Il governo giustamente si occupa di arginare il virus attraverso i vaccini, ma chi si occupa della rabbia, del risentimento? L’Italia, come il mondo, si è ammalata di Covid, ma l’Italia si è ammalata di cattiveria forse assai più che il resto del mondo. Serpeggia un’intossicazione perenne nel nostro corpo sociale. E chi non ha rabbia pare sfinito, rassegnato. Insomma, c’è uno sfondo depressivo da Nord a Sud di cui nessuno sa come occuparsi. Pare quasi che la politica neppure si avveda di questa condizione. Eppure qualche segnale ci sarebbe, a partire dall’astensione nelle urne. Niente da fare, ognuno va avanti coi riti sempre più stanchi delle proprie dichiarazioni vacuamente protese a salvaguardare un essere di destra e di sinistra che non si sa più bene cosa siano. E la confusione è tale che i libertari di un tempo sembrano confiscati da uno spirito conservatore e i conservatori con mala grazia assumono pose da libertari. Non è un tempo facile da decifrare. Sicuramente ci sono troppe ferite senza guaritori, ci sono troppe domande senza risposte. La medicina non può diventare una religione. Il medico non è il parroco che ci deve dare l’assoluzione, il policlinico non è la nostra cattedrale e il virologo non può diventare il nostro teologo. Abbiamo bisogno di combattere il virus senza rimuovere l’idea che la vita per sua natura è essenzialmente pericolosa e sempre esposta alla sua fine. Una volta questa cosa si chiamava angoscia esistenziale, ora è un’espressione caduta in disuso. Ora nel gioco del consumare e produrre la faccenda della morte sembra fuori luogo, non si sa dove metterla, come se la questione fosse trovare un posto dove ingombra meno, e invece una società che non fa i conti con la morte è già sostanzialmente estinta, condannata al frivolo e al posticcio. La politica in questo momento riesce a produrre solo soluzioni tecniche, non riesce a dire nulla al cuore degli uomini e delle donne e quando ci prova sono pensieri volgari, di poco conto, sempre tarati sull’ultima notizia. Abbiamo bisogno di un partito che ci aiuti a sostenere le nostre insonnie, le nostre tristezze. E invece siamo senza partiti e senza comunità. E in fondo anche senza amici. Gli amici servono a poco se il tono della vita sociale è quello della cattiveria. Ogni cosa che diciamo ci rende colpevoli agli occhi degli altri. La nostra semplice presenza è un poco fastidiosa perché ci muoviamo in uno spazio saturo di parole, perché abbiamo abolito il vuoto e il silenzio e dunque ora siamo gli ergastolani del chiasso, della connessione. E non c’è pace nei palazzi del potere e nelle case della gente. Dobbiamo fare qualcosa, ma forse la cosa più utile è non fare niente.
Franco Arminio, il Fatto Quotidiano (23/10/21)
Canzone del giorno: L'erba cattiva (2007) - Enzo Gragnaniello
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