C’è un ponte sospeso sullo Stretto di Messina. Noi non possiamo vederlo, ma lui sì: il ministro Salvini allunga lo sguardo sullo specchio d’acqua dove un tempo navigava Ulisse, dove secondo la leggenda Colapesce regge l’isola dal fondo per evitare che un giorno s’inabissi, dove l’effetto di Fata Morgana riflette a mezz’aria l’immagine delle due città gemelle, e già vede Scilla e Cariddi coniugate dal mastodonte lungo più di 3 chilometri, retto da due piloni che salgono a 400 metri di quota. Sarà l’ottava meraviglia, la sua piramide privata. Sarà inoltre l’eccezione che smentisce ogni principio conosciuto. Giacché i ponti uniscono, collegano due sponde contrapposte. Invece il ponte sullo Stretto divide, divarica, distanzia. Non solo la politica, con destra e sinistra a fronteggiarsi tra favorevoli e contrari. Benché – diciamolo – a suo tempo l’idea venne sposata pure da Prodi, D’Alema, Rutelli, Renzi, oltre che da Berlusconi. Ma questo ponte ci separa inoltre dalla logica, o almeno dal buon senso. E ci allontana, ahimè, dalla Costituzione, dai suoi valori. Mettiamo da parte i dubbi tecnici, che pure in queste faccende dovrebbero essere importanti. Anche se molti studiosi di strutture in acciaio lo reputano di fatto irrealizzabile, anche se il ponte a campata unica più esteso del mondo (quello dei Dardanelli in Turchia) misura il 63 per cento in meno di quest’ultimo prodigio. Lasciamo altresì da parte il rischio eolico, in una zona battuta da venti formidabili, che impediranno il traffico per almeno 30 giorni l’anno. O il rischio sismico, dopo 36 terremoti catastrofici nell’arco di due millenni (l’ultimo, nel 1908, ha fatto 80 mila morti). E dimentichiamo che le due sponde dello Stretto poggiano su placche continentali che si divaricano d’un centimetro per anno. In due secoli fanno un paio di metri; e allora il ponte si romperà come una corda tesa. Sì, possiamo trascurare questi leggeri inconvenienti, possiamo perfino disinteressarci della sorte cui vanno incontro le popolazioni locali. Il comitato “Invece del ponte” calcola che i lavori dureranno almeno 10 anni, in base al raffronto con il Terzo valico e con altre opere pubbliche perennemente incompiute. Nel frattempo Messina verrà traforata dalle cave (occorre scavare 8 milioni di metri cubi, secondo alcune stime). Subirà il passaggio di centinaia di camion al giorno. Respirerà nubi di polvere. Verrà assordata dal rumore. Per ottenerne in cambio un’astronave sospesa fra le mulattiere, giacché in Sicilia corre (si fa per dire) il treno più lento d’Italia: 13 ore da Trapani a Ragusa. Ecco, qui comincia ad affacciarsi la regola costituzionale, ammesso che qualcuno voglia prenderla sul serio. In quella Carta non c’è forse scritto che “la sovranità appartiene al popolo”? E si può allora decidere tutto questo pandemonio senza l’assenso popolare? In Francia la legge Barnier del 1995 garantisce il giudizio della cittadinanza sui grandi progetti d’infrastrutture nazionali. Da parte nostra potremmo quantomeno celebrare un referendum consultivo, è il minimo. Magari allargandolo a tutti gli italiani, dato che le grandi opere hanno sempre un rilievo nazionale, dato che in ballo c’è una spesa di 11 miliardi. Il governo, viceversa, ha in odio il dibattito, preferisce l’indottrinamento. Sicché assegna un milione l’anno alla società concessionaria per “sensibilizzare” le popolazioni di Messina e Villa San Giovanni, anche attraverso concorsi nelle scuole. Roba da Minculpop, altro che libertà d’informazione. Ma il governo ha in odio pure la concorrenza, benché a sua volta iscritta nelle tavole costituzionali. Difatti attribuisce l’opera al vecchio General Contractor (disdetto nel 2013) senza una nuova gara; e scaricando per giunta tutti i rischi sulla parte pubblica, come ha denunziato l’Autorità Anticorruzione. Infine, la Costituzione subisce una ferita nella norma – celeberrima – che promette la tutela del paesaggio. Che ne sarà di quel tratto di mare, con una cicatrice nera a sfregiare l’orizzonte? Sennonché lo Stretto di Messina è parte del patrimonio culturale, oltre che di quello naturale. Ne scrisse Omero, e poi anche Tucidide, e Virgilio, e Lucrezio, e Ovidio, e Dante, e Goethe, e Pascoli, e D’Arrigo. Si può oscurare questo lascito in nome della viabilità? Sarebbe come costruire un ponte sospeso sopra il Colosseo, per migliorare il traffico di Roma. Ma lo Stato italiano ha appena riformato l’articolo 9 della Costituzione, per rafforzare la tutela del paesaggio; e con quest’impresa diventa il primo nemico del paesaggio.
Michele Ainis, la Repubblica (10/7/2023)
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