Se la qualità del lavoro è lo specchio del grado di salute di un Paese, l'Italia ha molti motivi per sentirsi poco bene. Basta chiedere a un qualunque programma di IA cosa si intenda per "lavoro dignitoso". La risposta, non sorprendentemente, consiste in una serie di aggettivi: equo, sicuro e stabile. Ancora: deve offrire un salario (o un reddito, nel caso di lavoro autonomo) soddisfacente e puntualmente percepito, implicare opportunità di inclusione, sviluppo e crescita professionale (attraverso la formazione) e inoltre il rispetto e la valorizzazione delle persone (attraverso forme di welfare aziendali), delle loro competenze e diversità. Nel fornire queste rispose, l'IA si basa piuttosto che sui fatti sui propositi di documenti ufficiali. È il caso dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), dell'Obiettivo 8 (Sviluppo sostenibile e, per l'appunto, lavoro dignitoso) dell'agenda ONU per il 2030. Si tratta allora di obiettivi scritti per nobilitare chi li propone ma impossibili da realizzare? O — come ha ammonito ieri il Presidente Mattarella — c'è qualcosa che non va nel nostro sistema economico (o magari in noi stessi), tale da generare, anche tra chi un lavoro ce l'ha, povertà crescente, un numero inaccettabile di incidenti; l'impossibilità dei giovani di programmare una famiglia e la loro crescente emigrazione all'estero, con relativa perdita per noi di talenti e competenze? […] In Italia, l'occupazione cresce (forse anche perché i salari sono bassi) ma è ancora lontana dalla media UE; nella classe di età 20-64 anni la media UE era, nel 2024, del 75,8%, con diversi Paesi sopra l'80 mentre l'Italia è ferma al 67%, peraltro con forte divari territoriali, di genere e tra generazioni, a testimonianza di un mondo del lavoro ancora fortemente segmentato. Il basso tasso di occupazione implica spesso lavoro nero, non tutelato, attività illegali ed evasione fiscale: di qualcosa le persone devono pur vivere! Alla bassa occupazione si accompagnano bassi salari medi, cresciuti poco in termini nominali negli ultimi vent'anni e diminuiti in potere d'acquisto a causa della forte inflazione, negli anni più recenti. Una delle poche note positive è la diminuzione dei "Neet", giovani non occupati né inseriti in un percorso di formativo: qui l'Italia, pur continuando a collocarsi ben al di sopra della media europea, non ha più il primato. Circa un quinto della popolazione italiana è così a rischio di povertà, un dato cresciuto soprattutto tra i giovani ma anche tra chi lavora a tempo pieno, specie se donna. Nonostante un aumento dei contratti a tempo indeterminato, i rapporti di lavoro sono spesso ancora precari e in settori poco produttivi, il che incide fortemente sulla possibilità di formulare piani di vita e perciò anche (è ipocrita nasconderlo) sulla natalità.
Elsa Fornero, La Stampa (2/5/2025)
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