Il mondo occidentale, l’Unione Europea, la Nato. Tutti in queste ore brindano allo scampato pericolo. Tutti sono grati ai francesi per avere riconfermato Macron. Nell’immediato una presidenza Le Pen avrebbe compromesso la tenuta del fronte occidentale nella guerra. Nel più lungo termine, avrebbe bloccato l’integrazione europea e inferto colpi mortali all’Alleanza atlantica. Si pensi poi agli effetti di contagio. In Italia, ad esempio, i movimenti populisti, che sono forti quanto e forse più che in Francia, ne avrebbero tratto grande beneficio. Come minimo, dopo le prossime elezioni, ci saremmo ritrovati, come ai tempi di Trump, con una qualche riedizione del governo giallo-verde. Quasi mai in democrazia è la politica estera a orientare il voto dei cittadini. La Francia non fa eccezione. Ma se, nella scelta fra Macron e Le Pen, hanno sicuramente pesato soprattutto motivazioni economiche — le proposte di Le Pen non sono apparse convincenti per molti francesi e il buon andamento dell’economia ha premiato il presidente uscente — un qualche peso deve averlo avuto anche la guerra e la minaccia della Russia all’Europa. Era chiaro a tanti che una vittoria di Marine Le Pen sarebbe risultata assai gradita al dittatore russo. (…) Comunque, egli è ora lo statista più forte e autorevole d’Europa. Tramontata l’era Merkel, l’esecutivo tedesco sta già mostrando gli ondeggiamenti e le incertezze che sono propri di tutti i governi di coalizione. Macron, sempre che possa contare, dopo il voto di giugno, su una forte maggioranza parlamentare, sarà in grado di esercitare, verosimilmente, una grande influenza sui prossimi passi della Unione europea. Inoltre, per almeno un anno, fino alle elezioni italiane del 2023, potrà anche contare sull’appoggio e la cooperazione del governo di Mario Draghi. Possiamo aspettarci dalla Francia un forte calcio d’avvio al processo di costruzione di una difesa militare europea. Inoltre, è probabile che da lui venga un contributo decisivo alla revisione dei trattati e, in particolare, al superamento di quella regola dell’unanimità che ha rallentato e spesso anche bloccato l’integrazione europea. Ma le elezioni francesi ci dicono anche un’altra cosa. Ci dicono che le ragioni di preoccupazione per il futuro delle democrazie europee, e dell’Occidente nel suo insieme, non sono affatto superate. Dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia alla Spagna, una insoddisfazione diffusa e un rabbioso rancore nei confronti dei rispettivi establishment, alimenta correnti illiberali che non appaiono debellabili e che un giorno potrebbero far saltare il banco, mettere la parola fine sulla storia della democrazia liberale. Sfidato dall’esterno (dalle potenze autoritarie) e dai movimenti illiberali all’interno, l’Occidente resta in grave affanno. Una parte delle sue élites se ne rende conto. Ma un’altra parte, a giudicare da quanto viene detto e scritto da molti, non lo ha ancora capito. E ciò complica il compito di chi ha il dovere istituzionale di fronteggiare quella doppia sfida. Proprio a questo proposito va ricordato un grande merito di Macron. Da solo esso basta per riconoscerne la statura politica. È stato osservato che in queste elezioni francesi, il tema dell’immigrazione non è stato affatto centrale. È difficile non riconoscere che le posizioni di Macron sull’argomento hanno contribuito a togliere un’arma, in teoria potentissima, dalle mani dei sovranisti anti-establishment. La posizione di Macron sull’immigrazione unisce accoglienza e rigore. Cerca di tenersi lontano sia dal lassismo («accogliamoli tutti e come va va») sia dalla xenofobia anti-immigrati («fuori tutti»). Ricordiamo, per esempio, la sua posizione fortemente ostile nei confronti delle componenti integraliste dell’immigrazione islamica. E la ferma opposizione al controllo delle moschee da parte di movimenti estremisti. Macron ha scelto la strada giusta, l’unica possibile, per governare l’immigrazione: accoglienza sì ma secondo regole, a tutela dei francesi, che non possono essere violate. Gli italiani, di destra e di sinistra, farebbero un’ottima cosa se andassero a lezione da lui-
Angelo Panebianco, Corriere della Sera (27/4/2022)
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