Sono partiti oggi i lavori del primo cantiere per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. L’amministratore delegato Pietro Ciucci ha ricordato che è stato un anno decisivo per la ripartenza del ponte, in cui sono stati superati i problemi relativi al blocco dell’opera ed è stato approvato l’aumento di capitale della società…». Non è questo, come si potrebbe immaginare, un anticipo del futuro prossimo. Bensì un salto nel passato. È un dispaccio dell’Ansa del 23 dicembre 2009. Sedici anni fa. Quel giorno il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli inaugurò in pompa magna il cantiere dei lavori per la deviazione della linea ferroviaria che sulla costa calabrese avrebbe interferito con la costruzione del pilone di cemento armato alto 400 metri. Il clima, nel centrodestra allora al governo, come oggi, ma con una distribuzione dei pesi diversa, era euforico. Tranne che dalle parti della Lega, che nella migliore delle ipotesi giudicava il ponte «inutile». Nella peggiore (della quale si incaricavano i peones del Carroccio), addirittura un affronto, in quanto toglieva risorse al Nord che aveva un bisogno drammatico di infrastrutture. L’opposizione era furiosa e batteva sempre sullo stesso tasto, condiviso anche dalla Lega: perché spendere tanti soldi per un’opera così costosa quando in Calabria le strade sono mulattiere e la Sicilia ha tutte le ferrovie a binario unico. Senza parlare del fatto che il ponte era un progetto solo sulla carta, visto che non esisteva ancora un progetto definitivo (sarebbe arrivato nel 2011). E il progetto esecutivo, che consente l’effettiva esecuzione dei lavori, era ancora ben al di là da venire. […] Sedici anni dopo, riecco il sequel del film. Gli sceneggiatori de “Il Ponte che non c’è 2”, identici. Perfino il regista è lo stesso: Ciucci, ad della Stretto di Messina, ora come sedici anni fa. Solo il regista, Matteo Salvini, è diverso, come si conviene a un sequel che meriti rispetto. Con la differenza che il leader della Lega, lo stesso che nel 2016 manifestava pubblicamente contro l’opera, garantendo che secondo certi ingegneri non stava in piedi, ora ha cambiato idea. E siccome il saggio dice che solo i morti e gli stolti non cambiano mai idea, nessuno nel suo partito (anche se molti, moltissimi elettori storcono il naso) osa contraddirlo. Idem il resto del governo, a causa di ragioni per ognuno diverse. Il ponte era un cavallo di battaglia di Berlusconi e in Forza Italia (da cui pure nell’ottobre 2011 scoccò la scintilla che spedì l’opera in un cassetto per tre lustri) è un dogma. Mentre in Fratelli d’Italia l’evidente mancanza di entusiasmo è compensata dalla necessità di non turbare gli equilibri della maggioranza se ancora si pensa di condurre in porto la riforma del premierato tanto cara a Giorgia Meloni. Questo è il solo cemento del ponte capace di nascondere le crepe, enormi, che evidenzia la sceneggiatura del film. Prima crepa: i soldi. E non perché i soldi non ci siano. Anzi. Pur di racimolarli li hanno tolti ad altre opere. Poi, non contenti di aver già speso circa 350 milioni di risorse pubbliche per studi e progetti nonché mantenere in vita per 45 anni la società concessionaria del ponte che non c’è, e che ora ha una novantina di dipendenti con una ventina di dirigenti assai ben pagati più un discreto stuolo di consulenti, ne hanno tirati fuori altri 370. Sono serviti per assicurare al Tesoro la maggioranza del capitale della Stretto di Messina spa, evitando rogne che con altri soci pubblici possono sempre capitare e gestire la partita dalla tribuna centrale senza interferenze. I soldi, dicevamo, ci sono. Almeno è quel che dicono le ultime finanziarie. Si era partiti con 3 miliardi. Poi si è arrivati a 6. Quindi a 9. Adesso sono 13 e mezzo. Ma più realisticamente, considerando anche il generoso contributo per gli espropri, si andrebbe verso i 15. Anche se girano già in ambienti non lontani dal ministero, stime ancora più sbalorditive: c’è chi non ritiene irrealistico un conto finale, considerando gli anni di lavori e i probabili intoppi, di 22 miliardi. Tutti pagati dallo Stato, questa volta. Non come quando, sempre sedici anni fa, il ministro Matteoli garantiva: «Nemmeno un euro dai contribuenti, sarà tutto a carico dei privati».
Sergio Rizzo, lespresso.it (20/08/2025)
Canzone del giorno: Water Under the Bridge (2015) - Adele
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