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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

mercoledì 22 febbraio 2012

Fiducia

Lo scrittore Giorgio Montefoschi lo considera un assedio vero e proprio. “Oracoli e profeti di sventure” ci dicono che tutto andrà sempre peggio.
Al peggio non c’è fine, per citare l’antico detto.
Che fine hanno fatto la speranza, la fiducia nel futuro, l’aspettativa di un domani migliore per ogni essere di buona volontà?
Scrive Montefoschi sul Corriere della Sera: «Ma come si fa a coltivare la speranza (soprattutto nei momenti bui); come si fa a reagire alle difficoltà e alle avversità; come si fa a drizzare la schiena per uno scatto d’orgoglio, se, oltre al bollettino quotidiano delle cose che non vanno bene, oltre al bollettino quotidiano dell’hic et nunc che già ci rende tanto incerti nelle nostre azioni, tanto preoccupati e nervosi, e sofferenti in definitiva, non ci viene mai — mai! — concesso un filo di speranza?».
Il titolo dell’editoriale è di per sé esplicativo: “Le Cassandre che negano la speranza”: « Le Cassandre impazzano. Sono sussiegose, gravi, scuotono perennemente la testa. E, addolorate, contrite, con un gusto che talvolta pare quasi sadico, ci comunicano che non c’è scampo. Però, se è vero che spargere fiducia quando non si può e non si deve spargere fiducia è demenziale, spargere sfiducia per principio, sempre, in fin dei conti a che serve?».


Canzone del giorno: If I Ever Lose My Faith in You (1993) - Sting
Clicca e ascolta: If I Ever....

“Le Cassandre che negano la speranza” di GIORGIO MONTEFOSCHI dal Corriere della Sera del 20 febbraio 2012
Siamo assediati, noi italiani più degli altri europei, quotidianamente, da profeti e oracoli di sventura. In poche parole: sta andando male, e lo sappiamo, ma non è nulla: andrà sempre peggio. Cosa? Tutto. Il fatto che ci sia un governo che sta cercando di tamponare le falle di una vecchia barca che da molti anni faceva acqua, e dunque di rimetterla sulla rotta giusta, a costoro (i profeti che interpretano gli oracoli) importa pochissimo. No, scuotono la testa; ve lo diciamo noi: andrà sempre peggio. In Italia, in Europa, nel mondo: sempre peggio. E se non credete alle nostre opinioni, eccovi servite quelle di professori molto famosi, economisti, filosofi che le cose le sanno per davvero perché «stanno all’estero».
È un assedio asfissiante: nella televisione, in alcuni giornali. Talmente asfissiante che a volte, per reagire a queste catastrofiche previsioni che non danno neppure uno spiraglio di luce al nostro futuro e a quello dei nostri figli, pensiamo: ma non è che per caso aveva ragione Sainte-Beuve quando, nel giorno 6 di novembre del 1837, presentando ai membri dell’Accademia di Losanna il corso che avrebbe tenuto su Port Royal (il convento parigino in cui si sviluppò il Giansenismo) disse: «È stato notato che molte predizioni degli oracoli antichi si sono avverate solo perché erano state fatte»?
Era provocatorio, e malizioso, l’Autore dello stupendo libro nato da quel corso: un libro sterminato, scritto meravigliosamente, in cui, insieme a una folla di personaggi anonimi e sconosciuti, campeggiano le figure di Giansenio e Pascal, di San Francesco di Sales e Molière, del cardinal Richelieu e di Racine, tanto per fare solo alcuni dei tanti nomi che dettero lustro a quel secolo torvo e luminoso che fu, in Francia, il Seicento. Sì, c’era provocazione e malizia nelle sue parole (che con ogni probabilità strapparono un sorriso ai placidi accademici svizzeri); però, certamente, interpretavano un sentimento che non è scalzabile, attraversa i secoli, ed è universale. Questo sentimento è la speranza: il bisogno di sperare che ogni uomo, non soltanto i cristiani, coltiva nel profondo del cuore.
Ma come si fa a coltivare la speranza (soprattutto nei momenti bui); come si fa a reagire alle difficoltà e alle avversità; come si fa a drizzare la schiena per uno scatto d’orgoglio, se, oltre al bollettino quotidiano delle cose che non vanno bene, oltre al bollettino quotidiano dell’hic et nunc che già ci rende tanto incerti nelle nostre azioni, tanto preoccupati e nervosi, e sofferenti in definitiva, non ci viene mai — mai! — concesso un filo di speranza? Se nel — giusto e corretto — quadro delle cattive notizie, non fa mai capolino una notizia, magari piccola, ma buona? Una notizia che ci apra una prospettiva, che ci faccia guardare al domani con un barlume di ottimismo? E ci faccia sperare, appunto, non che fra tre mesi sarà ultimata la Salerno-Reggio Calabria, non che la corruzione sparirà, non che gli uomini politici dimezzeranno i loro scandalosi stipendi, non che saranno sconfitte la mafia e la camorra, non che il Festival di Sanremo sarà abolito, non che le università saranno piene di soldi dedicati alla ricerca, ma che le cose a un certo punto si rimetteranno in piedi, dovranno rimettersi in piedi, dovranno andare un pò meglio, perché c’è già da qualche parte, appunto, qualcosa che sta funzionando bene, qualcuno che sta facendo qualche cosa di utile e di intelligente con una proiezione nel futuro?
Macché! Le Cassandre impazzano. Sono sussiegose, gravi, scuotono perennemente la testa. E, addolorate, contrite, con un gusto che talvolta pare quasi sadico, ci comunicano che non c’è scampo. Però, se è vero che spargere fiducia quando non si può e non si deve spargere fiducia è demenziale, spargere sfiducia per principio, sempre, in fin dei conti a che serve?