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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 4 novembre 2023

Fuorisede

Anche quest’anno la meglio gioventù della borghesia meridionale si è spostata in massa verso gli atenei del Centronord, quelli che promettono lavoro sicuro e persino qualificato. I politecnici di Torino e Milano, la Bocconi, la Cattolica, il San Raffaele Vita e salute, la Sapienza di Roma, Iulm, Lumsa, Ied. Privato è meglio. Si entra più facilmente anche se si paga di più. Ma i figli sono pezzi di cuore. Nessuno lo sa meglio di una madre o di un padre che vivono in un Mezzogiorno travolto dalla crisi economica, demografica, dove persino le mafie ormai recalcitrano a investire. I bravi genitori che hanno accettato una decadenza senza fine, in peggioramento con l’imminente arrivo dell’autonomia regionale differenziata, gettano il cuore oltre l’ostacolo ogni mese fra tasse di iscrizione e rate di frequenza che possono arrivare a 20.140 euro l’anno, come nel caso dell’International Md program del San Raffaele, contro un’immatricolazione per la magistrale in Bocconi a quota 16.103 euro. L’università può non essere la spesa maggiore. A Milano, soprattutto, ma anche a Torino, Bologna, Firenze, Padova, una stanza in condivisione a 900 euro entro i confini municipali è un costo ancora economico. […] «È la nuova questione meridionale», dice Luca Bianchi, direttore generale del centro studi Svimez nato nel dicembre 1946, sei mesi dopo il referendum monarchia-repubblica stravinto dai Savoia al Sud. «La migrazione dei talenti e delle competenze negli ultimi vent’anni ha portato a una perdita di 300 mila laureati al Sud e il saldo dell’ultimo anno disponibile, il 2021, è di -21 mila, con una quota in crescita. Gli emigrati laureati aumentano anche quando aumenta l’occupazione perché sono posti a basso valore aggiunto, nel turismo, nel commercio. Per le immatricolazioni agli atenei del Centro-nord, invece, si parla di un quarto di iscritti che vengono dal Sud». Dal rapporto annuale che Svimez presenterà a fine novembre, l’Espresso può anticipare che ogni laureato vale 150 mila euro di spesa pubblica. «Questa cifra proiettata sui ventimila che vanno via ogni anno», aggiunge Bianchi, «dà 3 miliardi di euro di trasferimento implicito verso Nord. La contabilità territoriale chiesta dall’autonomia differenziata non ha senso in un paese integrato come l’Italia e lo svantaggio distributivo patito dal Nord è un mito». I costi di investimento pubblico, ovviamente, non includono la spesa diretta delle famiglie sul mantenimento e, per così dire, la manifattura del futuro laureato. A volersi divertire con le cifre, il Miur ha annunciato che nell’anno accademico 2022-23 ci sono state 331 mila immatricolazioni (147 mila maschi, 184 mila femmine). È una cifra costante negli ultimi anni. Il 25 per cento di studenti meridionali fuori sede elaborato da Svimez si traduce in oltre 82 mila partenze. Applicando il criterio di spesa prudenziale dei 30 mila euro l’anno per ogni studente, il prodotto della moltiplicazione è di 2,47 miliardi di euro in fondi privati trasferiti dal Sud al Centro-nord, da aggiungere ai 3 miliardi di spesa pubblica dei laureati. […] La macchina che ha tenuto in piedi il boom economico del secolo scorso era fatta di contadini o sottoproletari emigrati verso le industrie del settentrione con le loro rimesse ad alimentare il Mezzogiorno. Oggi quel sistema è completamente saltato e nemmeno un insegnante può permettersi la vita da fuori sede al Centronord. In un certo senso, vige la teoria economica del trickle-down al rovescio. Al posto dei ricchi che guadagnano sempre di più e che fanno “gocciolare” parte della ricchezza verso gli strati inferiori della scala sociale, ci sono le famiglie borghesi del Sud che aumentano il benessere già consistente di chi ha una rendita di posizione nei centri urbani del Nord. E il fenomeno si allarga dai giovani ai genitori stessi che, alla lieta novella dell’impiego dei pargoli, ergo della possibile nuova famiglia, progettano di trasferirsi a fare i nonni con il vantaggio di un sistema sanitario migliore. Proiettato in un futuro più vicino, lo scenario della nuova migrazione diventa catastrofico se l’aspetto di depauperamento patrimoniale si combina con il cosiddetto inverno demografico. L’Istat ricorda che nell’anno di grazia 2061, al Sud vivrà il 30,7 per cento degli ultrasettantenni e nel rapporto dello scorso 12 ottobre dedicato ai “Giovani del Mezzogiorno” segnala un crollo nel numero di giovani in tutta Italia. Nel periodo 2002-2022 i cittadini fra 18 e 34 anni sono scesi di 3 milioni dai 10,2 milioni di vent’anni fa. Ma in percentuale il Sud ha perso quasi l’8 per cento in più del Centronord e questo dato è ancora ottimistico perché gran parte degli studenti meridionali fuori sede aspetta di avere trovato un lavoro post laurea prima di cambiare residenza. Altri decidono di fare la triennale al Sud e prendere la magistrale al Centronord. Il totale è che nelle città meridionali, durante la stagione accademica, è arduo vedere in giro un ventenne. «Per i giovani del Mezzogiorno», afferma l’istituto nazionale di statistica, «la migrazione universitaria, che si attiva soprattutto verso gli atenei settentrionali, assume proporzioni considerevoli: coinvolge oltre un caso su quattro all’atto dell’iscrizione, e oltre un terzo al conseguimento della laurea. Inoltre, il fenomeno della mobilità per studi universitari nel Mezzogiorno riguarda in misura leggermente superiore gli uomini rispetto alle donne».

Gianfrancesco Turano, L’Espresso (26/10/2023)

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