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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

mercoledì 24 agosto 2022

Famelici

I partiti sono sempre stati famelici, nel tentativo di scippare agli elettori il potere di decidere chi debba sedere in Parlamento. Ma stavolta hanno passato il segno. Si sono chiusi in una stanza, più o meno capiente, più o meno segreta, e hanno scelto a uno a uno, un mese prima del voto, quasi tutti i parlamentari della prossima legislatura, come se fosse cosa loro. Lo hanno fatto sia i partiti a guida personale sia quelli a conduzione correntizia, sia quelli con radicamento territoriale sia quelli senza. L'hanno fatto perché potevano. Stavolta era più facile. Vediamo perché. La legge elettorale in vigore, detta Rosatellum, figlia del fallimento della Grande Riforma di Renzi, già di per sé to- glie agli elettori gran parte della scelta. Su 600 parlamentari (tanti saranno questa volta, dopo il taglio) solo 147 deputati e 74 senatori verranno scelti nei collegi uninominali, dove si può mettere la croce su un nome invece che su una lista bloccata senza possibilità di preferenza. Ma stavolta c'è una novità. I collegi uninominali contendibili, quelli in cui anche poche centinaia di voti «marginali» possono determinare il risultato, sono rimasti pochissimi. Accade perché la legge elettorale, costruita per un sistema bipolare, funziona ora in una competizione quadripolare. Da una parte c'è il centrodestra, dall'altra tre coalizioni, più altre liste di disturbo. L'effetto è che in una grandissima parte dei collegi, tra l'80% e il g0%, il centrodestra è in vantaggio. II pronostico è perciò raramente incerto. Presentare dunque un candidato locale noto, apprezzato, autorevole, capace di rappresentare il territorio, come dovrebbe essere nella logica del maggioritario, è diventato pressoché inutile. Tanto si vince (o si perde) comunque. Perciò nel collegio uninominale ci puoi mettere chi vuoi. […] II Rosatellum contiene infatti una finzione sin dal concepimento. Lascia sì in vita un po' di collegi uninominali, ma sono dipendenti dal proporzionale. Nel senso che sulla scheda l'elettore non può scindere il proprio voto, dandolo a un partito nel plurinominale e al candidato di una coalizione diversa nel maggioritario. Dunque la seconda scelta è obbligata dalla prima, con un effetto «strascico». Perciò a Bologna l'elettore di Sinistra e Verdi che voglia eleggere Pippo Civati nel proporzionale, voterà in automatico anche Pier Ferdinando Casini, candidato della coalizione nell'uninominale, nonostante che il primo si consideri addirittura “l’antidoto” del secondo. C'è un altro marchingegno che i partiti hanno ampiamente usato: le pluricandidature. Si può infatti indicare lo stesso nome in un collegio uninominale e in cinque plurinominali contemporaneamente. Così si evitano molti fastidi. […]A Roma Forza Italia presenta Berlusconi capolista, al secondo posto Bernini e al terzo Gasparri. Il «trenino» serve ad eleggere Gasparri perché i due che lo precedono saranno eletti altrove. Insomma, l'elettore mette la croce, ma non sa su chi e che uso verrà fatto del suo voto. Corollario di questa «grande bouffe» è il tramonto delle promesse di partecipazione dei cittadini nella scelta dei candidati. Abbandonate completamente nel Pd, che norpha tenuto «primarie»; e sostanzialmente nei Cinque Stelle, dove le «parlamentarie» sono diventate «secondarie» rispetto al volere del leader Conte, che ha messo a capolista i quindici candidati di sua fiducia che vuole eleggere, scavalcando quelli indicati dalla base. C'è da chiedersi se partiti così poco democratici possano dar vita a una democrazia forte. Sempre meno, è la risposta: sta saltando del tutto la rappresentanza dei parlamentari. Infatti la competizione elettorale è sempre più disertata. E la scusa che «è tutta colpa della legge, siamo costretti dal sistema», non assolve chi il Rosatellum l'ha votato, oppure ha accuratamente evitato di cambiarlo perché gli calzava a pennello.

Antonio Polito, Corriere della Sera (24/8/2022)

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