settimana fa, la 43ª Giornata della Terra (Earth Day 2013). Un appuntamento fisso, istituito dall'Onu, per sensibilizzare alla tutela del nostro pianeta.
Come sottolinea Fulco Pratesi, sul Corriere della Sera, «La situazione, nonostante gli impegni, spesso solo cartacei, delle nazioni e delle organizzazioni internazionali, non appare confortante. La popolazione umana continua ad aumentare (si prevedono 9,3 miliardi per il 2050) e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a gennaio ha raggiunto un record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale (il 2012 è stato il nono anno più caldo dal 1880) verso un aumento di più di 2 gradi di media, con gravi danni, soprattutto per l’agricoltura e l’alimentazione. L’Italia, nel suo piccolo, negli ultimi venti anni ha perso il 15% della terra coltivata».
Alcuni dati che riguardano il nostro paese sono sconfortanti. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, è diminuita del 15% la superficie coltivata, il tutto a causa della cementificazione e dell'abbandono provocato da una da un diverso modello di sviluppo (sviluppo?). In Italia in 20 anni hanno cessato l'attività più di 1 milione di aziende agricole.
È richiesto l'impegno di tutti in termini di alimentazione e di sprechi. Un grande passo sarebbe quello di limitare il consumo di carne e di scegliere di mangiare pesci delle specie più comuni. Pratesi ci ricorda, inoltre, che  «secondo la FAO Secondo la Fao, un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano a livello globale finisce in discarica. In Italia, ben 108 chili di cibo commestibile sono sprecati ogni anno, contro i 99 della Francia, gli 82 della Germania e i 72 della Svezia.
Anche in questo campo un comportamento più virtuoso e responsabile di ognuno di noi sarebbe molto necessario».


Canzone del giorno: Campi di grano (2010) - La fame di Camilla
Clicca e ascolta: Campi....



FULCO PRATESI, Corriere della Sera del 22/4/2013
La 43ª Giornata della Terra dell’Onu, celebrata oggi in tutto il mondo, rappresenta un’occasione importante per rendersi conto dello stato di salute del Pianeta, l’unico che abbiamo.
La situazione, nonostante gli impegni, spesso solo cartacei, delle nazioni e delle organizzazioni internazionali, non appare confortante. La popolazione umana continua ad aumentare (si prevedono 9,3 miliardi per il 2050) e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a gennaio ha raggiunto un record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale (il 2012 è stato il nono anno più caldo dal 1880) verso un aumento di più di 2 gradi di media, con gravi danni, soprattutto per l’agricoltura e l’alimentazione. L’Italia, nel suo piccolo, negli ultimi venti anni ha perso il 15% della terra coltivata.
Ed è proprio sull’alimentazione di una umanità in crescita in numeri ed esigenze, che il Wwf punta il dito nell’Earth Day odierno.
La produzione alimentare costituisce infatti una delle maggiori cause del consumo delle terre emerse non coperte dai ghiacci e della perdita della loro biodiversità. L’agricoltura ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e delle selve tropicali; l’acqua usata per l’irrigazione assorbe il 70% di quella disponibile sul Pianeta; la sovrappesca sta portando all’estinzione numerose specie ittiche.
Se si esclude l’ultima glaciazione, terminata circa 10 mila anni fa, nessun altro fattore ha avuto un impatto tanto distruttivo sugli ecosistemi.
Ma se può risultare illusorio affidarsi solo alla responsabilità dei governi – i quali più che alle generazioni future puntano alle prossime scadenze elettorali – molto si potrebbe ottenere, in questo specifico settore, dall’impegno di tutti noi. Anche una minima inversione di tendenza nei consumi e negli sprechi, se ripetuta per miliardi di persone, può rappresentare un primo passo verso un futuro più sostenibile.
Innanzitutto limitare il consumo di carni. L’allevamento del bestiame, sopratutto bovino, richiede ampi spazi per il pascolo ma ancor più per la produzione di mangimi, entrambi ottenuti con la distruzione di immense superfici di foreste tropicali: la stessa quantità di terreno e di acqua occorrenti per produrre un chilogrammo di proteine della carne, può consentire una produzione di proteine dalla soia otto volte superiore.
Per quanto riguarda i cibi di origine vegetale, un comportamento più virtuoso deve far preferire prodotti di stagione e di origine locale, meglio se coltivati con sistemi biologici e da orti domestici, evitando anche l’acquisto di derrate provenienti con gran consumo d’energia da luoghi lontanissimi e ottenuti spesso da colture distruttive nei confronti degli ecosistemi naturali. Inoltre, scegliendo specie ittiche non prelevate da stock troppo sfruttati – come quelli del tonno rosso mediterraneo, del pesce spada e altri – e scegliendo specie più comuni come lo sgombro, le alici, le sarde, i cefali, eccetera – si può contribuire a rendere i nostri consumi in fatto di pesce meno impattanti sull’ambiente marino. Il quale oggi è in grave sofferenza per un prelievo delle sue risorse raddoppiato negli ultimi 30 anni grazie a metodi di pesca tecnicizzati e distruttivi nei confronti della biodiversità oceanica.
Non va infine trascurato il problema degli sprechi alimentari. Secondo la Fao, un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano a livello globale finisce in discarica. In Italia, ben 108 chili di cibo commestibile sono sprecati ogni anno, contro i 99 della Francia, gli 82 della Germania e i 72 della Svezia.
Anche in questo campo un comportamento più virtuoso e responsabile di ognuno di noi sarebbe molto necessario.