Yvonne (Madeleine LeBeau) : Dove sei stato ieri sera?
Rick (Humphrey Bogart): È passato tanto tempo, non me ne ricordo.
Rick: Non faccio mai piani così in anticipo.
"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".
Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)
Yvonne (Madeleine LeBeau) : Dove sei stato ieri sera?
Nel leggere l’accusa per gli arresti di Stresa – avere manomesso i freni d’emergenza per non bloccare l’impianto, e avere dunque provocato la tragedia del Mottarone – insieme al disgusto mi è venuta in mente questa frase: l’Italia del massimo ribasso. Procedura che probabilmente non c’entra nulla con la criminale decisione d’inserire sulla funivia il letale “forchettone” (termine molto italiano), ma che molto invece ha a che fare con quella cultura, diciamo così, d’impresa, che pur di aggiudicarsi un appalto – o di garantirsi gli incassi di giornata – non bada a spese. Nel senso che riduce i costi all’inverosimile, comprimendo i salari e favorendo il lavoro in nero. Ma è soprattutto sulla minima sicurezza che si rivale il massimo ribasso, come dimostrano i numeri assurdi degli infortuni sul lavoro: 554.340 denunciati all’Inail nel 2020, leggermente in calo nell’anno della pandemia, ma con 1.270 morti, più 16,6% rispetto al 2019. Senza contare il problema delle infiltrazioni mafiose che nella deregulation trovano sempre un terreno più che fertile. Principio quello di risparmiare su tutto il risparmiabile sul quale si preferisce non sottilizzare troppo nel momento in cui l’Italia riprende a camminare. Infatti, se qualcuno prova a obiettare che la giusta necessità di accelerare il processo produttivo, evitando le lungaggini burocratiche, non può avvenire a discapito dell’incolumità dei dipendenti e degli utenti, apriti cielo. Nel migliore dei casi le osservazioni prudenziali sulla indispensabile incolumità delle persone saranno catalogate come “ideologiche” (ovvero stataliste e dunque anti-industriali). Come se chiedendo verifiche più rigorose avessi parlato male di Garibaldi. Speriamo che dopo le aspre critiche di sindacati, Pd e sinistra sulla bozza del decreto Semplificazioni – con costi abbattuti in eccesso, subappalti a volontà e controlli affidati ai controllati – non si debba un giorno parlare del governo Draghi come del governo del massimo ribasso. E che l’auspicata ripresa non debba mai più consentire che le vite umane siano giocate sulla ruota della fortuna. Fino a quando succede che un cavo si spezza.
Antonio Padellaro, Il Fatto Quotidiano (27/5/21)
Era un primo passo indispensabile per mettere fine alle sofferenze, ma il cessate il fuoco finalmente accettato la sera del 20 maggio da Israele e Hamas, all’undicesimo giorno di scontri, garantisce solo una tregua, non una pace duratura. Niente impedisce che tra qualche mese o qualche anno, con un’altra scintilla, si ricominci a combattere. Come rompere questo circolo vizioso di violenza? Da anni ormai nessun processo di pace è in corso. Le condizioni di un negoziato oggi non esistono, né sul fronte israeliano, in assenza di un governo stabile e considerata la deriva verso l’estrema destra, né sul fronte palestinese, profondamente diviso. Lo status quo, però, è insostenibile, e non genera rassegnazione, bensì frustrazione e collera. Allora bisogna porsi la domanda tabù: è necessario trattare con Hamas? D’altronde in passato Israele ha negoziato con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, l’Olp di Yasser Arafat, un’azione all’epoca vietata dalla legge israeliana. Quali possono essere gli argomenti per dialogare con Hamas? Al momento la domanda è puramente retorica, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi. Hamas è tuttora considerata un’organizzazione terrorista, responsabile di attentati spietati. Ma la pace si fa con i nemici, non certo con gli amici. In Afghanistan gli Stati Uniti hanno negoziato con i taliban, colpevoli di atrocità indicibili. La trattativa è indispensabile quando non si riesce a far sparire l’avversario. Hamas si nutre dell’assenza di soluzioni, e non sarebbe così forte in un contesto portatore di speranza. L’organizzazione approfitta anche del discredito che ha colpito l’Autorità palestinese di Abu Mazen, che si limita agli affari correnti senza offrire alcuna soluzione. Hamas sarà pure un’organizzazione terrorista, ma trae la sua forza dalla tragedia in corso e si rafforza quando subisce pesanti perdite. (...) Negli ultimi anni diverse voci si sono levate per spingere Hamas ad abbandonare la violenza e diventare una forza politica a tutti gli effetti. Ma non è stato possibile. Forse è un’eresia, e Hamas dovrà essere giudicato per le sue azioni, non per le sue parole. Ma una volta che sarà cessato il rumore delle armi bisognerà porsi la domanda sul “dopo”, cercando in tutti i modi di scongiurare scontri che non farebbero altro che alimentare l’odio e le violenze di domani.
Pietre Haski, radio France Inter (21/5/2021) - www.internazionale.it (traduzione di Andrea Sparacino)
Guido Gozzano (1883 – 1916), L’altare del passato (1917)
A un orecchio distratto i testi di Franco Battiato sembrano un’accozzaglia di frasi incomprensibili e citazioni esotiche, pieni di parole buttate a caso senza riferimenti precisi. Come se fossero soltanto un mezzo, l’esibizione di una cultura alternativa e di un gusto un po’ freak. L’atmosfera musicale di alcuni brani sembra avvalorare questa ipotesi: sonorità leggere, giocose, altamente orecchiabili. Al contrario, i testi e le musiche di Battiato hanno sempre avuto un’intenzione filosofica netta e precisa, e una vera e propria funzione sociale: aumentare il livello medio di coscienza di una popolazione - quella italiana - continuamente immersa in una cultura vecchia, fatta di comportamenti ipocriti e finzioni, in cui ogni azione priva di etica viene giustificata dall’idea che tanto così fan tutti. Per Battiato la musica è sempre stata un veicolo per la trasmissione di condizioni interiori, e ripercorrere una parte della sua discografia permette di rintracciare i tratti fondamentali di una poetica insolita, particolarissima, che gli ha permesso di trasmettere idee millenarie a milioni di persone. (...) Seppure in atmosfere sognanti e in testi suggestivi, la poetica di Battiato è intrisa di devastante consapevolezza, privata perché impersonale e politica perché è calata in un mondo palesemente in declino.
Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Linus - Omaggio a Franco Battiato (ottobre 2020)
L’Italia ha appena vissuto il più rapido calo di popolazione mai registrato nella sua storia unitaria ad eccezione del 1919, anno di febbre spagnola. Nel 2020, abbiamo perso quasi quattrocentomila abitanti. Anche questa volta una pandemia ha contribuito drammaticamente alla recessione demografica, ma cercare di spiegare tutto così significherebbe mettere la testa nella sabbia. È da sei anni che la popolazione in Italia non fa che scendere, anno dopo anno. Qualcosa del genere non era mai accaduto in un secolo e mezzo di Stato unitario, al massimo c’era stato un biennio di calo proprio all’uscita dalla prima guerra mondiale. Invece ora siamo in tempo di pace eppure dal 2015 abbiamo già perso poco meno di 1,1 milioni di abitanti, senza mai riuscire a invertire la rotta. E anche se lasciamo per un momento da parte i valori e la psicologia di una nazione, un fenomeno del genere avrà sempre conseguenze concrete. Poiché in media un italiano spende quasi 17 mila euro all’anno in consumi (mangiare, vestirsi, riscaldarsi o andare in vacanza), oltre un milione di abitanti in meno alla lunga creano differenze strutturali. Equivalgono all’uno per cento di prodotto interno lordo in meno, ogni anno: meno consumi, minore fatturato delle imprese, meno investimenti per vendere prodotti a una platea che si restringe e invecchia, meno gettito fiscale, meno capacità di sostenere i sistemi di welfare. Per un Paese in recessione demografica permanente, la crescita necessaria a sostenere il debito pubblico più alto della sua storia diventa una chimera. Non siamo in equilibrio, non possiamo semplicemente rassegnarci all’idea di un’Italia un po’ meno popolata. Anche perché tutto questo non nasce oggi, ma viene da lontano e rischia di proseguire molto a lungo se non si fa niente per spostare la traiettoria del Paese. A guardar bene, questo è un fenomeno che le classi dirigenti italiane del dopoguerra non hanno mai realmente cercato di governare. L’hanno lasciato a se stesso, come facesse parte della natura e non della politica. (...) Le élite italiane, ammesso che fossero tali, non ci hanno mai dedicato un pensiero. Il risultato è che dopo la guerra gli italiani erano tre milioni più dei francesi e ora sono otto di meno. I bebè erano quasi un quarto di più e ora sono poco più della metà, al conto dell’anno scorso.
Federico Fubini, Corriere della Sera (15/5/2021)
Si vede una signora che rovescia su un tavolo due bottiglie di conserva di pomodoro. Ci butta sopra qualche decina di polpette, poi una scatola di formaggio grattugiato, ottenendo un denso strato cromatico, lungo un paio di metri, che fa pensare più a una performance artistica che culinaria. Infine ci rovescia sopra una pentolata di spaghetti scotti, dicendo: "Così si cucinano in Italia gli spaghetti, con il vantaggio che dopo non dovete lavare i piatti". Non serve avere letto Umberto Eco per capire che un simile video a intenzioni comiche. Potrebbe essere una parodia della dilagante ossessione gastronomica oppure una semplice burla, come direbbero i toscani. Goliardia. Cacciata domestica. Per altro, l’account americano che lo diffonde è pieno di “ricette” dello stesso tipo, metà surreali metà dementi. Non fa molto ridere. Ma quello è. Beh, il video ha suscitato, invece, viva indignazione, ed è per via dell’indignazione che è diventato cliccatissimo. "Non si cucinano così gli spaghetti!“ E “giù le mani dalla cucina italiana!“ Fino alle rimostranze sul mancato rispetto delle norme igieniche. Quasi certo che non manchi la parola “vergogna!”, che nel linguaggio social non è più un sostantivo, è un’interpunzione. L’episodio è minimo, il problema è massimo. il senso dell’umorismo sta diventando più raro del rinoceronte bianco. Si ignora il contesto e non si capisce il testo. Ci si offende a capocchia, alla rinfusa, si equivoca a raffica, un sacco di gente passa le sue giornate alla convulsa ricerca, in rete, di qualche buona occasione per digitare: vergogna! In ogni modo, e nella speranza di rassicurare e consolare almeno qualche indignato: avete ragione, non si cucinano così gli spaghetti.
Michele Serra, L'amaca (La Repubblica - 15/5/2021)
Ma la primavera è inesorabile
Banco del Mutuo Soccorso, E mi viene da pensare (1979)
Le mamme con figli minorenni in Italia sono poco più di 6 milioni e nell’anno della pandemia molte di loro sono state significativamente penalizzate nel mercato del lavoro, a causa del carico di lavoro domestico e di cura che hanno dovuto sostenere durante i periodi di chiusura dei servizi per l’infanzia e delle scuole. Su 249 mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90 mila su 96 mila – erano già occupate part-time prima della pandemia.
Save the Children - 6° Rapporto “Le Equilibriste: la maternità
in Italia 2021”, diffuso in occasione della Festa della Mamma
“Il Covid ha messo tutti noi di fronte a un’emergenza prima di
tutto sanitaria, ma che presto si è rivelata essere una crisi anche sociale,
economica ed educativa. Le mamme in Italia hanno pagato e continuano a pagare
un tributo altissimo a queste emergenze. I bambini a casa, il crollo improvviso
del welfare familiare, dovuto alla necessità di proteggere i nonni dal
contagio, il carico di cura e domestico eccessivo e la sua scarsa condivisione
con il partner, misure di supporto non molto efficaci, sono tutti fattori che
hanno portato allo stravolgimento della loro vita lavorativa. È importante ora
indirizzare gli sforzi verso la concreta realizzazione di obiettivi che mirino,
oltre che ad incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro,
ad affrancarle sul fronte del lavoro non retribuito." [...] “Anche
quest’anno, l’Indice delle madri mostra il netto divario tra regioni del nord e
regioni del sud. Per quanto ci sia una miglioramento generale dei dati in tutte
le regioni, quelle del nord mostrano valori più alti della media, mentre nel
Mezzogiorno si riscontra l’esatto contrario con valori più bassi. È evidente
che al sud il gap non è mai stato superato in nessuna delle tre aree. Questo si
traduce non solo in uno scarso riconoscimento dei bisogni e delle necessità
delle donne che vogliono diventare madri, ma anche dei diritti relativi allo
sviluppo e all’educazione di bambini e bambine”.
Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children
Professoressa, chi sono gli analfabeti funzionali?
«Sono persone che, pur dotate di un titolo di studio, non sanno usare le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle varie situazioni della vita quotidiana. E di conseguenza non sono in grado di orientarsi nella società contemporanea».
Questa capacità viene indicata con la parola “literacy”.
«Sì, è la capacità che è richiesta per tessere relazioni sociali, per raggiungere obiettivi, per sviluppare conoscenza e potenziale umano. Literacy è lo strumento moltiplicatore di effetti che mettono i cittadini nelle condizioni di partecipare,con consapevolezza e responsabilità, alla vita democratica di un paese». [...] Un tempo l’analfabetismo veniva nascosto come una vergogna. Quello attuale viene vissuto nella totale inconsapevolezza.
«Lo vediamo chiaramente da un’inchiesta del Censis: molti non hanno la formazione digitale appropriata ma non sentono il bisogno di migliorare. L’assenza di ambizioni dipende anche dal fatto che sono le stesse mansioni lavorative a richiedere capacità limitate. L’analfabetismo è lo specchio di un progressivo abbassamento della qualità del lavoro che in questi anni è stato parcellizzato, trasferito altrove, per lo più dequalificato. La scuola media unica obbligatoria è nata nel 1962 per rispondere a una richiesta democratica di crescita sociale, ma anche per soddisfare la domanda dettata dallo sviluppo industriale.
Figlia d’una famiglia piemontese, sono cresciuta nel mito dell’operaio Fiat capace di far tutto, perfino il baffo alle mosche. Oggi, al di là di rare isole di alta specializzazione, la produzione di massa si è molto impoverita».
Resta molto forte il rapporto tra analfabetismo ed esercizio della cittadinanza.
«La classe dirigente italiana ne era consapevole ai tempi di Giolitti.
Prima dell’approvazione del suffragio universale maschile (1912) furono avviati vari studi parlamentari sulle differenze tra elettori istruiti ed elettori semianalfabeti. Si temeva che l’allargamento dell’elettorato avrebbe potuto favorire “il sopravvento delle forze conservatrici e reazionarie”, come si legge nella nota conclusiva. A distanza di oltre cent’anni, mi sembra che quel monito abbia mantenuto tutta la sua attualità».
Vittoria Gallina, intervista a cura di Simonetta Fiori - la Repubblica (20/4/2021)
Vauro, da google.it |
2.
R.E.M., Hope – (Up – 1998) – Bisogno di speranza
3.
Counting Crows, Round Here – (August and Everything After – 1993) – Dentro
4.
Paola Turci, Bambini – (Paola Turci – 1989) – Supply Chain
5.
Otis Rush, Take A Look Behind – (Right Place, Wrong Time – 1976) – La comicità
6.
Pat Metheny, See The World – (Secret Story – 1992) – Letargo
7.
David Crosby, Curved Air – (Sky Trails – 2017) – Debito pubblico
8.
Carapezza, Il testo che avrei voluto scrivere – (Prisoner
709 – 2017) – Scivola la penna
9.
Deep Purple, The Cut Runs Deep – (Slaves & Masters – 1990) – Fiasco
10. Vasco
Rossi, La noia – (Vado
al massimo – 1982) – Insopportabile
11. Metallica, Escape – (Ride
the Lightning – 1984) – Danno
collaterale
12. Kenny
Rogers, Harder Cards – (Back
to The Well – 2003) – Carte
13. Van
Halen, Mean Street – (
Fair Warning – 1981) – Incapacità