nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

mercoledì 30 luglio 2025

Beautiful Music



And we make beautiful music together

You're my song that keeps playing forever

Together

E insieme creiamo musica meravigliosa
Sei la mia canzone che continua a suonare per sempre
Insieme

Beautiful Music, Keb’ Mo’ ft. Robbie Brooks Moore (2019)


Canzone del giorno: Beautiful Music (2019) - Keb' Mo ft. Robbie Brooks Moore
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domenica 27 luglio 2025

Gaza, parole a perdere

Arrivati a questo punto dovremmo avere il coraggio di lasciarci sopraffare. Smettere di difenderci, almeno individualmente, dall’abominio storico di una popolazione senza vie di scampo, che non sopravvive più fra le macerie dei bombardamenti, senza cibo né requisiti minimi di dignità.
Anche tentare questa descrizione di Gaza è strano, riduttivo. Perché siamo oltre la possibilità di rappresentazione, fuori dalla portata massima delle parole. Nelle ultime settimane perfino gli operatori delle Ong che lavorano nella Striscia, quei pochi, sembrano ormai a corto di frasi. Spesso non lanciano più allarmi. Ricorrono a espressioni iperboliche invece, «mai visto prima», «senza precedenti», «oltre». Come se il trauma e la spossatezza li avessero ammutoliti o non trovassero termini di paragone adeguati nell’immaginario comune. Legami possibili con la nostra quotidianità. Noi, da qui, pensiamo a loro lì, alla popolazione palestinese intrappolata, e non ci siamo mai sentiti a tal punto irrilevanti. Cosa ci farà questo nel lungo termine, cosa farà alla nostra civiltà e in particolare alle nuove generazioni, è tutto da scoprire. […]  Osservando come si è evoluta la mobilitazione per la Palestina in ventidue mesi, in Europa e negli Stati Uniti, si ha l’impressione di una consequenzialità recisa fra il sentimento collettivo e l’iniziativa politica. Neppure la decisione improvvisa di Macron di riconoscere lo stato palestinese appare legata a un intensificarsi della pressione popolare sul tema. Ha il merito di essere quanto meno un’azione, l’attestazione da parte di un capo di stato della sofferenza che viene prodotta anche in questo preciso momento e che in questo preciso momento andrebbe fermata. Ma sembra provenire da una misura colma interiore, personale, tutta sua. Altrettanto personali, per non dire capricciose, sono le esternazioni di Trump (anche sull’Ucraina se è per questo). Mentre da noi non si registra da parte del governo nessuna necessità anche solo di accogliere lo sgomento diffuso su Gaza, nessuna proporzionalità nei toni, nessuna misurazione recente del polso dell’elettorato. Sebbene il polso, con una carestia indotta che fa da sottofondo alla nostra estate, sia decisamente cambiato. La crisi profonda non è solo della rappresentazione, quindi, ma anche della rappresentatività. Il potere esecutivo — in questo tempo di invasioni senza fine, di occupazioni sfrenate, di fame e sete usate come armi in sfregio a ogni regola — è diventato lontano e incomprensibile. Anzi, non sembra più riconoscere fra i suoi obblighi impliciti quello di essere prossimo e compreso. E così, davanti all’eccidio, noi restiamo non solo privi di parole ma anche di chi dovrebbe averle per noi.

Paolo Giordano, Corriere della Sera (26/7/2025)

Canzone del giorno: Without Words In The Way (2019) - Beth Hart
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venerdì 25 luglio 2025

Anima sapiens


"Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens"

"Sedendo e riposando l'anima diventa saggia".

Frase che l’anonimo fiorentino (commentatore medievale dell’opera di Dante Alighieri) attribuiva ad Aristotele


Canzone del giorno: Quiet Times (2008) - Dido
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mercoledì 23 luglio 2025

Kiss Cam

La badilata mondiale di sterco, minacce, insulti e maledizioni piombata addosso ad Andy Byron e Kristin Cabot, i due amanti pizzicati dalla “kiss cam” (?) durante il concerto dei Coldplay, dice molto sulla ferocia – e sulla deficienza – di questi tempi miserevoli. Da giorni non si parla d’altro o quasi. Dopo la pubblicazione del video, divenuto virale come capita puntualmente ai video più innocui e/o imbecilli, i due protagonisti sono stati spiati, spulciati, vivisezionati e vomitati dal mondo tutto (i social, sì, ma anche non poche testate in via teorica autorevoli, a conferma di come ormai la demenza sia trasversale). [...]  Quella “kiss cam” è una palese incarnazione (una delle tante) del Grande Fratello. Non esiste più privacy, sei sempre controllato e non puoi farti i fatti tuoi neanche durante un concerto. Max Pezzali, durante i concerti, mette in guardia il pubblico attraverso una scritta sui maxischermi: “Attenti a chi baciate durante il prossimo brano. Potreste essere ripresi”. Lo faceva già da prima del caso-Coldplay, e ci aveva visto lungo. Quello che è capitato ai due amanti dimostra poi altre due cose. La prima è il bigottismo che impera nel nostro mondo: puoi rubare, puoi violentare, puoi ammazzare e non succede quasi nulla. Se però “tradisci”, parte puntualmente la reazione pruriginosa e falsamente puritana degli ipocriti, che nel loro privato fanno (o sognano) le peggiori porcate, ma che – se sentono odore di corna – partono coi kalashnikov. Questo bigottismo porta con sé l’altro elemento profondamente perverso, che è la sproporzione tra “colpa” e punizione. Ogni giorno assistiamo nell’indifferenza generale a massacri, stermini, genocidi. Se però un tizio tradisce la moglie e magari fa pure la figura da pirla in mondovisione, il branco si scatena. E parte il sempiterno “dagli all’untore”. Se Byron e Cabot hanno meritato una tumulazione così brutale, cosa dovrebbero meritare i Netanyahu vari? Domanda ovviamente inutile, perché molti dei moralisti minchioni che si sono scatenati vigliaccamente contro la coppia illegittima, sono senza dubbio fan dei Netanyahu e derivati. O peggio ancora, neanche sanno chi sia. Il nostro presente è ormai un greatest hits di miseria e follia. Ci indigniamo per le stronzate e non facciamo niente di fronte all’apocalisse. Sindachiamo sulle vite altrui, mentre nel frattempo buttiamo via le nostre. Siamo feroci coi deboli e vigliacchi coi forti. Insensibili alle tragedie e permalosissimi sulle boiate. Drogati di voyeurismo, ignoranza, invidia e menefreghismo. E il mondo che abbiamo tirato su ne è prova. Che spettacolo!

Andrea Scanzi, Il Fatto quotidiano (22/7/2025)

Canzone del giorno: Kiss (1986) - Prince
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domenica 20 luglio 2025

Gabbia cognitiva

Nel tempo in cui l’intelligenza artificiale dimostra una capacità di analisi superiore a qualunque mente umana, il manager si scopre più informato ma meno creativo, più preciso ma meno visionario, più efficiente ma meno libero. È il paradosso cognitivo del manager algoritmico: delegare il pensiero analitico alla macchina libera tempo e risorse ma finisce per irrigidire la capacità di pensare out of the box. L’Ai consente di formulare previsioni di mercato più accurate, elaborare scenari complessi, scoprire pattern e relazioni nascoste e latenti all’interno di enormi volumi di dati, potenziando le capacità del management di decidere ed agire in tempi rapidi e su basi percepite come oggettive. Questa oggettività algoritmica rischia tuttavia di diventare un fattore invisibile di distorsione cognitiva, che porta a confondere la profondità con la precisione e l’intuizione con l’analisi. Gli algoritmi apprendono e fondano le loro elaborazioni su fenomeni già osservati, registrati, classificati e, in quanto tali, riferiti al passato. Il manager che si affida troppo all’intelligenza artificiale rischia di assumere decisioni prevedibili quanto i modelli che consulta e di perdere l’attitudine a rompere schemi, immaginare il nuovo, intravedere possibilità che i dati non possono ancora raccontare. In questo senso, l’Ai può diventare una gabbia cognitiva, che incentiva una forma di pensiero lineare e deduttivo e scoraggia la deviazione, l’ambiguità, la sorpresa. Mentre il potere predittivo dell’Ai cresce, si affievolisce il coraggio di disubbidire ai numeri ed immaginare scenari alternativi, inattesi, eppure possibili. Il pensiero divergente, motore insostituibile dell’innovazione strategica e del vantaggio competitivo, viene compresso dalla ricerca di efficienza e la decisione manageriale si appiattisce sull’ottimizzazione. Ma ottimizzare non è innovare e prevedere non è comprendere. L’efficienza non genera futuro se non è guidata da una tensione verso il possibile, verso ciò che ancora non esiste. Il rischio è che il manager finisca per disimparare a pensare strategicamente; che la delega eccessiva all’analisi algoritmica atrofizzi le capacità di intuizione, visione, lettura dei contesti nei loro paradossi e nella loro ambiguità; e che si sviluppi una nuova forma di “dipendenza cognitiva” dall’algoritmo, con l’incertezza non più considerata come opportunità per generare significato, ma come errore da correggere. Un ulteriore pericolo è l’impoverimento valoriale del ruolo del manager: se la sua funzione si riduce al recepimento e all’applicazione dei risultati generati dagli algoritmi viene meno la responsabilità di decidere, di assumersi il peso della scelta anche quando i dati sono ambigui, insufficienti o contraddittori. Non è pensabile rinunciare alle immense potenzialità dell’Ai. È tuttavia fondamentale evitare che l’intelligenza automatica sostituisca o diminuisca la creatività umana e difendere il ruolo strategico del manager come custode di domande, curatore di visioni, architetto dell’inatteso. L’intelligenza artificiale deve potenziare il processo di analisi ed aiutare ad interpretare i dati in modo più profondo e preciso, non rimpiazzare la volontà di rompere gli schemi, la capacità di cogliere l’inedito, il coraggio di andare controcorrente. Diventa allora essenziale promuovere una cultura 5.0 del management orientata allo sviluppo della capacità di leggere, interpretare, contestualizzare gli output degli algoritmi; che valorizzi la complessità, la dialettica tra analisi e intuizione, tra rigore e immaginazione. Serve, inoltre, sviluppare e consolidare un’etica del discernimento, che restituisca al manager la libertà di sbagliare per imparare, e non solo la responsabilità di ottimizzare. Il manager del futuro dovrà essere in grado di vedere l’eccezione là dove l’Ai rileva la regola, di scegliere l’inatteso quando il modello suggerisce il consueto. Il paradosso cognitivo non si risolve opponendosi all’onda dell’Ai, ma riscoprendo il valore umano del pensiero divergente: se l’intelligenza artificiale conosce le risposte, il manager deve avere il coraggio di porre le domande che ancora non sono state fatte.

Francesco Ciampi, Il Sole 24 Ore (18/4/2025), professore ordinario di Economia e Gestione delle imprese - Università degli Studi di Firenze

Canzone del giorno: Deliver Me (1991) - Tanita Tikaram
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venerdì 18 luglio 2025

Canazzi

In Sicilia molti tipi um ani sono paragonati ai cani, non sempre è un insulto. Anzi. Il canazzo di bancata è colui che sfrutta una rendita di posizione perché risiede stabilmente nei pressi di un negozio di alimentari e quindi riceve gli avanzi che il proprietario lascia cadere per terra. Dicesi, ad esempio, di chi frequenta uffici pubblici o ha ruoli politici: ogni tanto qualcosa gli resta in bocca. Il canazzo di mannara è il cane pastore, aggressivo e rabbioso, difende il proprio territorio con violenza. Il canazzo di vucciria, invece, è un tipo metropolitano, sta con altri cani altrettanto randagi davanti alle macellerie e ingaggia risse furiose per accaparrarsi l'osso buttato via dal carnezziere. Io amo il canazzo dell'ortolano che non mangia  né fa mangiare, perché sorveglia un bene di cui direttamente non può godere, non essendo un animale erbivoro, per cui è tutore di qualcosa d'astratto come la gustizia o il diritto o la verità.

Gaetano Savatteri, La magna via (2024 - ed.Sellerio) 

Canzone del giorno: Escluso il cane (1977) - Rino Gaetano
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mercoledì 16 luglio 2025

Superman

La lettera con cui Donald Trump comunica all’Unione europea l’imposizione di dazi al 30%, a partire dal 1° agosto, sembra opera di un ragazzino delle scuole medie, non molto versato per la scrittura. Leggetela, vale la pena. Concetti ripetuti, vocabolario ridotto, blandizie e velate minacce. Se aggiungiamo che il mittente è appena comparso sull’account X della Casa Bianca vestito da Superman («Simbolo di supremazia!») occorre decidere: dobbiamo ridere o preoccuparci? Temo dobbiamo preoccuparci. Quando ho detto a «Otto e mezzo» (La7) che Donald Trump avrebbe bisogno di un buon psicoterapeuta, sono stato insultato sui social. Vorrei che i miei critici mi spiegassero dove sbaglio. Quello del Presidente americano vi sembra un atteggiamento normale? E non, invece, il comportamento erratico di un anziano collerico, narcisista e impulsivo? Non è mancanza di rispetto: è sincera preoccupazione per la strada imboccata da un Paese amico. Inutile elencare le decisioni strane o aggressive prese dall’amministrazione Trump in sei mesi. Non è solo la sostanza, ma anche la forma, a sconcertare. I rapporti delle nazioni - anche nei periodi più complicati - richiedono ritualità e prevedibilità. Altrimenti il sistema internazionale non regge, e le conseguenze rischiano di essere devastanti. È possibile - addirittura probabile - che sui dazi alla Ue Donald Trump cambi idea. Chiedere molto in modo aggressivo, poi ridurre le pretese, è la sua tattica negoziale. Ma il problema rimane. Trump finge di non capire che il disavanzo commerciale è frutto di una scelta: gli USA importano le merci che non possono o non vogliono produrre. Anche perché producono altro, assai prezioso: in campo aerospaziale, militare, biomedico, farmaceutico. Per non parlare dei servizi digitali delle Big Tech, che Trump - chissà perché - pretende siano esentasse in tutto il mondo. Ma qui siamo entrati nella sostanza della questione. Il problema però, come dicevamo, riguarda anche la forma. In questa e altre vicende, Donald Trump sembra godere nel provocare e sorprendere la controparte. Ma così si comportano i giocatori d’azzardo, non i presidenti. D’accordo che il mondo è diventato un casino, ma a tutto c’è un limite.

Beppe Severgnini, Corriere della Sera (12/7/2025)

Canzone del giorno: Superman (1997) - Goldfinger
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lunedì 14 luglio 2025

Tuffi e navigazioni

Di Lloyd, di sir, di tuffi e navigazioni

“Lloyd stavo per fare un tuffo nella nostalgia…”

“E non l’ha fatto? Vero, sir?2

“Esatto. Dici che sto invecchiando?”

“Semmai sta ringiovanendo, sir”

“Evitare il passato non rende più giovani, Lloyd”

“Ma rinunciare a galleggiare nei suoi rimpianti sì, sir”

“Passeggiata nel presente, Lloyd?”

“Con nuovi orizzonti davanti, sir”

Simone Tempia, Dialoghi immaginari – Vita con Lloyd (Linus – Giugno 2025)


Canzone del giorno: Naviganti (2002) - Eduardo De Crescenzo
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venerdì 11 luglio 2025

Mattoni

«Faccio mattoni da 40 anni, ma non sono mai riuscito a guadagnare abbastanza per costruirmi una casa». Ninder Singh, un cinquantenne con una moglie, tre figli e nessuna speranza di un futuro migliore, è l’incarnazione di un paradosso. Mentre l’India cresce a ritmo impetuoso – oggi è la quinta economia del mondo, entro fine anno sarà la quarta e nel 2028 la terza – nelle regioni rurali del Paese centinaia di milioni di persone continuano a vivere esistenze marginali, governate da rapporti di forza che hanno attraversato indenni i secoli. Un fenomeno che è particolarmente pervasivo nell’economia informale – un magma di lavoro senza regole e rapporti di forza impari – che s’insinua in ogni ambito della società indiana, e che in settori come le costruzioni sembra essere diventato il lubrificante indispensabile per il loro funzionamento. Le fornaci che sfornano mattoni danno lavoro ad almeno 10 milioni di persone e sono parte del panorama della piana gangetica almeno quanto le onnipresenti pubblicità di cemento, vernici e tondini di acciaio dipinte a mano sui muri delle case. Tutti segni di un Paese impegnato a costruire edifici per una popolazione che è già la più grande al mondo e, secondo i demografi dell’Onu, continuerà a crescere per almeno altri 40 anni, fino a raggiungere gli 1,7 miliardi. Delle tante tessere che compongono il mosaico del boom economico indiano, quella del settore delle costruzioni è una delle più cangianti. A seconda della luce sotto la quale la si osserva è una formidabile success story o l’esempio più clamoroso di un modello di sviluppo incapace di distribuire in maniera equa la ricchezza che genera. Secondo il report “India Construction Industry”, tra il 2020 al 2024 il settore è cresciuto in media del 12,4% all’anno ed entro la fine del 2029 il giro d’affari dovrebbe superare i 457 miliardi di dollari. La stampa finanziaria indiana, che segue con attenzione febbrile il mercato delle Ipo, stima che tra l’anno fiscale in corso e il prossimo le imprese del settore che si quoteranno in Borsa raccoglieranno 1,7 miliardi di dollari. Le crescenti dimensioni e sofisticazione finanziaria del mondo delle costruzioni fino a oggi non si sono tradotte in migliori condizioni di vita per molti di coloro che lo fanno funzionare. Nella stessa fornace dei Singh lavorano, contro ogni regola, due ragazzini di 11 e 14 anni, Vishal e Masih: ogni 3mila mattoni da 3 chili l’uno che spostano da una parte all’altra del complesso ricevono 200 rupie. Due euro ogni nove tonnellate. Per il privilegio di fare un lavoro sfiancante che distrugge i polmoni e accorcia la vita. […] Le fornaci aprono dopo i festeggiamenti di Diwali, a fine ottobre, e chiudono con l’arrivo del monsone, a giugno. «Durante la stagione delle piogge, i lavoratori tornano nei propri villaggi, dove non trovano che impieghi saltuari e per sopravvivere s’indebitano con gli intermediari specializzati nel procacciare lavoratori alle fornaci di mattoni»… Nel caso dei Singh quest’anno si tratta di 40mila rupie, 400 euro. Per ripagarle, quattro dei cinque membri della famiglia (la figlia si è sposata, forse salvandosi, di certo contribuendo con la sua dote all’indebitamento) lavorano 10 ore al giorno, sei giorni su sette per otto mesi. Giornate massacranti che in primavera – per evitare le ore più calde, quando il termometro supera i 45 gradi – iniziano alle tre di mattina. Alla fine di ogni settimana, la famiglia Singh riceve 2mila rupie, 20 euro, ovvero 83 centesimi al giorno a testa. Quanto basta per comprare piccole quantità di cibo da cuocere su un fuoco alimentato dalle “torte” di sterco pressato ed essiccato che ancora oggi restano uno dei combustibili più popolari nelle regioni rurali dell’India. Il resto dello stipendio va direttamente all’intermediario per ripianare il debito. Ci sono anni in cui, alla fine della stagione, avanza qualcosa. Altri in cui i conti sono in pari. Altri ancora, come l’ultimo, in cui «non ce la facciamo». Così il ciclo di indebitamento si allunga. Da un’estate all’altra. Da una generazione a quella successiva.

Marco Masciaga, Il Sole 24 Ore (29/06/2025)

Canzone del giorno: Old Yellow Bricks (2007) - Arctic Monkeys
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mercoledì 9 luglio 2025

Ritirarsi

«Ritirarsi non è fuggire. Non c'è saggezza nell'attesa quando il pericolo è più grande della speranza, ed è compito del saggio conservare le proprie forze per il domani, e non rischiare tutto in un giorno».

Miguel De Cervantes (1547 – 1616)


Canzone del giorno: Across The Bordeline (1993) - Willie Nelson
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lunedì 7 luglio 2025

Speakers' Corner

Suzanne Vega, Speakers’ Corner (2025)

L’angolo degli oratori, eccolo lì
In politica o in una canzone
Per provare tutto ciò che senti
Che sia giusto o sbagliato

Tutti quelli pieni di vento e parole
Che ululano, sbraitano e vaneggiano
Gridando fatti distorti
Sulle anime che salvano

Promettendo miracoli
E intascando il denaro
Fingendo di avere princìpi
Predicando solo cenere (8)

L’angolo degli oratori, eccolo lì
In politica o in canto
Forse è meglio usarlo adesso
Prima che scompaia del tutto. 

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The speaker’s corner, there it stands
In politics and song
I guess we better use it now
Before we find it gone.

Canzone del giorno: Speakers' Corner (2025) - Suzanne Vega
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venerdì 4 luglio 2025

Crollo del diritto internazionale

Lo stato delle cose è segnato dal crollo forse irreversibile di ogni diritto internazionale, anche nelle sue versioni retoriche. Quando si decise per l'invasione dell'Iraq, e si fece quella guerra prologo di altre violenze ancor più sciagurate, si pensò pure necessario un passaggio all'Onu, si mandò pure un generale in quella sede a metterci (e perderci) la faccia, si finse pure di sondare il parere degli alleati. Solo ipocrisie di Per esercitare una reale deterrenza allora dobbiamo prepararci all'economia di guerra cui sarebbe bene sbarazzarsi e basta? Non sono d'accordo; l'ipocrisia fa ancora parte di un'arte politica che non si riduce a pura esibizione di forza, è ancora un aspetto della diplomazia che cerca di scongiurare la guerra. Ora i grandi spazi imperiali sono uno di fronte all'altro e ognuno dichiara che intende muoversi senza altro obbiettivo che l'imposizione del proprio interesse. Terzietà non esiste sotto nessun riguardo; nessun organismo sovra-statuale svolge un'azione efficace di prevenzione; tantomeno esistono principi o valori che costituiscano un riferimento comune capaci almeno di contenere la volontà di potenza di ciascun, reale o preteso, impero. Il suo limite non è dettato da altro che dai mezzi di cui dispone e da quelli di cui pensa disponga l'avversario. La regola è una sola: puoi farlo? Fallo. Se questa è la situazione ed essa segna davvero un salto d'epoca, è del tutto ragionevole e legittimo che ogni spazio politico adotti proprie ed, efficaci strategie di difesa. E infatti evidente che una realistica politica di disarmo potrebbe essere soltanto la conseguenza del rafforzamento di organismi e istituzioni internazionali dotate di effettivo potere con una conseguente rinuncia di sovranità da parte degli Stati. L'Europa deve perciò perseguire questo obbiettivo. Ma è assoluto dovere delle sue classi dirigenti perseguirlo con metodo e razionalità, chiarendone i motivi e i costi a tutti i cittadini. Etica della responsabilità, si diceva una volta. Dove sei finita? Parabellum se vuoi la pace? Credo che la prima condizione per prepararlo dovrebbe essere quella di avere un esercito e un ponte di comando comuni. Mi risulta che a Roma, visto che siamo d'accordo coi romani, ci fossero. Altrimenti non si prepara la guerra né si vuole la pace, ma semplicemente si aumentano spese e debiti per aiuti di Stato a settori industriali in gravissime difficoltà. Si dice che questo non è che un primo passo. E sui successivi che si vogliono compiere e sui tempi previsti per compierli c'è qualche generale romano che cortesemente ci informa? La domanda più interessante è tuttavia un'altra. Per tutto il dopoguerra la difesa europea è stata "delegata" alla Nato e cioè agli Stati Uniti. L'autonomia in questo campo che oggi si vorrebbe costruire come si integra con la situazione in atto? L'ipotesi strategica in base alla quale ci si muove è quella di un progressivo "scioglimento" della Nato o si tratta in buona sostanza di aumentare drasticamente il nostro contributo al suo funzionamento, mantenendone il comando? Ci fu un momento, per la verità brevissimo, quando si trattava di avere il via libera del tutto pacifico da parte dell'Urss per la riunifirazione della Germania, in cui, anche da parte di qualche esponente della leadership americana, venne adombrata l'ipotesi di una graduale "dismissione" della Nato, in quanto sembrava esser venuto meno il Nemico. È evidente infatti che, anche a Roma, si preparava la guerra in base a chi si riteneva fosse il Nemico. Ci sono tante guerre quante sono i Nemici, reali o potenziali. E altrettante politiche di deterrenza. Dunque, quale Nemico rende oggi urgentemente necessario un drastico aumento di spese militari, se vogliamo la pace? Su quale Nemico dobbiamo esercitare la nostra deterrenza? Sui Galli, sui Parti, sulla regina di Palmira? In base alla risposta cambia ovviamente anche l'ordine delle spese necessarie e la compattezza dell'organizzazione militare da mettere in campo. Il Nemico è la Russia? Si ritiene seriamente che la Russia abbia oggi intenti egemonici sull'Unione europea e che la guerra in Ucraina ne sia espressione? Ma allora per esercitare una reale deterrenza su un Nemico di tali dimensioni a ben altre spese per il rafforzamento dei nostri apparati militari dobbiamo essere pronti! Allora è a una vera economia di guerra che dobbiamo prepararci. Con conseguente indebitamento e crollo di ogni residuo di Stato sociale. Poiché nulla è tanto odioso come la spudorata menzogna che si possano difendere redditi bassi, pensioni, scuole, sanità e perseguire insieme politiche di riarmo contro Nemici di dimensioni imperiali. Può darsi che Roma preparasse la guerra perché voleva la pace. Simone Weil si rovescia nel sepolcro a sentirlo, ma non importa. Quel che è certo è che Roma la preparava davvero, ne sapeva i costi e conosceva benissimo chi fossero i suoi Nemici. Le cose si fanno con metodo, gli obbiettivi si dichiarano all'opinione pubblica insieme ai sacrifici che essi comportano. Così si racconta funzionano le democrazie. È diventata una favola?

Massimo Cacciari, La Stampa (30/6/2025)

Canzone del giorno: Point Of Collapse (1987) - Wire
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mercoledì 2 luglio 2025

Para Pacem

Nico Pillinini, da google.it













Canzone del giorno: Peace Frog (1970) - The Doors
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martedì 1 luglio 2025

Playlist Giugno 2025

      1.      Andy Fairwheater Low, Dark of the Midnight – (Flang Dang – 2022) – La legge

2.      The Smiths, What She Said – (Meat Is Murder – 1985) – Idiozie illimitate

3.      Randy Newman, Guilty – (Good Old Boys – 1974) – Cortocircuito esistenziale

4.      Uriah Heep, Return To Fantasy – (Return To Fantasy – 1975) – Bloccati

5.      Verdena, E’ solo lunedì – (Wow – 2011) – Ne parliamo lunedì

6.      Alicia Keys, How It Feels To Fly – (The Element Of Freedom – 2009) – Insularità di animo

7.      Mastodon, Black Tongue – (The Hunter – 2011) – Azioni criminali

8.      Samuele Bersani, Giudizi universali – (Samule Bersani – 1997) – Piano inclinato

9.      Giovanni Sollima e Carlotta Maestrini, Aria – (Untitled – 2022) – Ostilità

10.   Kenny Rogers, The Gambler – (The Gambler – 1978) – La scelta dell’azzardo

11.   Counting Crows, Catapult – (Recovering The Satellites – 1996) – Coreografia della Guerra

12.   John Mayall, Travelling – (Back To The Roots – 1971) – Viaggio per viaggiare

13.   Gracie Abrams, Let It Happen – (The Secret Of Us – 2024) – Il peso del caso