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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 28 maggio 2022

Antiamericanismo

Biden è rimbambito. E’ un guerrafondaio. L’America prepara e minaccia guerre. Perché tanto non ne ha mai subita una sul proprio territorio. Nelle guerre che l’America ha fatto in giro per il mondo, di atrocità ne ha combinate più di quelle che ora denunciano in Ucraina. Se la prendono con la Russia, la Cina e l’Europa per far pagare ad altri i guai di casa propria. Pensano ai loro profitti, del resto del mondo non gli importa nulla. La guerra in Ucraina vede un ritorno dell’antiamericanismo. In tutte le salse. Sembra in apparenza nuovo. In realtà è vecchio come il cucco. Sa lontano un miglio di déjà vu. Quando, oltre trent’anni fa, lasciai Pechino per andare a fare il corrispondente a New York, ero – lo confesso – un pochino prevenuto, non verso l’America, ma nei riguardi dell’allora presidente Ronald Reagan. Per anni avevo letto, anche sul mio giornale di allora, l’Unità, che Reagan era vecchio, un po’ fuori di testa, un attore suonato, uno che rischiava di portare il mondo alla guerra, e così via. Il mio predecessore nell’incarico di corrispondente del giornale del Pci dagli Stati Uniti, Aniello Coppola, mi spiegò invece che molti europei non avevano capito proprio nulla. “Reagan è il presidente più popolare, più simpatico che l’America abbia avuto da Kennedy in poi”, diceva. Coppola era un esponente storico della sinistra “ingraiana”. Ma era anche, e soprattutto, un grande giornalista. Pensava con la sua testa, non coi preconcetti. Aveva ragione lui. Reagan seppe tenere a bada i falchi nel suo governo (e ce n’erano!). Fece all’Unione sovietica di Gorbaciov proposte che questa non poteva rifiutare. [...] Antiamericanismi, al plurale, bisognerebbe dire. Ce n’è, ce ne sono stati, di molti tipi. C’è stato un antiamericanismo russo, e uno cinese. Che però si sono alternati a momenti di apertura, anzi addirittura di cooperazione. A volte di fronte all’affacciarsi di nemici volta a volta considerati più pericolosi (l’imperialismo giapponese, poi quello dei “nuovi zar” per Mao, Hitler per Stalin), a volte perché conveniva di gran lunga competere pacificamente. C’è stato anche un antiamericanismo europeo da sinistra. La mia generazione protestava contro la guerra americana in Vietnam, e neanche in nome del pacifismo: “Il Vietcong vince perché spara”, si scandiva nei cortei. Ma c’è stato ancora di più, molto più radicato in profondità, un antiamericanismo di destra. Gratta gratta è ancora il filone che va per la maggiore. Si sentono e si riscoprono argomenti già sentiti e già usati. Non solo ieri o l’altroieri. E non da chi ci si si aspetterebbe...

Siegmund Ginzberg, Il Foglio 28/5/2022

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