La notte di Capodanno è un inno alla gioia di vivere. Un calice di speranza si alza anche negli angoli più tormentati del mondo. Ma il terrorismo è un inno alla morte e nessun simbolo di pace, di gioia, di speranza è risparmiato. Dopo il mercatino di Natale a Berlino, il ballo di Capodanno a Istanbul. Al Reina club, affacciato sul Bosforo, è andato in scena, come in un film già visto, l’orrore del Bataclan a Parigi, le raffiche di mitra che falciano decine di giovani e spengono, con la vita, brindisi, auguri, musica. In una tragica continuità con l’anno che si è chiuso, è evidente la volontà di aggredire e ammutolire tutto ciò che agli occhi del terrorismo rappresenta il nostro modo di stare insieme, festeggiare e divertirsi, la festa religiosa e la festa pagana, i riti di Natale e Capodanno, la libertà di movimento, la ritualità quotidiana, soprattutto nell’universo giovanile, di ritrovarsi, ascoltare musica, ballare. Banalmente lo «stare insieme», che così diventa bersaglio mobile, facilmente perseguibile, più dei cosiddetti obiettivi sensibili o istituzionali. Perché lo stare insieme è un «sempre» e un «dovunque», senza confini. È lo stile di vita della modernità e della globalizzazione, che non appartiene solo all’Occidente e, forse, non casualmente, l’ultimo attacco avviene sul Bosforo, nella città-ponte, secolare crocevia di civiltà e costumi diversi. (...) In questi anni terribili, abbiamo barattato un po’ di libertà con un po’ di sicurezza, siamo costretti a riflettere sui nostri spostamenti, su viaggi e ritrovi dei nostri figli, corriamo il rischio che la paura ingeneri irrazionali chiusure, derive razziste, ricerche di capri espiatori, dimenticando quanti cittadini di diversa origine e religione ci sono fra i «nostri» morti. Di fronte a un nemico così subdolo, la legittima difesa dell’umanità, affidata alla Comunità internazionale, dovrebbe essere possibile e unanime. Nella nostra quotidianità, dobbiamo difenderci con lo stesso spirito dei londinesi sotto le bombe di Hitler: continuare a vivere. Non è facile, se il sangue copre anche gli auguri di Capodanno. Il «venditore di Almanacchi» di Leopardi promette sempre un anno migliore del precedente. E noi ce lo auguriamo, credendoci, almeno per una notte. A Istanbul, l’illusione è morta subito.
Massimo Nava, Corriere della Sera (2/1/2017)
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