Lo potremmo definire un piccolo pro memoria per quei sempre più numerosi politici che, per conquistare il «consenso a tutti i costi», continuano a fare promesse come se non esistesse il mostruoso debito pubblico, un problema che potrebbe pregiudicare un minimo di benessere e di libertà economiche a chi verrà dopo di noi. L'ultima tra le novità la difesa delle famiglie che non arrivano alla settimana (fino a ieri era fine mese) alle quali destinare oltre all'assegno unico per il nucleo familiare, la riduzione del cuneo contributivo e il Tir (l'ex bonus Renzi maggiorato) per un costo totale annuo di oltre 32 miliardi, anche ulteriori defiscalizzazioni (premi, tredicesime, sconti sulle accise e così via) ma solo per redditi inferiori alla linea Maginot dei 35 mila euro. Eppure dovrebbero saper bene che il 60% degli italiani che dichiarano redditi fino a 25 mila euro pagano solo l'8% dell'Irpef e hanno scuola, sanità e altro totalmente gratis mentre i113% della popolazione che dichiara redditi da 35 mila euro lordi in su (duemila euro netti mese), paga più dei 60% dell’irpef e la quasi totalità di Ires e Irap. Ma per questi sostenitori del bilancio pubblico nessuna agevolazione: è la giustizia sociale dei nostri politici che ovviamente preferiscono il 60% dei voti al 13%. Purtroppo, di tempo per ridurre il debito prima che intervengano riduzioni di rating, ne rimane poco. […] L'ultima rilevazione di Banca d'Italia calcola il debito a giugno 2023 in 2.843 miliardi: nuovo record storico con un incremento rispetto a fine 2022 di altri 81 miliardi. Occorrerà una crescita robusta dell'economia italiana, cosa impossibile con le attuali esasperanti politiche assistenziali basate su un Isee che è un vero motore per il sommerso, per sostenere un debito così elevato, considerando che la Bce ha chiuso il programma di acquisto di attività e che i tassi di interesse sui titoli di Stato sono passati dallo 0,63% del Btp a dieci anni del gennaio 2021 a circa 114%. Aumenta quindi in modo clamoroso il costo per pagare gli interessi sul debito pubblico che nel 2019 era di 60,3 miliardi, 57,3 nel 2020; 63,7 nel 2021; 77,2 nel 2022; 81,5 nel 2023; 8o nel 2024 e 87 nel 2025. Dal 2009 al 2022 sono stati pagati interessi sul debito per circa 975 miliardi e nel 2023 spenderemo 21 miliardi in più rispetto al 2019 sempre che la Bce non prosegua nell'aumento dei tassi base. Infine, entro il 2024 potrebbe essere reintrodotto il Patto di stabilità. Con questi dati sarà molto complicato e difficile poter sostenere nei prossimi anni l'economia del Paese. Sono passati quasi 8 anni dall'inizio del quantitative easing e dei «tassi zero» della Bce di cui l'Italia ha beneficiato a piene mani (altro che uscire dall'euro) senza peraltro, in questo periodo di «vacche grasse», riuscire a ridurre il debito che nel 2025 potrebbe valicare la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Con il rischio di finire come la Grecia.
Antonio Brambilla, L'Economia del Corriere della Sera (18/9/2023)
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