Nel mondo finito fuori controllo anche il futuro non è più quello di una volta e sfugge a qualsiasi previsione, perché nell'esplosione della realtà sono saltati tutti i criteri di giudizio e i codici di valutazione degli avvenimenti: ma è possibile rintracciare la vera misura della crisi cercandola nell'inventario delle cose perdute, in quanto appartenevano a un'altra stagione e a una diversa coscienza della pubblica opinione, e oggi non riescono a trovare una loro ragion d'essere nella furia del cambiamento e nel tumulto della fase attuale. C'è anche una data che fissa il momento di separazione tra il prima e il dopo, ed è sempre più 1'11 settembre 2001, il vero giorno d'inizio del secolo ribelle e insieme l'ultimo giorno del vecchio ordine che pensava di governare la storia ricomposta e controllare la geografia ridisegnata, ricavandone addirittura una disciplina politica e morale valida ad ogni latitudine. Abbiamo perso prima di tutto la convinzione dell'invulnerabilità, che derivava direttamente dal nostro benessere, cioè dalla consapevolezza di far parte del Primo Mondo e dunque di essere gli esclusivi produttori e i principali consumatori del progresso scientifico, medico, tecnologico. L'innovazione ci proteggeva separandoci, ci privilegiava illudendoci: finché il terrorismo islamista ha scelto di concepire l'impensabile volando sotto la linea d'ombra del pensiero occidentale, fino al precipizio delle torri gemelle e dell'improvvisa vulnerabilità dell'America svelata in diretta nelle televisioni di tutto il mondo. […] Pensavamo cioè che la religione civile democratica potesse ormai avere un'ambizione globale, trasformandosi in un universale: fino a commettere l'errore di esportarla con le armi, scavalcando la contraddizione insostenibile. Dalle torri gemelle alle caverne afghane, quella pretesa di universale ci è stata restituita ridotta a semplice particolare, ridimensionando la portata e la pretesa del pensiero occidentale nei confini del suo perimetro domestico. Tra le cose perdute, dunque, c'è la convinzione del primato della democrazia, la speranza che potesse suggestionare il mondo con la sua promessa di giustizia, uguaglianza e libertà, la sua sperimentazione quotidiana dell'esercizio dei diritti e dell'autorità laica delle istituzioni. Al contrario sta crescendo anche in Europa l'insidia del neo-autoritarismo che rifiuta lo stato di diritto, il bilanciamento dei poteri e il sistema dei controlli, proponendo un modello contrario di democrazia della sovranità, coscientemente illiberale. La democrazia ha infine trovato sulla porta di casa la sua contraddizione. […] Abbiamo creduto che la dimensione imperiale della Russia (parte della sua anima eterna) fosse soltanto una sovrastruttura del comunismo, svanita insieme con il bolscevismo, autorizzandoci a retrocedere Mosca al rango di potenza regionale, di seconda fascia: finché quell'anima è riemersa come una minaccia nel rigurgito imperialista di Putin. In Medio Oriente abbiamo sottovalutato la minaccia perenne di morte di Hamas verso Israele, l'ideologia della distruzione che sostituisce ogni politica, mentre vedevamo marcire nella corruzione e nell'inabilità l'Anp senza renderci conto che perdevamo un interlocutore decisivo per il processo di pace, lasciando campo libero alla rappresentanza terroristica dei palestinesi da parte di Hamas invece che all'affermazione dei loro diritti insieme con quelli di Israele. Ridimensionati nell'hybris del Novecento, possiamo riprenderci oggi quel che abbiamo perduto nel suo nucleo sostanziale: accettando la fatica della democrazia, costretta ogni volta a ricominciare e a dare un nome alle cose in nome di libertà e giustizia. Una magnifica condanna.
Ezio Mauro, la Repubblica (23/10/2023)
Canzone del giorno: Peace Piece (1958) - Bill Evans
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