1. Koko Taylor, Tired of That – (Jump for Joy – 1990) – Chiudiamo2. Van Halen, Source Of Infection – (OU812 – 1988) – Sorgente
3. Toto, Mindfields – (Mindfields – 1999) – Chiacchiericcio
4. Francesco Guccini, Culodritto – (Madame Bovary – 1987) – Senza bambini
5. Saxon, Where The Lightning Strikes – (Destiny – 1988) – Pablito
6. Melody Gardot, Same to You – (Currency of Man – 2015) – Eguaglianza
7. Camel, No Easy Answer – (The Single Factor – 1982) – Pillole
8. Samuele Bersani, Harakiri – (Cinema Samuele – 2020) – Cinema Samuele
9. Mary Lane, Blues Give Me a Feeling – (Travelin’ Woman – 2019) – Sottomessi
10. Ike & Tina Turner, The Way You Love Me – (The Soul of Ike & Tina Turner – 1961) – Abbracci
11. Mango, Oro – (Odissea – 1986) – Oro
12. Anouk, Urban solitude – (Urban Solitude – 1999) – Solitudine urbana
13. The Beatles, The Long And Winding Road – (Let It Be – 1970) – Abbondante povertà
nuovigiorni
"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".
Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)
giovedì 31 dicembre 2020
Playlist Dicembre 2020
mercoledì 30 dicembre 2020
Abbondante povertà
“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore: non è il mio mestiere; non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato.
L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’avidità ci ha resi duri e cattivi; pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità; più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto”.
Charlie Chaplin, Il Grande Dittatore (1940)
domenica 27 dicembre 2020
Solitudine Urbana
C’è una commissione o almeno un referente parlamentare per ogni problema sociale, per la fede religiosa, per l’immigrazione, per il razzismo, e la povertà, ma credo che il Bundestag, il parlamento federale tedesco, sia il primo a prevedere un responsabile per la solitudine. I tedeschi sono un popolo di single, che continuano a aumentare. E, a causa del Covid, il Natale e il Capodanno rischiano di essere feste tristi, senza parenti, senza amici, senza neppure una visita dei vicini.Il governo autorizza un cenone con un paio di parenti stretti e solo un estraneo, ma non tutti hanno genitori, figli, o fratelli che vivono nella stessa città. (...) In Germania i single sono 15,9 milioni, un quinto della popolazione, vent’anni fa erano 11 milioni e 400mila. A causa della vita che si allunga e dei divorzi, essi sono aumentati a dismisura. A Berlino i solitari, per scelta o per destino, sono oltre il 30%. Per un confronto, secondo l’Istat, in Italia i solitari sono circa il 31%. Secondo la Berliner Zeitung, nella metropoli si arriva in realtà al 52%, molte coppie sono costrette a lunghe separazioni per motivi di lavoro, gli ospiti dei residence per anziani vivranno in comunità, ma segregati nelle loro stanze. Il 30% dei single vivono in povertà, il doppio della media nazionale. In maggioranza, leggo, sono donne. (...) Io sono fortunato, non mi sono mai sentito solo, neppure da bambino (figlio unico fino a cinque anni), o da inviato quando a volte ero costretto a attendere per ore la telefonata con il mio giornale, prigioniero in una camera d’albergo, in un paese di cui non parlavo la lingua. Ho sempre un libro con cui scambiare due parole. C’è una bellissima parola tedesca intraducibile, Zweisamkeit, che sarebbe la solitudine a due, ma non rende le sfumature. Fernanda, mia moglie, e io, solo noi due, passeremo Natale e Capodanno, parlando, o tacendo insieme, non importa. È un privilegio, non egoismo. Vorremmo invitare qualcuno, ma domani non sarà possibile, e neppure a San Silvestro. Un brindisi a due è romantico a qualsiasi età, purché sia una scelta, non una condanna.
Roberto Giardina, Italia Oggi (24/12/2020)
venerdì 25 dicembre 2020
martedì 22 dicembre 2020
Abbracci
Era bello una volta – appena un anno fa, ma sembra passato più tempo – vedere arrivare un treno in una stazione italiana. Non un Frecciarossa pendolare in tre ore fra Milano e Roma, ma un treno a lunga percorrenza in arrivo dal Sud, e meglio se sotto Natale, come adesso. Si era appena spento lo stridio metallico dei freni e le porte si aprivano, che già vedevi qualcuno che abbracciava con calore un viaggiatore, e poi la sua compagna, e poi il nipote, in un tramestio di valigie e di strette forti e «ben arrivati!». Poi, il gruppo familiare si allontanava compatto, a distanziamento zero, verso l’uscita. Non avremmo creduto che potesse cambiare: era sempre stato così, in Italia. Invece, se passi oggi dalla Centrale di Milano, quei pochi che arrivano vengono accolti con sagge e necessarie precauzioni – quando finalmente si riesce a riconoscersi, sotto alla maschera. Niente abbracci, baci meno che mai, nemmeno una stretta di mano. E i virologi sarebbero contenti, e davvero ora è giusto così, però viene da domandarsi: ma, una volta debellato il virus, riusciremo a tornare come prima? Torneremo italiani? Il dubbio viene perché, guardando i passanti per strada lontano dal centro e al di fuori delle compere natalizie, vedi una processione di volti rigorosamente con la maschera tirata su fino agli occhi, e bene attenta a mantenere nei negozi la distanza dagli altri, ma vedi anche qualcosa di più: una sotterranea paura che, nonostante ogni precauzione, il virus si insinui, contamini l’aria, magari nel fiato di due parole pronunciate da un altro cliente – due appena, perché in giro quasi non si parla più. E sono sguardi ostili se per sbaglio violi il metro di distanza, o peggio se la maschera ti scivola sotto la punta del naso. Per carità, giusto stare attenti. Ma certa animosità, certi toni inaspriti, o lo stringersi contro il muro quando un altro passa sul marciapiede, fanno pensare che il virus ci stia insegnando a vedere nel prossimo, prima di tutto, un pericolo, se non un nemico. Qualcosa che in questo Paese non abbiamo visto mai.
E, pure naturalmente obbedendo a ogni prescrizione anti contagio, è lecito domandarsi se, di seconda ondata in terza, una volta finita l’epidemia un fondo di diffidenza verso l’altro sconosciuto non ci resterà addosso; se guariremo da questo irrigidimento, da questa freddezza e quasi paura del prossimo, che del Covid sono un triste effetto collaterale. Non continueranno a difendersi gli anziani, i più minacciati, anche una volta sconfitto il virus? E i bambini che sono andati a scuola per la prima volta nel 2020, e per prima cosa hanno imparato che bisogna stare distanti l’uno dall’altro, dimenticheranno questo innaturale imprinting, e torneranno normali? Il timore, speriamo infondato, che l’epidemia ci stia insegnando anche un altro modo di stare in rapporto fra noi. I gesti, gli abbracci, la vicinanza fisica sono già una lingua, e una lingua universale. Noi italiani la parlavamo molto bene, generosamente, la bella lingua del corpo. Se ci ritrovassimo cambiati sarebbe un impoverimento, un altro segno lasciatoci addosso da questa ma-lattia globale. Auguriamoci allora anche, insieme alla fine dell’emergenza e dei lutti e alla ripresa dell’economia e del lavoro, una 'piccola' cosa per l’anno che viene: di poter ritrovare la semplice gioia di un abbraccio fra amici, e perfino solo di una stretta di mano, di quelle forti, vere. (Che nostalgia, sotto alle nostre maschere, ne abbiamo).
Marina Corradi, Avvenire (20/12/2020)
domenica 20 dicembre 2020
Sottomessi
La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui.
Jean-Jacques Rousseau (1712 - 1778)
giovedì 17 dicembre 2020
Cinema Samuele
“Canzoni d’amore altamente nocive per un
cuore già troppo pulsante”
Canzoni intense e seducenti, per niente nocive all’ascolto, quelle
venute al mondo grazie alla vena ispirativa di Samuele Bersani. Dopo sette anni
dal suo precedente album (un periodo veramente lungo) il cantautore invita ad
abbandonarsi alla percezione di dieci inediti, ognuno dei quali contraddistinto
da un testo ricco di densità emotiva e da un arrangiamento efficace.
Dieci canzoni che sembrano materializzarsi in piccoli
cortometraggi abbinati a delle melodie che, nell’insieme, sembrano quasi una
colonna sonora immaginaria. A partire da ”Pixel”, brano d’apertura dell’album,
il cui protagonista “profuma come un principe / decaduto e andato a sbattere / Che
ha perso il regno in una notte / Davanti a una slot”. Un testo che parla di
rabbia e sofferenza.
In altri brani, invece, riesce a cogliere le dipendenze
tecnologiche dell’epoca attuale (“Scorrimento verticale”) o a ricordarci
l’eterno duello fra il passato e il presente come accade nell’intensa “Il tuo
ricordo”.
In un periodo in cui gli abbracci sono stati messi al bando, le
canzoni del cantautore avvolgono con dei testi che riescono anche a essere
freschi e densi, come accade in “Le Abbagnale”, storia di amicizia di due
ragazze per le quali “Le ha unite una città / Rimasta a lume di candela / Ma la
loro personale carica di elettricità / Riaccenderebbe Roma intera”. E poi la
carica di speranza che trasmette Harachiri attraverso la trasformazione di un
uomo sull’orlo della depressione che, come per miracolo, rinasce dall’’abisso
nel quale si era cacciato: “Poi dopo una serie di giorni infelici / Venne fuori
vestito di bianco / Sembrava una lucciola in mezzo a un blackout”.
Un cantautore che sembra chiudersi nel mondo dei suoi sentimenti ma che, nello stesso tempo, riesce in modo apprezzabile a divulgare la sua intimità e fantasia.
martedì 15 dicembre 2020
Pillole
È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.
Morpheus (Lawrence Fishburne), dal film The Matrix (1999)
domenica 13 dicembre 2020
Eguaglianza
Questa epidemia sta sollevando una formidabile questione d'eguaglianza. Fra cittadini di zone rosse o gialle, fra dipendenti pubblici e lavoratori privati, fra negozianti aperti o chiusi, fra uomini e donne, fra giovani e vecchi. Ciascuna di tali categorie si sente vittima d'un sopruso, a torto o a ragione. Avverte un trattamento diseguale, che diventa una ferita al proprio senso di giustizia, e provoca infine la lacerazione del tessuto sociale. Ai tempi del lockdown totale eravamo una comunità, un popolo segnato da un unico destino; e ora siamo una massa informe d’individui, per lo più dominati dal rancore. Non un sentimento bensì un risentimento collettivo, che s’allunga come un ombra sulle stesse istituzioni, sui rapporti fra maggioranza e opposizione, su città e Regioni armate l’una contro l’altra, e tutte insieme contro lo Stato. (…) Tuttavia nemmeno è colpa dei dipendenti pubblici, se ancora continuano (per quanto tempo?) ad avere lo stipendio assicurato. Né dei pensionati, né delle altre categorie fin qui protette dalla crisi. Eppure s’avverte come un’onda di livore verso il vicino di casa se non verso il governo. Ciascuno fa i conti in tasca all’altro, e i conti non tornano, non più. (…) La nostra Costituzione non contempla razze superiori, però ci offre una bussola per individuare chi merita speciali protezioni, chi ha perciò diritto a un trattamento diseguale, ossi più favorevole. I bambini (art.31). I malati (art.32). Le donne lavoratrici (art.37). Gli invalidi, i disoccupati, i vecchi (art.38). E’ questa la cerchia dei soggetti deboli, sono loro gli uguali. Non le categorie numerosissime, elencate una per una con piglio notarile, che figurano nei provvedimenti dell’esecutivo. Ecco infatti la responsabilità più grave di chi ci governa: aver messo a rischio l’unità degli italiani. Per forza se li seppellisci con 21 decreti legge e altrettanti Dpc in 9 mesi. Se ciascun decreto s’allarga per centinaia di commi, dove ogni micro categoria riceve un vestito su misura. Se sciorini un rosario d’azioni e di eccezioni, senza una norma generale, senza una parvenza d’eguaglianza. E senza chiedere pegno a chi ha tratto vantaggio dalla crisi: i giganti del web, per dirne una. Ma intanto circola un senso d’ingiustizia, e l’ingiustizia fiacca lo spirito, mentre il virus aggredisce il corpo.
Michele Ainis, Repubblica (15/11/2020)
venerdì 11 dicembre 2020
Pablito
Cominciare dai tre gol al Brasile è facile ma non mi sembra corretto. Paolo è stato molto altro, un uomo buono, un eroe dei tempi, leggero come una piuma e disinteressato alla sua bravura. La conosceva, e più passava il tempo e più l’amava. Ma non gli ho mai sentito dire una volta che è stato un grande giocatore.
Prendersi poco sul serio era il suo modo allenarsi, quasi un clandestino dell’area di rigore, aveva imparato a nascondersi perché non aveva il fisico, arrivava come un tradimento, rubava un metro ed era gol. A Madrid, la notte del Mondiale, ne fece uno alla Germania indescrivibile senza moviola. Oriali mise da destra un pallone al centro che non sembrava niente di che. Cabrini, che marcava Kaltz, fu il primo a tuffarsi per andare a prenderlo. Foerster, un difensore magnifico e scolpito, capì il pericolo e si buttò per anticipare Rossi, ma quando aprì gli occhi, Paolo gli era già sopra le spalle e aveva colpito con la fronte. Era gol. Stavamo diventando campioni del mondo. Dalla tribuna non capimmo niente, si era visto solo un mucchio di uomini accartocciati e la palla in rete due metri più avanti. Ricordo che il grande Schumacher non fece in tempo nemmeno a muoversi. Poi, dalla polvere della terra, si alzarono al cielo le braccia magre di Rossi. Quello era il suo mestiere, rubare il tempo.
martedì 8 dicembre 2020
Senza bambini
Non ci sono soltanto la vita e la morte, in gioco nella sfida che combattiamo con il virus. Tra i due estremi, stiamo quotidianamente sperimentando una sospensione del tempo che rende tutto precario intorno a noi, rinchiusi in una bolla di instabilità e di incertezza, come se vivessimo tra parentesi. Rimandiamo i progetti, rinviamo i viaggi, spostiamo i grandi appuntamenti della nostra vita, e non sappiamo a quando. Questo approdo indefinito, questo mistero che circonda la fine del Male ci costringe a una transizione permanente verso una normalità sfuggente, un percorso senza rotta, senza luci, senza mappa. Non sappiamo quanto dista il porto, e quale prezzo pagheremo per la traversata: quasi fossimo non in viaggio, ma in fuga. Non ci sono ancora studi capaci di fotografare questa vita sospesa, un inedito che sperimentiamo per la prima volta nel dopoguerra, sconvolgendo il passo della nostra esistenza e la dinamica naturale con cui la società si rinnova al ritmo degli eventi, degli errori e dell’impensabile. E tuttavia un dato emerge con chiarezza: la paura del futuro, certificata dalla paralisi delle nascite. Il Covid ci schiaccia sul presente, annulla i calcoli, cancella gli investimenti sul domani, seminando la paura. E dunque blocca il principale investimento nel capitale umano del Paese, i bambini. (...) Ma a influenzare il profilo sociale della comunità non è soltanto la paura. Il virus infatti veicola anche una crisi materiale del lavoro, della produzione, del commercio, e quindi del reddito. Le conseguenze sulla sicurezza psicologica dei cittadini sono evidenti. I demografi lo chiamano effetto-Grecia, perché quando il Paese ha dovuto lottare contro il default finanziario, tra il 2008 e il 2013, e la disoccupazione cresceva dal 7,7 per cento al 27,7, quasi con un parallelismo perfetto le nascite calavano della stessa percentuale, il 20,4 per cento. (...) S’inceppa il meccanismo della generazione, della responsabilità per il domani, la trasmissione di un patrimonio d’esperienza, l’affidamento di una storia familiare, la coscienza di prolungare tutto questo nell’avvenire. L’angoscia del presente trasforma il futuro in un’incognita, che ingigantisce la responsabilità del diventare genitori. È la conseguenza del dominio dell’imprevedibile, che fa saltare le regole costruite per togliere al mondo il suo aspetto pauroso. Senza la regola torna a dominare l’istinto, ci circonda la paura dell’incalcolabile, come lo chiama Nietzsche, che mette in crisi la scienza, la tecnica, il progresso. Finché torneranno i bambini, a riconsegnarci il mondo.
Ezio Mauro, la Repubblica (30/11/2020)
domenica 6 dicembre 2020
Chiacchiericcio
Il fattore principale di distrazione non sono le chiacchiere della gente che ci circonda, ma quel chiacchiericcio che avviene all'interno della nostra mente. Per poter raggiungere una perfetta concentrazione è necessario mettere a tacere queste voci interiori.
Daniel Goleman, Focus (2013) - ed. Rizzoli
venerdì 4 dicembre 2020
Sorgente
«Basta un dato per capire: il 29 settembre avevamo 50 mila infetti attivi».
Poi
cosa è successo?
«L'
unica cosa che è successa di diverso è stata la riapertura delle scuole».
Dunque
secondo lei non dobbiamo riaprire le scuole?
«No,
non dico questo».
Cosa
allora?
«Intanto
dobbiamo capire che metà del paese è legato in qualche modo alle scuole, e
quindi agire soprattutto in quel che succede fuori dalle scuole. E poi bisogna
dividere il problema».
Cioè?
«Il
punto problematico sono i liceali, gli studenti delle superiori, quelli delle
medie non influiscono in maniera significativa nella variazione dell' Rt».
Pensa
che si dovrebbero tener quindi chiusi gli istituti superiori?
«Penso
che da qui al 7 gennaio, quando gli studenti delle superiori dovrebbero tornare
sui banchi, ci sono cinque settimane molto preziose durante le quali si possono
mettere a punto le precauzioni che fino ad ora sono state ignorate».
Quali?
«Il
problema più importante per gli studenti delle superiori non è tanto quello che
avviene all' interno della scuola, ma quello che succede fuori».
Cosa
intende?
«Prima
di tutti i trasporti. È inutile fare il distanziamento nelle aule quando si
fanno viaggiare i ragazzi su autobus pieni. Se non stiamo attenti a questo la
terza ondata sarà inevitabile. (...)
A
metà gennaio dovrebbe arrivare il vaccino?
«Si,
e vorrei fare una provocazione da fisico, se posso».
Prego.
«Dagli
studi che sono stati fatti, e in parte anche da quello che ho appena esposto,
viene fuori che il maggior contagio arriva dai ragazzi tra i 15 e i 20 anni. In
gergo si dice che sono una "sorgente"».
E
allora?
«Io
tra vaccinare prima tre milioni di liceali o 26 milioni di over 50 vaccinerei
prima i liceali così da eliminare la sorgente dei contagi».
Prof.Roberto Battiston (Fisico) - Corriere della Sera (2/11/20) - Intervista di Alessandra Arachi
mercoledì 2 dicembre 2020
martedì 1 dicembre 2020
Playlist Novembre 2020
- 1 Mental As Anything, Bus Ride – (Fundamental – 1985) – Bus
- 2. Kevin Morby, The Jester, The Tramp & The Acrobat – (Still Life – 2014) – Gigi
- 3. Malika Ayane, Come foglie – (Malika Ayane – 2009) – Foglie
- 4. Phil Collins, True Colors – (Hit – 1998) – Rossa, arancione, gialla
- 5. Jojo,The Change – (2020) – That is the job
- 6. Niccolò Fabi, Una buona idea – (Ecco – 2012) – Idee chiare
- 7. Madeleine Peyroux, Damn The Circunstances – (Bare Bones – 2009) – Dilemma
- 8. Cat Stevens, Blackness of The Night – (New Masters – 1967) – Oscurità
- 9. Gregory Porter, Long List Of Troubles – (All Rise – 2020) – Debito pandemico
- 10. Florence and the Machine, Various Storms & Saints – (How Big, How Blue… – 2015) – Bar Virus
- 11. Christina Aguilera, Oh Mother – (Back to Basics – 2006) – Pandemia di femminicidi
- 12. JJ Grey & Mofro, Tragic – (Country Ghetto – 2007) – Linciati
- 13. Pino Daniele, Tango della Buena Suerte – (Passi d’autore – 2004) – L’arte barocca di Maradona