L’immagine scelta quest’anno è quella dei sonnambuli, «persone apparentemente vigili incapaci di vedere i cambiamenti sociali, insipiente di fronte ai cupi presagi» e senza quel necessario «calcolo raziocinante» necessario per affrontare le complessità del periodo che stiamo vivendo. Gli italiani, insomma, sono ciechi di fronte ai presagi, che vanno dal calo demografico al rallentamento dell’economia nonostante la crescita del numero degli occupati. In più intrappolati all’interno dell’«ipertrofia emotiva» dominata dalla paura che li paralizza. La 57esima edizione del Rapporto Censis sulla condizione economica e sociale dell’Italia racconta di un Paese dove sono presenti «molte scie ma nessun sciame», con l’80% degli italiani che considera il Belpaese in declino, con il 69% per cui la globalizzazione ha creato più danni che benefici e adesso il 60% ha paura che scoppierà una guerra mondiale e secondo il 50% non saremo in grado di difenderci militarmente. Così, dinanzi a questo scenario, ci si ripiega sui «desideri minori» senza rincorrere l’agiatezza e i grandi traguardi del periodo dello sviluppo, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. Per l’87,3% degli occupati, infatti, mettere il lavoro al centro della vita è un errore. «Non è il rifiuto del lavoro in sé, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali», precisa il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, aggiungendo che «non sorprende quindi che il 62,1% degli italiani avverta il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi o che un plebiscitario 94,7% rivaluti la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno: il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81,0% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico individuale». Ecco perché, la sua conclusione, probabilmente secondo Valeri l’Italia ha bisogno di recuperare «un immaginario propulsivo fertile». Parallelamente comunque monta l’onda delle rivendicazioni dei diritti civili individuali e delle «nuove famiglie», con il 74% dei cittadini che è favorevole all’eutanasia il 70,3% che approva l’adozione di figli da parte dei single, il 65,6% che si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, il 54,3% che è d’accordo con l’adozione di figli da parte di persone dello stesso sesso. Rimane invece minoritaria la quota di italiani (il 34,4%) che ammettono la gestazione per altri (Gpa). Infine, il 72,5% è favorevole all’introduzione dello ius soli, cioè la concessione della cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti, e il 76,8% è favorevole allo ius culturae, ovvero la cittadinanza per gli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese. E nella «siderale incomunicabilità generazionale» va in scena il dissenso senza conflitto dei giovani, esuli in fuga, visto che sono più di 36mila gli emigranti di 18-34 anni solo nell’ultimo anno. «Siamo soffrendo alle radici, la parte meno visibile del Paese che fatica a reagire – sottolinea Giorgio De Rita, segretario generale del Censis -l’Italia è un Paese compromesso nelle sue radici, dove il modello di sviluppo è usurato e c’è la consapevolezza che senza crescita non c’è futuro. Dobbiamo imparare a convivere un modello di sviluppo diverso, dove dovranno aumentare stipendi e investimenti perché non possiamo accontentarci della resilienza degli italiani». Prova a vedere il bicchiere mezzo peno, il presidente del Cnel Renato Brunetta, per cui certo l’Italia è «un Paese meraviglioso ma arretrato, che ha comunque in sé molte potenzialità di crescita anche aiutate dal grande catalizzatore del Pnrr, per trasformare queste scie di cui il Censis ci ha parlato in sciami virtuosi».
Alessia Guerrieri, Avvenire (1/12/2023)
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