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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 9 luglio 2018

Italiano

È anche discutibile che si sia deciso di varare in università italiane interi corsi di laurea le cui lezioni si tengono in inglese (anche qui, peraltro, non so con quale preparazione linguistica dei docenti). È come un cane che si morde la coda: se tu abolisci l’italiano all’università, già a scuola gli studenti sono portati a ritenere che non sia importante studiarlo. Ovviamente una buona conoscenza dell’inglese nel mondo di oggi è fondamentale, ma non si capisce perché essa debba andare a discapito dell’italiano».

Il vero nemico è dunque l’inglese?

«Non tanto l’inglese, quanto la nostra gratuita esterofilia, che è sinonimo di provincialismo. Perché dire street food anziché “cibo di strada”? competitor al posto di “concorrente”? endorsement e non “sostegno”? Ho intitolato uno dei capitoli del mio libro “Scansare gli anglismi inutili”».

Negli altri Paesi europei come vanno le cose?

«Non bisogna pensare che la situazione dell’italiano di oggi sia sostanzialmente diversa da quella di altre lingue. Tutte le lingue d’Europa, in particolare quelle romanze, si trovano a fare disperatamente i conti con una prevalenza universale e quasi dittatoriale dell’inglese. Il problema è comune, ma le risposte sono diverse. I nostri ultimi governi, come dicevo, non hanno brillato particolarmente per lungimiranza nel campo della difesa e della promozione dell’italiano».

Che cosa andrebbe fatto?

«La pervasività dell’inglese è un problema analogo a quello della globalizzazione, la quale appiattisce tutti quanti sulla base di un’utopia universalistica che poi di fatto non dà i risultati sperati, anche se continuiamo ad ascoltare la nenia sui grandi vantaggi che possono venire da ogni forma di globalizzazione. Questo è un punto nodale. La globalizzazione è certamente un dato di fatto. Nessuno potrebbe cancellarla, anche volendo. L’alternativa sta semmai nell’esserne entusiasti fino al punto da anticiparne le conseguenze più radicali e magari remote, o, al contrario, nel tentare di convivere con essa senza esaltazioni eccessive, senza sentimenti messianici e palingenetici, e anzi ricordando che la conservazione di una parte non globalizzata delle nostre tradizioni e abitudini non è solo un dovere, una forma di rispetto verso noi stessi e verso la nostra storia, ma anche una necessità».

Claudio Marazzini (Presidente dell'Accademia della Crusca) intervistato da Roberto Carnero - Avvenire (7/7/2018)

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