nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

lunedì 30 gennaio 2017

Brad Pitt

Sembrava che dopo la fine della storia con Angelina Jolie, fosse andato veramente knock out... anzi. In gnok out. Nelle foto era a pezzi, aveva la faccia di Enzo Paolo Turchi in piena crisi emorroidale all’Isola dei famosi... Invece adesso pare che abbia un nuovo amore. L’hai visto ai Golden Globe? Un fiore. Magro, in forma, sorridente... Perché, vi chiederete? Perché ha trovato un nuovo equilibrio interiore? Perché ha fatto un cammino di consapevolezza? Perché ha compreso i suoi errori e ora è una persona diversa? NO! Perché ha di nuovo della gran jolanda a disposizione. Jolanda a profusione, a nastro e a mitraglia. E chi gliela somministra? Un’altra attrice, la terza. Dopo la Aniston e la Jolie questa è la volta di Kate Hudson. E adesso i due fanno già coppia fissa come Ficarra e Picone. Certo perché oltretutto voi uomini siete anche pigri, i maschi dominanti ravanano nell’ambiente che gli rimane più comodo, diciamo a chilometro zero, come i prodotti dello slow food. Il territorio di caccia di un gatto: cortile e balcone.
Se Brad fosse stato un gommista per dire, si sarebbe messo con una signora con un pneumatico a terra e se fosse stato un personal trainer con la sua trainata. Solo gli imbalsamatori, si salvano. Difficile che si mettano con una faina impagliata. Ma non è da escludere.(…) È che voi uomini non sapete stare soli. Quando finisce una storia, ne andate subito a cercare un’altra perché non siete autonomi, avete bisogno sempre di una donna che vi coccoli, vi ascolti, vi lavi le mutande e vi tolga i peli sopra le orecchie prima che diventino moquette, sia che siate il geometra Cerutti o Brad Pitt. 

                                                              Luciana Littizzetto (Torinosette – La Stampa 27/1/2017)

Canzone del giorno: Meno male  (2010) - Simone Cristicchi
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venerdì 27 gennaio 2017

Post Scriptum Film

L'ora legale

REGIA: Salvatore Ficarra, Valentino Picone
INTERPRETI: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Leo Gullotta, Vincenzo Amato, Tony Sperandeo, Sergio Friscia, Eleonora De Luca, Antonio Catania
SCENEGGIATURA: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Edoardo De Angelis, Nicola Guaglianone, Fabrizio Testini
DURATA: 92'
USCITA: 19/1/2017

E' arrivato il tempo della legalità? Si possono sconfiggere corruzione, clientelismo e voto di scambio? Un sindaco eletto da una comunità può svolgere il suo mandato con onestà e nel nome del programma che ha presentato in campagna elettorale? Si parla di politica, di senso civico, praticamente si parla di noi "cittadini" nell'ultimo film della ditta Ficarra & Picone che per "L'ora legale" ha radunato un nutrito numero di esperti e bravi attori siciliani (fra i tanti: Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Antonio Catania, Sergio Friscia).
La spregiudicatezza di Ficarra e la stoltezza di Picone riescono, anche in questo caso, a coinvolgere lo spettatore in un riso spontaneo che, in alcune parti del film, è abbondante mentre in altre assume un sapore amaro. 
Nel paesino dove vivono i due protagonisti, il caso vuole che il neo eletto Sindaco (cognato di entrambi) sia intenzionato a far rispettare le regole per il bene della comunità. Niente più raccomandazioni, inefficienze e  abusi. D'altronde sono i cittadini che pretendono dagli amministratori trasparenza, onestà e impegno.
Ma siamo pronti ad accettare la legalità? Probabilmente per tutti noi è più facile criticare la disonesta pagliuzza nell'occhio altrui mentre siamo infastiditi se le regole siamo noi a doverle rispettare. È facile scagliarsi contro sindaci, assessori e dirigenti pubblici vari e, sicuramente, i fatti di cronaca di questi anni rendono facile il nostro disprezzo. Ma siamo sicuri d'interpretare con senso civico il nostro ruolo di appartenenti ad una comunità?
La raccolta differenziata, le cacche dei cani a passeggio, le auto in doppia fila, sono tanti gli spunti ai quali ricorrono i due comici siciliani per ricordarci ipocrisia e cerchiobottismo dei più.  I "fastidi" che il rispetto delle regole determina coinvolgono chi vuole continuare a fare il posteggiatore abusivo, chi occupa illegalmente il suolo pubblico, chi non rispetta le più semplici regole del codice stradale e, addirittura, chi, come il parroco del posto, è "costretto" a pagare la tassa sulla spazzatura per il suo bed & breakfast.
Un pizzico di satira socio-politica, un occhiolino alla tipica anarchia italica, un po' di populismo bonario, il sostegno di una buona scneggiatura e le indiscutibili doti comico-graffianti di Salvo Ficarra e Valentino Picone, fanno di "L'ora legale" una commedia pungente e gradevole.

Canzone del giorno: Seasons Change  (2004) - Anastacia
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giovedì 26 gennaio 2017

Egoismo

Saremo una società più egoista. Del resto, quando le società sono povere, i vincoli familiari sono però forti e prevale la solidarietà. Quando, invece, le società diventano opulente, o comunque libere dai bisogni fondamentali, individualismo ed egoismo, caratteristiche proprie del benessere, si fanno più radicali. La gente non ha voglia di assumersi la responsabilità di un'altra persona e di una famiglia. Ha qualche piccolo privilegio e preferisce goderselo da solo. Ma una società individualista è indubbiamente più povera. Non solo. Si impoverisce la stessa struttura psichica dell'uomo, a causa del decadimento sentimentale. Vivere da soli depaupera i sentimenti.

Umberto Galimberti (L'Espresso del 22/1/2017 - da un'intervista a Sabina Minardi)

Canzone del giorno: Selfish  (2002) - Toni Braxton
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lunedì 23 gennaio 2017

Dedizione

Dall’alto, nelle riprese degli elicotteri, gli uomini sono figure nere grandi poco più di formiche, che si agitano spasmodicamente attorno a un cratere, nel bianco della montagna innevata. Ne entrano e ne escono, scendono ancora, gli apparecchi segnalatori antivalanga stretti alle caviglie. Si rincorrono grida, coperte da un assordante rumore di seghe elettriche. Calarsi in ciò che resta dell’hotel sommerso dalla slavina deve essere come scendere in una miniera: dura come la roccia la neve compressa, eppure instabile e insidiosa. Quanto alto sarà il cunicolo che conduce ai sopravvissuti? Basso da strisciarci appena dentro, pregando che la volta non ceda. 
Carponi, a salvare vite. Finché non emerge dal cratere la testa bruna di un bambino, il primo. Urlano i soccorritori, lo abbracciano. La mamma, che emerge subito dopo, ha lunghi capelli biondi. Sembra stordita dalla luce. Si volta mentre la portano via, allunga un braccio verso uno dei suoi salvatori, si ferma, come in una preghiera. Sta dicendo, lo si saprà poi: cercate mia figlia, cercate la mia bambina. E gli uomini del soccorso alpino si rituffano nel tunnel, a Rigopiano. Quanto buio deve essere là sotto, e quanto freddo. Quanto silenzio: la neve soffoca i rumori, la neve ovatta, in una pace tombale. Sentire quelle prime sei voci, ieri mattina, ai soccorritori deve essere parso un miracolo. Forse per un istante hanno esitato a crederci. Poi, negli scambi radio con gli elicotteri, le parole sono risuonate sicure: «Confermo, sei ritrovati vivi». Parole ferme, ma percorse da una incomprimibile gioia. Una gioia più grande quando, a sera, è certo: quattro altri bambini sono in salvo. Giovedì sera, pochi avrebbero scommesso sulla possibilità di trovare qualcuno in vita sotto a quello sfacelo. Eppure, i soccorritori hanno preso a scavare. Con le pale, all’inizio, con delle pale ridicolmente piccole rispetto alla massa immane della neve. Nella notte hanno continuato, ostinati. I collegamenti dei tg, col passare delle ore, erano andati calando. Non ci si aspettava più di trovare superstiti. 
Quelle voci, quaranta ore dopo, come un miracolo. Il miracolo, l’ha fatto anche la volontà degli uomini di insistere, quando i cani avevano smesso di cercare. Il miracolo è stato che gli uomini abbiano continuato, in condizioni proibitive, a sperare. 
Ad accanirsi con le pale leggere contro la mole sovrana e opaca della slavina: dall’alto, dagli elicotteri, che povere formiche sembravano, sulla montagna minacciosa e immane. L’altro miracolo è che ci sia gente disposta, per uno stipendio da poco, a rischiare la vita per altri, mai visti. E che questo non conoscere nemmeno quell’'altro', non li fermi. Anzi, in frangenti come quello del Gran Sasso sembra emergere dalla tragedia un legame tra gli uomini profondo, più forte di ogni cosa. La vita altrui improvvisamente è, davvero, un bene insuperabile, tanto da mettere in gioco la propria, di vita. Come se, nel fondo aspro della battaglia, infine ci si vedesse fratelli. E chi da casa sta a guardare la tv si blocca su quelle immagini, le cerca ancora, catturato da una commozione cui non sa ben dare un nome. È che forze profonde entrano in campo, quando la salvezza del prossimo è lì, a un passo, vicina eppure lontana. Una speranza coriacea allora ci trascina, una voglia di vita nostra e dell’altro, di vita buona. Ce ne lasciamo prendere e senza cambiare canale restiamo a guardare, zitti, quasi stupiti del nostro stesso coinvolgimento. Cos’è? È che quelle persone, quei bambini che emergono dal cratere gelido e nero fanno pensare a un venire al mondo, al parto di vite che parevano sepolte. È questo rinascere, che ci attanaglia. Nel fondo, non detta ma annodata a noi come una radice forte, si leva una legge: sperare, bisogna, sempre. Sperare come una umana militanza. Come un imperativo interiore, che abbiamo, tenace, scritto addosso.

Marina Corradi, Avvenire (21/1/2017)

Canzone del giorno: Hand in Hand  (1980) - Dire Straits
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sabato 21 gennaio 2017

Rigopiano

Non c’è forza umana che possa fermare un terremoto, né gli scienziati hanno ancora scoperto un modo per impedire una nevicata imponente e perniciosa. Ma dire che l’uomo non sia in grado di fare proprio nulla per contrastare gli effetti della furia degli elementi naturali sarebbe assurdo. Per esempio, potrebbe cominciare evitando di dare loro una mano: come invece spesso capita. La tragedia dell’hotel Rigopiano travolto mercoledì da una micidiale slavina è illuminante. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha definito «difficilissime» le condizioni dei soccorsi. Ed è vero al punto che l’azione dei nostri bravissimi soccorritori ha rasentato l’ eroismo. Ma le condizioni si sono rivelate così complicate soprattutto per le strade rese non percorribili dalla neve. Strade che però erano ingombre anche a causa della carenza di spazzaneve.C’è chi in simili circostanze puntualmente tira in ballo i tagli di fondi alle Province, forse dimenticando come pure prima di quelle sforbiciate la manutenzione stradale non fosse proprio il massimo. Di sicuro se la richiesta di sgombrare la strada arrivata nella giornata di mercoledì dall’albergo fosse stata esaudita, ora non staremmo qui a piangere i morti di Rigopiano. Alle tre del pomeriggio, a quanto pare, tutti erano pronti per andarsene: lo spazzaneve non è mai arrivato. È arrivata invece la slavina. Ma stando poi alle cronache degli ultimi anni, forse lì non doveva nemmeno esserci un albergo. Dove sorgeva il resort a quattro stelle abbattuto da quella terribile valanga c’era un tempo soltanto un casolare. Una costruzione di campagna in una zona destinata a pascolo che sarebbe stata ampliata abusivamente occupando una porzione di suolo pubblico per realizzare, appunto, la residenza alberghiera di cui stiamo parlando.Questo, almeno, secondo i giudici. Manco a dirlo, infatti, la vicenda finì anche al centro di una indagine giudiziaria con il coinvolgimento di due sindaci del Comune di Farindola, due assessori, un consigliere comunale e un paio di imprenditori. Tutti rinviati a giudizio in seguito a una delibera del settembre 2008 con la quale era stata concessa al costruttore la sanatoria per l’occupazione abusiva del suolo pubblico. I magistrati arrivarono a ipotizzare che per ottenerla fosse stato distribuito ai politici qualche zuccherino: alcune migliaia di euro e magari certe assunzioni di favore. Il procedimento è andato avanti tre anni. Finché a novembre del 2016 la faccenda si è chiusa con l’ assoluzione di tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste».Va detto che comunque già dal mese di aprile era intervenuta la prescrizione. Non andrebbero mai dimenticate le parole che alla fine di agosto dello scorso anno pronunciò il vescovo di Rieti Domenico Pompili durante i funerali di 28 vittime della prima scossa del terremoto di Amatrice: «Non sono i terremoti che uccidono. Uccidono le opere degli uomini». Ha ragione da vendere. La natura, ammoniva già 180 anni fa Giacomo Leopardi nel poemetto La ginestra , non guarda in faccia a nessuno. Non ha natura al seme/ dell’uom più stima e cura/ che alla formica. 
Sergio Rizzo, Corriere della Sera (20/1/2017)

Canzone del giorno: Distant Early Warling  (1984) - Rush
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mercoledì 18 gennaio 2017

Post Scriptum Film

Lion

REGIA: Garth Davis
INTERPRETI: Nicole Kidman, Dev Patel, Rooney Mara, David Wenham, Nawazuddin Siddiqui, Eamon Farre, Tannishtha Chatterjee
SCENEGGIATURA: Luke Davies
FOTOGRAFIA: Greig Fraser
DURATA: 120'
USCITA: 22

I titoli di coda di Lion di Garth Davis ricordano al pubblico che ancora oggi in India ogni anno scompaiono nel nulla 80 mila bambini. Il film nella sua prima parte (probabilmente fin troppo lunga!) è ambientato in India e ci descrive, in maniera schietta e con l'aiuto dei sottotitoli (gli attori in questa parte iniziale recitano in  dialetto hindi), l'odissea del piccolo Saroo e la sua discesa verso gli inferi. Uno dei tantissimi bimbi poveri sperduti fra le insidie di una Calcutta spremuta fra i suoi 4 milioni e passa di abitanti.
Tratto da una storia vera che non può lasciare indifferenti, il film riesce subito a catturare grazie alla forza d'animo del piccolo protagonista che ben regge dal punto di vista emozionale l'inizio della storia. Dopo tantissime peripezie egli riesce ad uscire indenne dai pericoli di una società nella quale i bambini sono merce e il destino lo conduce fra le amorevoli braccia di una coppia australiana ben interpretata da Nicole Kidman e David Wenham.
Nella seconda parte del film il regista sposta l'attenzione sulla vita del giovane Saroo, neo-laureato che, giorno dopo giorno, sente sempre più forte nel suo animo il richiamo del proprio passato nonostante il rapporto amorevole e consolidato con i genitori adottivi.
Passione e tormento coinvolgono Saroo e il tema principale del film diviene la ricerca di quelle radici che rappresentano un robusto cordone ombelicale per il protagonista.
Anche se il tema dell'adozione avrebbe meritato una sceneggiatura più decisa, Lion è un film appassionante che rappresenta senz'altro un significativo tributo a tanti bambini martoriati dalla povertà.

Canzone del giorno: Radici  (1972) - Francesco Guccini
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lunedì 16 gennaio 2017

Magic

È una specie di magia
Una specie di magia
Un sogno, un'anima, un prezzo
Uno scopo, un bagliore dorato di ciò
che dovrebbe essere

È una specie di magia
Un raggio di luce che mostra la via

(It's a kind of magic
A kind of magic
One dream, one soul, one prize
One goal, one golden glance
of what should be

It's a kind of magic
One shaft of light that shows the way)

Queen, A Kind of Magic (1986)

Canzone del giorno: A Kind of  Magic (1986) - Queen
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sabato 14 gennaio 2017

Catena


Il genere umano? Hanno dovuto installare toilettes automatiche nei bagni pubblici, perché non c'era da fidarsi che la gente tirasse la catena...


Dal film Whatever Works (Basta che funzioni) – Regia di Woody Allen - 2009


Canzone del giorno: Chains  (2014) - Nick Jonas
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giovedì 12 gennaio 2017

Liquefazione

Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso.

Zygmunt Bauman (1925 – 2017)
The Individualized Society, 2001. 
La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza (ed. il Mulino, 2002)

Canzone del giorno: Liquid  (1998) - The Rasmus
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lunedì 9 gennaio 2017

Angelo Custode

È accaduto 10 anni fa. Il 9 gennaio del 2007  Steve Jobs presentò al mondo il primo iPhone. Durante la conferenza di apertura del Macworld di San Francisco, il numero uno della Apple salì sul palco vestito con un girocollo nero, i jeans e delle scarpe da ginnastica per annunciare la nascita di un nuovo "telefonino" full-touch con le caratteristiche anche di un iPod e di una fotocamera. Praticamente un piccolissimo computer con possibilità di chattare dal vivo, scaricare musica, film e programmi. Perspicacia di un genio che con il suo prodotto ha rivoluzionato usi, comportamenti e psiche del genere umano. Nel bene e nel male.
Scrive Vittorio Zucconi (La Repubblica del 6 gennaio scorso): "L'angelo custode della nostra solitudine e il salvatore dei bambini al ristorante apparve sulla Terra nel gennaio di dieci anni or sono, alzato dalle dita magre del suo creatore, un uomo chiamato Steve Jobs che sapeva di morire. Era stato battezzato iPhone ma neppure colui che lo aveva voluto, presentato alle folle e marchiato con quella “i” che voleva stare per Individuale, Informazione, Internet, Istruzione, Innovazione - neppure lui lo spiegò mai del tutto - ma soprattutto per “io” come ego, aveva capito quale forza rivoluzionaria avesse evocato. Alle sue spalle infatti, in caratteri bianchi sul grande schermo del palcoscenico il 9 gennaio 2007, il motto ufficiale annunciava che con l’iPhone Apple aveva “reinventato il telefono”. Sbagliato. Dieci anni più tardi, sappiamo che quell’oggettino da un etto e mezzo di peso e dalle dimensioni di una merendina non avrebbe cambiato il modo di telefonare. Per miliardi di esseri umani, smarth, trasformandosi da servo a compagno a padrone. Da succubo del nostro volere a incubo delle nostre ore. (...) Quell’oggetto, nelle sue evoluzioni, sarebbe stato, oltre le previsioni di chi lo aveva immaginato, la risposta alla condizione umana. All’angoscia della solitudine e all’incubo della noia".

Canzone del giorno: Guardian Angel (2003) - Lou Reed
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sabato 7 gennaio 2017

Post Scriptum Film

Florence

REGIA: Stephen Frears
INTERPRETI: Meryl Streep, Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca Ferguson, Nina Arianda
SCENEGGIATURA: Nicholas Martin
DURATA: 111'
USCITA: 09
"Florence", l'ultimo film di Stephen Frears, racconta la storia, realmente accaduta, di una dama ricchissima di New York che ha fatto di tutto per affermarsi come cantante lirica non accorgendosi di essere incredibilmente stonata.
Candidato ai Golden Globe come miglior film commedia, "Florence" si regge soprattutto grazie alla convincente interpretazione dei due protagonisti, Meryl Streep e Hugh Grant, e del giovane attore Simon Herberg che impersona un divertente pianista ingaggiato dalla facoltosa ereditiera.
Ben meritate, quindi, anche le nominations riservate ai tre attori per il premio la cui manifestazione si terrà domani a Beverly Hills. In attesa di verificare cosa accadrà durante la cerimonia non si può che evidenziare proprio il virtuosismo del cast che vede primeggiare soprattutto la grazia di Meryl Streep e la sua "melodica" strambalatezza nell'interpretare l'anziana signora nell'ultimo anno della sua vita, nel 1944. 
La passione per la musica coinvolge appieno la donna (malata di sifilide fin da giovane). 
Il marito, un Hugh Grant delicato e protettivo, fa di tutto per sostenere con devozione le sue scelte bislacche permettendole di continuare a vivere il suo sogno di cantante lirica.
Stonata ma genuinamente autentica, Florence Foster Jenkins induce al sorriso ma, nel contempo, provoca forti emozioni per la voglia tutta sua di provare a farcela nonostante tutto. La sua esibizione surreale, all'età di 76 anni, nel prestigioso Carnegie Hall, rappresenta il compendio di una vita che trova il suo appagamento nella sue parole pronunciate alla fine del film (la donna morirà un mese dopo la sua famosa ed ultima performance): "la gente potrà dire che non so cantare, ma non potrà ammettere che non ho cantato".

Canzone del giorno: Canzoni stonate  (1982) - Gianni Morandi
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venerdì 6 gennaio 2017

Re Magi

Emilio Giannelli, su Corriere.it


















Canzone del giorno: Temporarely Painless (2016) - John Legend
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mercoledì 4 gennaio 2017

Diffamazione

Se volessi scrivere su questo giorrnale «Ti odio perché (a scelta) sei nero, sei donna, sei gay o lesbica, sei musulmano, o semplicemente perché così capita», non potrei farlo. Ci sarebbe la mia firma sotto, e comunque il direttore responsabile del giornale stesso non lo consentirebbe. E in ogni caso ci sarebbe la tracciabilità. Per cui, si potrebbe risalire a me. E quindi ne pagherei le conseguenze. Se invece vo- lessi fare la stessa cosa sul web, ciò non avverrebbe. Potrei tranquillamente aggredire verbalmente qualcuno o insultarlo senza potere essere rintracciato o preventivamente censurato. Bene ha fatto dunque il Presidente Mattarella a stigmatizzare l’odio e le violenza diffuse in rete a piene mani.
Ma quando qualcosa succede –direbbe Monsieur de Lapalisse- vuol dire che c’è una ragione. E qui la ragione è abbastanza evidente: tutti noi liberali e democratici come siamo non amiamo la repressione e la censura. La libertà di esprimersi a piacimento, quello che in inglese si chiama  "free speech”, è un pilastro delle moderne società liberali. Proprio per questo negli Usa tale libertà è protetta dal Primo Emendamento, con una clausola che mutatis mutandis è presente in tutti gli ordinamenti dell’Occidente. Meglio che un nazista o un pornografo si esprimano liberamente –si dice- che appellarsi alla censura. Plausibile? Credo di sì. Ma nel tempo è cambiato qualcosa. Nel passato, chi aggrediva o insultava era di solito rintracciabile e comunque responsabile d quello che aveva fatto. Nel mondo del web, invece, non è più così. Puoi tirare il colpo, senza lasciare segno alcuno. In al- tre parole, sei libero senza essere responsabile. E in questa congiunzione c’è una sorta di contraddizione implicita. Come non ci sono diritti senza doveri, così non può sussistere libertà senza parallela responsabilità.

Sebastiano Maffettone, Il Messaggero (2/1/2017)

Canzone del giorno: The Duellists (2005) - Iron Maiden
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lunedì 2 gennaio 2017

Vivere

La notte di Capodanno è un inno alla gioia di vivere. Un calice di speranza si alza anche negli angoli più tormentati del mondo. Ma il terrorismo è un inno alla morte e nessun simbolo di pace, di gioia, di speranza è risparmiato. Dopo il mercatino di Natale a Berlino, il ballo di Capodanno a Istanbul. Al Reina club, affacciato sul Bosforo, è andato in scena, come in un film già visto, l’orrore del Bataclan a Parigi, le raffiche di mitra che falciano decine di giovani e spengono, con la vita, brindisi, auguri, musica.  In una tragica continuità con l’anno che si è chiuso, è evidente la volontà di aggredire e ammutolire tutto ciò che agli occhi del terrorismo rappresenta il nostro modo di stare insieme, festeggiare e divertirsi, la festa religiosa e la festa pagana, i riti di Natale e Capodanno, la libertà di movimento, la ritualità quotidiana, soprattutto nell’universo giovanile, di ritrovarsi, ascoltare musica, ballare. Banalmente lo «stare insieme», che così diventa bersaglio mobile, facilmente perseguibile, più dei cosiddetti obiettivi sensibili o istituzionali. Perché lo stare insieme è un «sempre» e un «dovunque», senza confini. È lo stile di vita della modernità e della globalizzazione, che non appartiene solo all’Occidente e, forse, non casualmente, l’ultimo attacco avviene sul Bosforo, nella città-ponte, secolare crocevia di civiltà e costumi diversi. (...) In questi anni terribili, abbiamo barattato un po’ di libertà con un po’ di sicurezza, siamo costretti a riflettere sui nostri spostamenti, su viaggi e ritrovi dei nostri figli, corriamo il rischio che la paura ingeneri irrazionali chiusure, derive razziste, ricerche di capri espiatori, dimenticando quanti cittadini di diversa origine e religione ci sono fra i «nostri» morti. Di fronte a un nemico così subdolo, la legittima difesa dell’umanità, affidata alla Comunità internazionale, dovrebbe essere possibile e unanime. Nella nostra quotidianità, dobbiamo difenderci con lo stesso spirito dei londinesi sotto le bombe di Hitler: continuare a vivere. Non è facile, se il sangue copre anche gli auguri di Capodanno. Il «venditore di Almanacchi» di Leopardi promette sempre un anno migliore del precedente. E noi ce lo auguriamo, credendoci, almeno per una notte. A Istanbul, l’illusione è morta subito. 

Massimo Nava, Corriere della Sera (2/1/2017)

Canzone del giorno: Survival (2013) - Muse
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domenica 1 gennaio 2017

Siamo ancora qui

E siamo ancora qui un universo che respira ed io ti voglio amare, amare finchè la terra gira, gira e siamo ancora qui con più speranza che paura domani il sole cade sulle strade e anche l'estate arriva, arriva


E se è vero che sogni e speranze non conoscono confini, ci stringiamo le mani stanotte rimaniamo vicini, cavalcando quel raggio di luna aspettiamo il mattino...


                 Fiorella Mannoia, Siamo ancora qui (Combattente - 2016)

Canzone del giorno: Siamo ancora qui  (2016) - Fiorella Mannoia
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