nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 31 ottobre 2025

Fiore da preservare

Signora Ebadi, negli Stati Uniti si aprono processi per reati di opinione. In Israele il governo è sotto accusa per crimini di guerra, che comprendono anche l'uccisione di giornalisti. Paesi considerati democratici mettono sotto scacco la magistratura e l'autonomia dei giudici. La democrazia sta perdendo la sfida con le autocrazie? 

«La democrazia si sta svuotando di significato non solo negli Stati Uniti o in Israele, ma in molti altri Paesi, anche europei. E questo è dovuto al fatto che i giovani non credono più nella politica, ne hanno preso le distanze. Essendo cresciuti in paesi democratici non riescono ad apprezzare quello che hanno e non si rendono conto che potrebbero perderlo. Quando una persona pub, in ogni momento della giornata, aprire il rubinetto dell'acqua e farsi una doccia senza preoccuparsi di quanto consuma, dimentica il valore dell'acqua. Lo stesso accade con la democrazia, dandola per scontata. E invece è un fiore che va innaffiato costantemente. Non basta votare, bisogna prendersene cura monitorando il lavoro degli eletti, partecipando alla vita pubblica. Al contrario, in Iran i nostri giovani lottano per avere la democrazia che non hanno mai conosciuto». 

Quanto sono distanti dal traguardo? 

«La distanza che li separa dal ritorno nelle piazze di un movimento grande e capillare come quello di Donna, vita, libertà. La situazione economica del Paese è pessima, le violazioni dei diritti umani sono aumentate moltissimo. Il popolo vive in uno stato di oppressione e il consenso al regime è crollato. C'è una distanza abissale tra chi governa e i cittadini. Se oggi ci fosse un referendum sull'esistenza della Repubblica islamica oltre l'80 per cento degli iraniani ne chiederebbe la fine. Ma perché ciò accada serve un movimento popolare. Sono sicura che qualora ci fossero nuove proteste di piazza come quelle che abbiamo visto dopo l'uccisione di Mahsa Amini il regime cadrebbe». 

Gli iraniani hanno già fatto una rivoluzione, ma non portò democrazia. Non teme che in un cambio di regime possa prendere forma un nuovo governo autoritario, magari di stampo militare? 

«La rivoluzione del 1979, è vero, fu rubata. Io stessa, che vi avevo preso parte scegliendo Khomeini, mi resi conto poco dopo dell'errore enorme che avevamo commesso, e cominciai a oppormi a quel nascente regime. Ora le cose sono diverse. Il rischio maggiore è che il regime decida di resistere fino all'ultimo e di uccidere gli oppositori. Ma la maggioranza degli iraniani vuole la democrazia e crede che un referendum sotto la sorveglianza delle Nazioni Unite possa accompagnare una transizione pacifica».

Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003 (intervista di Gabriella Colarusso, Repubblica – 11/9/2025)

Canzone del giorno: Strenght To Survive (2016) - Toronzo Cannon
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martedì 28 ottobre 2025

L'esperienza

L'esperienza è il tipo di insegnante più difficile. Prima ti fa l'esame, poi ti spiega la lezione.

Oscar Wilde (1854 - 1900)


Canzone del giorno: Experience (1985) - Diana Ross
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sabato 25 ottobre 2025

Tregua o pace?

Se si vuol capire almeno un poco come gli Stati e le istituzioni d’Europa siano arrivati dopo anni di guerra in Ucraina a questo punto – un’incapacità totale di far politica; una ripugnanza diffusa verso chiunque imbocchi la via diplomatica; un’incaponita postura bellica che sfalda già ora lo Stato sociale; un senso storico completamente smarrito – occorre esaminare due eventi rivelatori delle ultime settimane. Il primo ha per protagonista Trump, che dopo aver discusso al telefono con Putin il 16 ottobre, ha bocciato l’idea di mandare in Ucraina i micidiali missili Tomahawk, che possono colpire la Russia fino agli Urali, sono in grado di trasportare testate nucleari, e vanno manovrati solo con l’assistenza del Paese egemone nella Nato. Arrivato alla Casa Bianca per ottenere i missili, il 17 ottobre, Zelensky s’è sentito dire, anzi urlare: “Se Putin vuole, ti distrugge”. Trump ha escluso ogni escalation, in vista dell’imminente suo incontro con Putin. Ma Zelensky si è inalberato e ha chiesto aiuto agli Stati europei detti “volonterosi”. I quali sono accorsi e hanno subito silurato il vertice Trump-Putin, per ora rinviato. Obiettivo dei Volenterosi è un cessate il fuoco lungo la linea del fronte, e solo in seguito una trattativa sul futuro ucraino e sulle garanzie di sicurezza per Kiev. Fin dal vertice con Trump in Alaska, tuttavia, Putin chiede che prima del cessate il fuoco si accettino le garanzie di sicurezza russe oltre che ucraine e cioè: neutralità e non adesione di Kiev alla Nato, riduzione degli armamenti sproporzionati in Ucraina, impegno scritto del Patto Atlantico a non espandersi mai più verso l’Est. Mosca lo chiede da decenni, non da oggi. Non è da escludere che Trump si stufi di tentare accordi con Putin e lasci che Zelensky e Volenterosi europei se la cavino da soli, e siano loro e non gli Stati Uniti ad apparire i perdenti in questa storia (anche se ora Zelensky, terrorizzato dal possibile tracollo delle ultime difese in Donetsk, pare virare verso un tardivo e disperato congelamento del conflitto). […] Il secondo evento rivelatore, ancora più significativo perché inatteso, sono le parole che Angela Merkel ha pronunciato il 3 ottobre sul mortifero garbuglio ucraino. Anche qui, come nel caso di Trump, colpisce l’interlocutore prescelto dall’ex Cancelliera: il canale youtube Partizàn, ungherese, e l’influente giornalista Márton Gulyás, anch’egli ungherese. Budapest denuncia da tempo l’assenza di una seria diplomazia europea, critica i pacchetti di sanzioni (è in discussione il diciannovesimo), e si oppone all’uso degli averi russi sequestrati nelle banche occidentali. Si oppongono anche Banca centrale europea e Fondo monetario. La cosa cruciale che l’ex Cancelliera ha detto, sull’Ucraina, è che la guerra avrebbe potuto essere scongiurata, se l’Europa avesse accettato quello che lei propose nel giugno 2021, otto mesi prima dell’ingresso dell’esercito russo in Ucraina. Si trattava di prender atto del fallimento degli accordi di Minsk (Kiev non ha mai concesso l’autonomia promessa ai russofoni del Donbass, neanche linguistica) e di costruire con Mosca un “nuovo format”: una struttura che permettesse ai governi europei di “parlare direttamente con Putin in nome dell’Unione”, per negoziare la fine della guerra iniziata nel 2014 da Kiev contro i separatisti russofoni e russofili del Donbass. Solo così poteva esser scongiurata l’escalation più temuta: l’entrata in guerra di Mosca, avvenuta nel febbraio 2022, e l’annessione del Donbass e di altre province. [...] A differenza di molti colleghi nell’Unione, Merkel voleva che il meccanismo diplomatico fosse indipendente dalla Nato. Inoltre era convinta che l’assenza di colloqui diretti durante la pandemia Covid aveva danneggiato molto gravemente i rapporti con Mosca. Merkel racconta infine come continuò a difendere i gasdotti NordStream, nonostante l’opposizione strenua di Zelensky e di Biden. Nel settembre 2022 i gasdotti che rifornivano Germania ed Europa di metano russo a buon prezzo furono distrutti da sabotatori ucraini col consenso di Washington, che può ora venderci gas liquefatto molto più costoso. Accade così l’impensabile. Gli unici a prender atto che questa guerra poteva essere evitata, che non fu unprovoked ma provocata, che rischia di sfociare in scontro atomico se non finisce presto, sono Orbán il Reprobo, una Cancelliera in pensione, e un presidente Usa tutt’altro che pacifico, visto che medita guerre di regime change in Venezuela proprio mentre scommette su accordi con Mosca. [...] Uno dei più intelligenti e colti parlamentari europei, Michael von der Schulenburg (gruppo Sahra Wagenknecht, non iscritto) ha spiegato di recente in un saggio che la responsabilità maggiore ricade sulla Germania di Scholz e soprattutto di Merz. Ambedue accampano una memoria acuta delle colpe tedesche, e hanno fatto pagare ai palestinesi la propria espiazione per il genocidio degli ebrei. Ma la memoria svanisce del tutto quando ci si arma fino ai denti contro la Russia (27 milioni di morti per abbattere Hitler). Infatti Berlino sta preparando il Paese a una guerra con Mosca considerata imminente, si doterà dell’“esercito più potente d’Europa” (parola di Merz), e fa dire a Martin Jäger, direttore dei Servizi, che Mosca attaccherà gli europei della Nato “ben prima del 2029”, come ci si illudeva fino a ieri. Né Merz né gli Stati europei né Zelensky temono di ridicolizzarsi: se di mattina dicono che la Russia ha fallito l’offensiva di primavera ed è prossima al collasso, ragion per cui conviene assestare il colpo finale coi Tomahawk, la sera diranno che Mosca è a tal punto minacciosa, efficace e agguerrita da poter invadere l’Europa intera, Italia compresa.

Barbara Spinelli, Il Fatto Quotidiano (23/10/2025)

Canzone del giorno: Who Will Come for Me (2016) - Janiva Magness
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giovedì 23 ottobre 2025

Bisogna camminare

Bisogna camminare, camminare come camminavano gli uomini di un tempo, e lasciare che tutto il tuo essere sia inondato di luce. La luce penetra direttamente nell'anima, apre le porte e le finestre del cuore, sei nudo, esposto, isolato in una beatitudine metafisica che rende tutto chiaro senza che sia conosciuto.

Henry Miller (1891 -1980), Il colosso di Maroussi

Canzone del giorno: Camminando (2023) - Ornella Vanoni
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martedì 21 ottobre 2025

Grigio


“Se davanti a te vedi tutto grigio, sposta l'elefante”. 

Proverbio indiano


Canzone del giorno: Grey To Green (1984) - Stephen Stills
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sabato 18 ottobre 2025

La nuova paranza

Palermo si sta «paranzizzando»: un neologismo che descrive la trasformazione del crimine in paranze, gruppi di giovani, giovanissimi, che si uniscono per vincoli di amicizia, parentela e, soprattutto, di territorio, e iniziano a delinquere. Non si pongono obiettivi precisi: cercano l’affermazione di sé attraverso la spavalderia, la diffusione della paura, il farsi rispettare incutendo timore. Tutto questo per l’ambizione di poter ricevere incarichi, la gestione di piazze di spaccio, il controllo estorsivo. Il sogno è quello di poter fondare una famiglia, di poter essere affiliati, se i libri mastri di un clan si riaprono per tornare ad affiliare. Nell’attesa, provano a essere qualcuno: e qualcuno significa diventare un gangster. Ma come si diventa gangster nel nostro tempo, in Italia, in una terra dove Cosa Nostra affilia con il contagocce, dove le organizzazioni criminali non hanno più l’ossessione del controllo territoriale ma la missione del dominio economico, sempre più slegato da un ordine sociale? Si parte dall’aspetto: dal sembrare gangster. E non ci sono più gessati, borsalini, né eleganza di sartoria. In questo senso, Gaetano Maranzano, il 28enne che ha sparato in testa a Paolo Taormina l’11 ottobre, è un archetipo del criminale di paranza: barba lunga (quando possono farsela, perché la maggior parte ha meno di diciotto anni e non ha ancora peli in faccia — in quel caso sostituiscono con un baffetto di peluria adolescenziale); borsello a tracolla con ben visibile il logo della marca; scarpe mai al di sotto del valore di mille euro; collane d’oro con simboli di pistole o AK-47. Al primo sguardo non incutono paura ma ridicolo. Si muovono persino in modo maldestro, costantemente impegnati a proclamare di essere duri, di decidere quando farti attraversare la strada, quando chiudere un locale, solo quando loro vogliono andar via. Decidono loro come e dove puoi parcheggiare, se puoi guardarli negli occhi o no. I loro comportamenti e i loro abiti sembrano un’imitazione scadente di un cantante trap o di un mafia movie. Ma il ridicolo si muta facilmente in dramma quando sparano, ammazzano. Maranzano ha dichiarato che Paolo aveva importunato sua moglie (sembra che le avesse solo messo like a una foto) e che, quella notte, al locale, si era sentito minacciato di fare una cattiva figura. Ecco le sue parole: «Siccome lui era in difetto con me, mi guardava male, nel suo cervello mi voleva sfidare». Il «difetto», per Maranzano, è l’aver contattato la moglie. E aggiunge: «I ragazzi facevano casino e lui è venuto a prendere di petto me. In più io avevo astio con lui per la cosa di mia moglie. Parlava verso di me, diceva “qua non si deve fare vucciria”. Mi voleva mettere in cattiva luce davanti alle persone». Ecco il vero motivo per cui ha sparato: la cattiva luce davanti agli altri. Tutto diventa sfida. Ogni atto, fatto o subito, è un banco di prova. Taormina dava una mano ai genitori, proprietari del locale O’ Scruscio, e cercava di calmare gli animi quella notte, la sua ultima notte. Ma Maranzano si è sentito leso e il «capitale» che ha voluto difendere è la capacità di intimidazione, quindi ha estratto la pistola e ha sparato in testa a Paolo. Se qualcuno viene a chiedere di farla finita, nella sua lettura significa che non ha paura, che non ha rispetto. E così ammazza. […] Dopo la strage di Monreale dell’aprile scorso, compiuta da ragazzi di meno di 20 anni, e dopo quanto accaduto a settembre, quando paranze rivali — una del quartiere Zen e una della zona Marinella — si sono affrontate ferendo una donna incinta, abbiamo la prova che la Sicilia sta vivendo una trasformazione strutturale del proprio crimine. Negli anni Ottanta, la mafia condannava a morte con propri tribunali chi rubava auto, i topi d’appartamento, gli spacciatori. Ogni crimine doveva essere autorizzato. Oggi, invece, permette le paranze, e lo fa di buon grado, esattamente come la camorra, perché non conviene più controllare il territorio. E non è più conveniente mantenere a stipendio centinaia di famiglie. Quindi permettono tutto questo, anzi, ne traggono beneficio: possono affidare loro mansioni, e di volta in volta decidere se usarli, abbandonarli, eliminarli o promuoverli. La sintesi più drammatica l’ha data un ragazzino di 14 anni arrestato a Napoli con quaranta dosi di cocaina. Alla domanda dei carabinieri sul suo comportamento, ha risposto: «Vado da Pomigliano a Castello di Cisterna per lavorare». Quando gli hanno ricordato che quello non era un lavoro, ha precisato: «Non so fare altro che spacciare». Il fallimento della democrazia.

Roberto Saviano, Corriere della Sera (16/10/2025)

Canzone del giorno: Screams (1972) - Blue Oyster Cult
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giovedì 16 ottobre 2025

Un giorno


Un giorno ti scriverò una poesia che non parli del cielo o della notte;
una poesia che ometta i nomi dei fiori,
che non abbia gelsomini o magnolie.
Un giorno ti scriverò una poesia senza uccelli, senza sorgenti,
una poesia che ignori il mare
e che non guardi le stelle.
Un giorno ti scriverò una poesia che si limiti a passare le dita sulla tua pelle
e che trasformi in parole il tuo sguardo.
Senza similitudini, senza metafore;
un giorno scriverò una poesia che profumi di te,
una poesia al ritmo dei tuoi battiti,
con l’intensità della stretta del tuo abbraccio.
Un giorno ti scriverò una poesia, il canto della mia felicità.

Darío Jaramillo Agudelo, da Poesie d’amore -1986

Canzone del giorno: Una settimana...un giorno... (1973) - Edoardo Bennato
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