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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 4 giugno 2018

Dioscuri e matricole

«Ma Tria qual è? Quello col riporto?». «No, Tria è pelatino». «Eccolo» risolve il fotografo puntando Bonisoli. «No, lui è un nordico amico di Casaleggio, Tria parla romano». «E famolo parlà! Tria, guardi qui!».
Per un’ora sola si fa struggente al Quirinale la nostalgia per le vecchie esecrate facce, per un unico motivo: erano appunto vecchie, quindi risapute. Questi invece nessuno sa chi siano, tranne Giulia Bongiorno, Enzo Moavero e pochi altri: Toninelli ministro delle Infrastrutture che non vuole le Infrastrutture, Giulia Grillo alla Salute che non vuole i vaccini. Il primo sconosciuto è il premier Conte, che si sente in dovere di precisare: «Non siamo marziani, ve ne accorgerete».
Ma ecco finalmente i dioscuri, e subito si capisce che, se l’alleanza può essere provvisoria (ma forse no), il feeling è certo autentico. Salvini pare il fratello maggiore. Un po’ ingobbito come sempre nelle occasioni istituzionali, giacca troppo stretta per essere abbottonata, calzini a righe blu scuro e azzurro elettrico; la cravatta verde è tutto quel che resta della Padania. Entra insieme con il fratello minore Di Maio e gli si siede accanto, chiacchiera con lui tutto il tempo senza badare alla lettura del labiale, ride con lui, lo cerca con lo sguardo. Di Maio contraccambia. È salito al Quirinale in un taxi-van con i compagni di partito, ancora increduli. (…)
Il nostro nuovo presidente del Consiglio è l’ultimo dandy. Al confronto Philippe Daverio è trascurato, Oscar Giannino suo mancato compagno di studi in America è quasi casual. Elegantissimo, compassato, Giuseppe Conte si accarezza i capelli che Carlo Freccero qui presente assicura essere tinti. È l’unico a firmare con la propria stilografica anziché con la penna d’ordinanza del Quirinale. Il Guardasigilli Bonafede — amato dai giornalisti in quanto grillino umano: saluta, risponde al telefono — se lo mangia con gli occhi, legittimamente fiero di averlo scoperto. Ancora ieri teneva lezione alle matricole a Firenze, oggi riceve le congratulazioni di Putin. Al fianco di Conte, Mattarella è l’unico al secondo giuramento, insieme con Moavero, ministro con Monti (e poi Letta) e Savona, salito al Colle un quarto di secolo fa ai tempi di Ciampi, oggi molto abbronzato, con cravatta salmone, orologione di marca, occhialini pince-nez. Il vestito è un po’ largo, il professore a differenza di Salvini dev’essere dimagrito. L’incontro Savona-Mattarella è il momento clou, i fotografi si scatenano, il padrone di casa stringe e trattiene la mano dell’avversario, gli parla a lungo, non era niente di personale, l’altro dice solo: «Grazie presidente». (…)Di Maio e Salvini, sempre insieme; poi si spostano al Quirinale per il ricevimento. Mattarella è decisamente sollevato, anche se deve dare retta a tutti e si è formata una fila chilometrica per salutarlo. Il ministro Centinaio, che il 25 aprile festeggia «solo San Marco», riconosce invece il 2 giugno e si mette disciplinatamente in coda, con le basette lunghe e il sorriso felice. Di Maio riceve l’omaggio di Marco Alverà della Snam e di altri manager da riconfermare o da nominare. Salvini si offre ai selfie. Quelli di Forza Italia l’hanno presa male. «Il governo pare una sede distaccata della Casaleggio&Associati» sibila la Gelmini. Sfumato il giudizio di Brunetta: «Un governo di merda. Tranne Moavero e tranne lui, s’intende» dice indicando l’amico Tria. Il ministro dell’Economia è garbato, occhiali Dolce&Gabbana, modi trattenuti; conversa con Padoan e Giorgio La Malfa. Tace Gianni Letta, ma è evidente che considera l’alleanza finita, la Lega è andata davvero con i 5 Stelle.
Arriva un po’ di Pd dalla piazza convocata per sostenere Mattarella, che se l’è cavata benissimo da solo. Renzi è già in Cina. Matteo Colaninno assicura: «Meglio che Conte ce l’abbia fatta, serviva un governo che avesse la fiducia per placare i mercati; poi si vedrà». Salvini confida a un amico: «Sono preoccupatissimo». Non si riferisce agli Interni, anzi non vede l’ora di cominciare; lo preoccupano l’economia, il debito, l’Iva che Tria vorrebbe aumentare, la legge Fornero che Tria vorrebbe mantenere, i cento miliardi da spendere che proprio non si trovano. Un fotografo mormora al collega: «Tra un anno e mezzo arriva Draghi».

                                                                                                            Aldo Cazzullo, Corriere della Sera (2/6/2018)

Canzone del giorno: I Swear (1994) - John Michael Montgomery
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I dioscuri e le matricole: cronaca di una strambo giuramento al Quirinale

Aldo Cazzullo, Il Corriere della Sera



«Ma Tria qual è? Quello col riporto?». «No, Tria è pelatino». «Eccolo» risolve il fotografo puntando Bonisoli. «No, lui è un nordico amico di Casaleggio, Tria parla romano». «E famolo parlà! Tria, guardi qui!».

Per un’ora sola si fa struggente al Quirinale la nostalgia per le vecchie esecrate facce, per un unico motivo: erano appunto vecchie, quindi risapute. Questi invece nessuno sa chi siano, tranne Giulia Bongiorno, Enzo Moavero e pochi altri: Toninelli ministro delle Infrastrutture che non vuole le Infrastrutture, Giulia Grillo alla Salute che non vuole i vaccini. Il primo sconosciuto è il premier Conte, che si sente in dovere di precisare: «Non siamo marziani, ve ne accorgerete».
Ma ecco finalmente i dioscuri, e subito si capisce che, se l’alleanza può essere provvisoria (ma forse no), il feeling è certo autentico. Salvini pare il fratello maggiore. Un po’ ingobbito come sempre nelle occasioni istituzionali, giacca troppo stretta per essere abbottonata, calzini a righe blu scuro e azzurro elettrico; la cravatta verde è tutto quel che resta della Padania. Entra insieme con il fratello minore Di Maio e gli si siede accanto, chiacchiera con lui tutto il tempo senza badare alla lettura del labiale, ride con lui, lo cerca con lo sguardo.
Di Maio contraccambia. È salito al Quirinale in un taxi-van con i compagni di partito, ancora increduli. Quando giura l’amico Fraccaro, Di Maio sorride compiaciuto, quanto tocca a Toninelli è scosso da un brivido di felicità, e finalmente, nell’udire Giulia Grillo proclamare la propria fedeltà alla Repubblica, si commuove. «L’Italia è un Paese scalabile», l’aveva già detto Renzi nel 2014, presentandosi al giuramento con la moglie e i tre figli vestiti di bianco rosso e verde. Ora tocca ai grillini confermare che quando il sistema entra in crisi può succedere tutto, ma proprio tutto. Lorenzo Fontana ministro della Famiglia è qui coerentemente con la moglie e la figlioletta con orsacchiotti di pelouche, vestitino bianco e calzini ricamati. Additato come omofobo, Fontana assicura che le unioni civili non si toccano.
Il nostro nuovo presidente del Consiglio è l’ultimo dandy. Al confronto Philippe Daverio è trascurato, Oscar Giannino suo mancato compagno di studi in America è quasi casual. Elegantissimo, compassato, Giuseppe Conte si accarezza i capelli che Carlo Freccero qui presente assicura essere tinti. È l’unico a firmare con la propria stilografica anziché con la penna d’ordinanza del Quirinale. Il Guardasigilli Bonafede — amato dai giornalisti in quanto grillino umano: saluta, risponde al telefono — se lo mangia con gli occhi, legittimamente fiero di averlo scoperto. Ancora ieri teneva lezione alle matricole a Firenze, oggi riceve le congratulazioni di Putin.
Al fianco di Conte, Mattarella è l’unico al secondo giuramento, insieme con Moavero, ministro con Monti (e poi Letta) e Savona, salito al Colle un quarto di secolo fa ai tempi di Ciampi, oggi molto abbronzato, con cravatta salmone, orologione di marca, occhialini pince-nez. Il vestito è un po’ largo, il professore a differenza di Salvini dev’essere dimagrito. L’incontro Savona-Mattarella è il momento clou, i fotografi si scatenano, il padrone di casa stringe e trattiene la mano dell’avversario, gli parla a lungo, non era niente di personale, l’altro dice solo: «Grazie presidente». Di Maio al momento di giurare si chiude un bottone della giacca. Salvini invece non riesce proprio a stare composto, siede sulla punta della sedia tipo sposo in ansia, si soppesa preoccupato la pancia da campagna elettorale, «in ogni piazza mi rimpinzano, poi quando mi metto la giacca sudo come un orso». Dopo aver firmato il giuramento dimentica di salutare Conte, torna indietro, la manica si solleva e scopre il braccialetto da ultras del Milan.
Il generale Costa si presenta da Mattarella battendo i tacchi, tipo giunta militare sudamericana. Elisabetta Trenta, Difesa, giura sull’attenti. Le donne sono pochine, quasi tutte in pantaloni tranne Erika Stefani in blu cobalto, subito individuata dai reporter maschilisti come Miss Governo. Giulia Grillo è andata dal parrucchiere. Particolarmente incredula Barbara Lezzi, scampata anche al bonifico mancato. Qualche problema con la giacca anche per Toninelli: troppo corta. Alla fine breve ma frenetico applauso dei parenti. Fuori sulla piazza si è creata una piccola folla, l’attesa popolare è autentica, il governo ha un’apertura di credito notevole a dispetto del programma impossibile. Si vedono anche meno auto blu del solito. Breve brindisi, poi ci si porta a Palazzo Chigi per lo scambio della campanella, che però non si trova più. Momento di imbarazzo tra Gentiloni e Conte, «manca l’oggetto» si giustifica il premier uscente, poi si rimedia. Si rivede la Boschi. Sono venuti anche Di Maio e Salvini, sempre insieme; poi si spostano al Quirinale per il ricevimento. Mattarella è decisamente sollevato, anche se deve dare retta a tutti e si è formata una fila chilometrica per salutarlo. Il ministro Centinaio, che il 25 aprile festeggia «solo San Marco», riconosce invece il 2 giugno e si mette disciplinatamente in coda, con le basette lunghe e il sorriso felice. Di Maio riceve l’omaggio di Marco Alverà della Snam e di altri manager da riconfermare o da nominare. Salvini si offre ai selfie. Quelli di Forza Italia l’hanno presa male. «Il governo pare una sede distaccata della Casaleggio&Associati» sibila la Gelmini. Sfumato il giudizio di Brunetta: «Un governo di merda. Tranne Moavero e tranne lui, s’intende» dice indicando l’amico Tria. Il ministro dell’Economia è garbato, occhiali Dolce&Gabbana, modi trattenuti; conversa con Padoan e Giorgio La Malfa. Tace Gianni Letta, ma è evidente che considera l’alleanza finita, la Lega è andata davvero con i 5 Stelle.
Arriva un po’ di Pd dalla piazza convocata per sostenere Mattarella, che se l’è cavata benissimo da solo. Renzi è già in Cina. Matteo Colaninno assicura: «Meglio che Conte ce l’abbia fatta, serviva un governo che avesse la fiducia per placare i mercati; poi si vedrà». Salvini confida a un amico: «Sono preoccupatissimo». Non si riferisce agli Interni, anzi non vede l’ora di cominciare; lo preoccupano l’economia, il debito, l’Iva che Tria vorrebbe aumentare, la legge Fornero che Tria vorrebbe mantenere, i cento miliardi da spendere che proprio non si trovano.
Un fotografo mormora al collega: «Tra un anno e mezzo arriva Draghi».