L’Italia oggi è un paese secolarizzato, verrebbe quasi da dire scristianizzato. I seminari sono vuoti, in chiesa si va molto meno di un tempo. Abbiamo smarrito la fede ereditata dai padri, per i quali l’esistenza di Dio era certa come il fatto che il sole sorge e tramonta, e che sotto l’occhio di Dio sentivano di vivere. Eppure, se arriva una pandemia, se sopravviene una crisi, se incombe la paura della guerra e del nucleare, è nelle braccia della chiesa che molti di noi si rifugiano. Perché qualsiasi sguardo sul futuro, qualsiasi fiducia che la vita non sia tutta qui, qualsiasi speranza di rivedere i nostri cari che abbiamo perduto non può prescindere dalla fede in Dio. E non in un dio generico, nel dio di Voltaire, in Deus sive Natura. La fede in un Dio misericordioso, che ci ama, ci conosce, si è chinato sul solco delle nostre povere vite e si è preso cura di noi. Il Dio del Purgatorio di Dante, che bacia ogni nuovo nato e gli insuffla l’anima. Il Dio della Bibbia. Forse gli uomini di chiesa, a volte presi a seguire il mondo, sottovalutano l’immenso potenziale che ancora adesso custodisce la parola di Dio e quindi l’istituzione religiosa che da duemila anni la incarna. Nella drammatica crisi della politica e della democrazia, nell’evidente declino delle classi dirigenti dei nostri Paesi, la voce antica della chiesa rappresenta più che mai un punto di riferimento. A volte viene rimproverata di concentrarsi sulle attività sociali, come se fosse una Ong o una Onlus, e di trascurare i temi escatologici, il discorso sulla vita eterna. In realtà vivere il Vangelo, annunziare il suo messaggio dalla parte degli ultimi, dei deboli, dei poveri non è in contraddizione con il deposito della fede, anzi, lo conferma. Altro che la «teologia della prosperità» cara a Donald Trump e ai suoi pastori; come se i ricchi fossero i prescelti dal Signore, i poveri se la siano cercata, e il sublime discorso della Montagna non fosse mai stato pronunciato. Poi certo la lezione dei grandi santi è che la povertà non debba essere necessariamente imposta, ma possa anche essere liberamente scelta. Una lezione che Bergoglio ha dimostrato di comprendere nel momento in cui ha scelto di chiamarsi Francesco. […] Oggi che sembra quasi tornato l’Ancien Régime, con pochissimi famelici miliardari — alcuni formatisi proprio nel Sudafrica dell’apartheid — che si impossessano della ricchezza delle nazioni, alla fine la speranza non risiede nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale, nella conquista di Marte, e tantomeno nella ridicola mimesi dell’esplorazione spaziale pagata da Bezos alla sua promessa sposa e ai suoi cari. Di fronte alla nostra debolezza, ma anche all’immensità dell’universo e alla meraviglia del creato, ci sentiamo un po’ tutti come Pietro quando, a Gesù che abbandonato dai seguaci gli chiede provocatoriamente «volete andarvene anche voi?», risponde: «Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna».
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera (19/4/2025)
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