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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

venerdì 4 marzo 2022

Guerra

Le parole le pronunciamo talvolta controvoglia. Le usiamo per separarci da noi stessi, dalle conseguenze delle nostre azioni. Significano prudenza. E mancanza. Ma di fronte a quello che accade in questi giorni nelle pianure d'Ucraina bisogna pronunciarle perché non si può fare altrimenti. Eccole: l'Occidente, la Nato, l'Europa e l'Italia sono già in guerra con la Russia che ha invaso l'Ucraina e posto mano alla sua distruzione. Perché inviare armi a chi combatte è in ogni significato possibile bellico, giuridico, morale entrare in combattimento, ovvero partecipare e uccidere. Le armi che abbiamo fornito e ora in maggiore quantità e efficacia forniremo all'esercito di Kiev non serviranno come semplice arnese di deterrenza, per convincere un nemico, ancora incerto, che pagherà un prezzo salato se attacca. Questa è la storia di ieri, seppellita sotto le bombe dell'incallito mestatore di Mosca. […] Fornire cannoni e anticarro è presentato come una appendice un po' più forte delle sanzioni economiche, quasi fosse un gesto necessario e innocuo, asettico per chi lo compie quando qualcuno viene aggredito e i perseguitati non hanno i mezzi sufficienti per difendersi. Questo è vero per le sanzioni. Ma non per la fornitura di armamenti quando già si combatte. Gli occidentali conoscono benissimo la differenza: nel 2011 i perseguitati erano i siriani massacrati da Bashar Assad, perfino i gas usava per annientarli. Chiesero armi: per difendersi meglio. Non assomigliavano forse agli ucraini? Obama e l'occidente non volevano far la guerra per loro, i siriani non erano importanti, erano lontani. E infatti distribuimmo loro sorrisi, incoraggiamenti, un po' di pietà, senza affannarci troppo. Ma neppure un fucile. Perché voleva dire entrare in guerra con Bashar e i suoi alleati. Appunto. Le parole bisogna rispettarle soprattutto quando le parole sono guerra, invasione, nemico, distruzione. Non sono ombre da evocare e che si può far sparire a comando. […] Meglio tenere in prima linea gli ucraini. Il guaio è che la guerra combattuta senza dirlo, come tutte le furbizie, regge per un tempo limitato. Saranno gli ucraini stessi a farla crollare. Quando la potenza russa si abbatterà su di loro con tutta la violenza possibile, finora ne hanno provato solo sanguinose premesse, le armi «in leasing» non basteranno più e ci chiederanno di tener fede all'impegno che abbiamo sottoscritto inviandole: ci chiederanno di intervenire, di prenderci direttamente per il bavero con uomini in carne e ossa e non con idee pure. Accade sempre così: prima si spediscono armi e «istruttori», poi si scopre che non basta e ti sei già avvolto in quella guerra, ne sei una parte e l'unico modo per tentare di slegarti è avvolgerti sempre più sperando di ritrovare il capo della corda. Come sul tavolo prima vengono gettati i fanti, poi si passa alle regine, ai re, agli assi. 

Domenico Quirico, La Stampa (3/3/2022)

Canzone del giorno: War Is Not Healthy (2021) - Procol Harum
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