 Signora Ebadi, negli Stati Uniti si aprono processi per reati di opinione. In Israele il governo è sotto accusa per crimini di guerra, che comprendono anche l'uccisione di giornalisti. Paesi considerati democratici mettono sotto scacco la magistratura e l'autonomia dei giudici. La democrazia sta perdendo la sfida con le autocrazie?
Signora Ebadi, negli Stati Uniti si aprono processi per reati di opinione. In Israele il governo è sotto accusa per crimini di guerra, che comprendono anche l'uccisione di giornalisti. Paesi considerati democratici mettono sotto scacco la magistratura e l'autonomia dei giudici. La democrazia sta perdendo la sfida con le autocrazie? 
«La democrazia si sta svuotando di significato non solo negli Stati Uniti o in Israele, ma in molti altri Paesi, anche europei. E questo è dovuto al fatto che i giovani non credono più nella politica, ne hanno preso le distanze. Essendo cresciuti in paesi democratici non riescono ad apprezzare quello che hanno e non si rendono conto che potrebbero perderlo. Quando una persona pub, in ogni momento della giornata, aprire il rubinetto dell'acqua e farsi una doccia senza preoccuparsi di quanto consuma, dimentica il valore dell'acqua. Lo stesso accade con la democrazia, dandola per scontata. E invece è un fiore che va innaffiato costantemente. Non basta votare, bisogna prendersene cura monitorando il lavoro degli eletti, partecipando alla vita pubblica. Al contrario, in Iran i nostri giovani lottano per avere la democrazia che non hanno mai conosciuto».
Quanto sono distanti dal traguardo?
«La distanza che li separa dal ritorno nelle piazze di un movimento grande e capillare come quello di Donna, vita, libertà. La situazione economica del Paese è pessima, le violazioni dei diritti umani sono aumentate moltissimo. Il popolo vive in uno stato di oppressione e il consenso al regime è crollato. C'è una distanza abissale tra chi governa e i cittadini. Se oggi ci fosse un referendum sull'esistenza della Repubblica islamica oltre l'80 per cento degli iraniani ne chiederebbe la fine. Ma perché ciò accada serve un movimento popolare. Sono sicura che qualora ci fossero nuove proteste di piazza come quelle che abbiamo visto dopo l'uccisione di Mahsa Amini il regime cadrebbe».
Gli iraniani hanno già fatto una rivoluzione, ma non portò democrazia. Non teme che in un cambio di regime possa prendere forma un nuovo governo autoritario, magari di stampo militare?
«La rivoluzione del 1979, è vero, fu rubata. Io stessa, che vi avevo preso parte scegliendo Khomeini, mi resi conto poco dopo dell'errore enorme che avevamo commesso, e cominciai a oppormi a quel nascente regime. Ora le cose sono diverse. Il rischio maggiore è che il regime decida di resistere fino all'ultimo e di uccidere gli oppositori. Ma la maggioranza degli iraniani vuole la democrazia e crede che un referendum sotto la sorveglianza delle Nazioni Unite possa accompagnare una transizione pacifica».
Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003 (intervista di Gabriella Colarusso, Repubblica – 11/9/2025)
 
 





