E se Hitler avesse
avuto i social network? La congettura del comico Sacha Baron Cohen, nel discorso di
ringraziamento all’Anti-Defamation League, si presta a un esercizio,
l’ennesimo, di fiction controfattuale sul nazismo. Suggerisco però di non
concentrarsi sulla maggiore potenza pervasiva dei nuovi mezzi, quanto sulla
loro diversa natura, perché il medium è il messaggio, altro che canale neutro,
e ci sarà una ragione se la gente si scanna su Twitter e si fa le fusa su
Instagram. Marshall McLuhan era convinto, per esempio, che Hitler fosse un prodotto
del “tamburo tribale” della radio, e che in tv non sarebbe durato un’ora:
“Tutto ciò che alla radio suonava così importante e serio, in televisione
sarebbe stato solo comico”, disse in un’intervista nel 1978. Il piccolo schermo
voleva demagoghi rassicuranti, non urlatori gesticolanti. Hitler avrebbe dato
l’idea di un esagitato, non troppo diverso dalla parodia di Chaplin nel “Grande
dittatore”. E sui social network? Qui torna in auge l’antico agonismo della
comunicazione orale, ancorché trascritta: la simmetria duellante del
botta-e-risposta, i flame, la rapida escalation dell’ostilità. A un aspirante Hitler
dei social – un Adolf Twitler – servirebbero prima di tutto la battuta pronta,
la sferzata sarcastica, la capacità di seppellire i rivali sotto gli sghignazzi
dei fan: tutte doti da attore comico. Così, nel timore di un nuovo Grande
dittatore, Baron Cohen si è svestito dei panni del clown e ha capovolto
precauzionalmente il film di Chaplin, partendo dalla scena finale: il discorso
all’umanità del barbiere ebreo.
Guido Vitiello, Il Foglio (27/11/2019)
Canzone del giorno: The Healer (1989) - John Lee Hooker ft. Carlos Santana
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