Silvio Berlusconi lascia tanta roba, ma tanta sul serio. Una vertigine, uno sterminio, una tale infinità di soldi, aziende, ville, palazzi e ammennicoli che nell’immaginario italiano, ormai da più di trent’anni, supera la semplice dimensione contabile per entrare in quella incandescente e contagiosa del Mito. Dalla Bibbia, per intendersi, a Paperon de Paperoni che si tuffa e fa il bagno nelle monete. E questo anche perché ai veri miliardari “la ricchezza non basta — ha scritto sull’Avvenire Luigino Bruni, economista e grande esegeta delle Scritture: — i veri potenti hanno bisogno che la loro ricchezza sia vista, lodata, invidiata, e quindi deve essere eccessiva, dissipata, sprecata in cose inutili. Perché in realtà, per loro, essere ricchi e potenti è troppo poco: vogliono essere Dio, esseri divini e come tali adorati e venerati dai sudditi. Il vitello d’oro dell’Antico Testamento — continua Bruni — non è solo l’icona dell’oggetto, ma anche l’immagine del soggetto idolatrico, di chi, una volta conquistati tutti i beni, avverte invincibile il desiderio del bene finale, escluso ai mortali in quanto prerogativa degli dei. E così tenta quest’ultimo folle volo…”. Ma zàc, e addio Cavaliere! Posto che Berlusconi è stato troppe cose per essere ridotto alla sola ricchezza, occorre riconoscere che la sua non è mai apparsa avara e anzi, come ammesso di recente da Pierluigi Bersani (gemello astrologico di Silvio), è stato capace “di trasmettere una certa generosità”. D’altra parte è pur vero che il Cavaliere era consapevole che la sua conclamata munificenza lo rendeva diverso da chiunque altro rientrando a pieno titolo nella sua concezione di sovrano. Per cui da sempre ha operato in pubblico come un assiduo e magnifico donatore. Natali, capodanni, compleanni, cerimonie di fine legislatura, premi per i collaboratori (con Dell’Utri non si pensi mica che è la prima volta), ricompense per le amichette (ciò che gli ha creato un sacco di guai); ogni occasione era buona e Berlusconi regalava automobili, appartamenti da Milano a Palermo, gioielli, costosi bracciali, un tempo palmari e poi telefonini per i suoi parlamentari, una volta anche un tapis-roulant a ciascuno. […] Molti ne hanno certamente approfittato; ma il Cavaliere ha sempre ignorato tanto i numerosi vampiri quanto i furboni. Altre contingenze minacciavano il suo patrimonio. Perciò continuava a far scorte di regali prevedendo occasioni e opportunità. Ha raccontato l’avvocato Ghedini dopo l’impiccio di Noemi, quando il gioielliere Damiani venne convocato ad Arcore e il Cavaliere “si mise lì, paziente, a ordinare: 30 collanine, 20 ciondoli, 40 bracciali. Berlusconi — insisteva — è fatto così, gli piace sorprendere e gratificare”. Forse c’entra poco, o forse è una pretesa eccessiva cercare di capire oggi se nell’ultimo regalo della sua vita è riuscito a sorprendere e gratificare tutti e cinque i figli intorno ai quali, a partire dalla prima lettera di Veronica (gennaio 2007) s’era venuto a creare, nei criteri di ripartizione tra primo e secondo letto, un discreto, ma stringente groviglio ereditario. Nel frattempo l’eccezionale e debordante ricchezza di Berlusconi ha cessato di essere di un solo uomo. Finisce il Mito, inizia lo spezzatino del vitello d’oro.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica (7/7/2023)
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