«Ma Tria qual è? Quello col
riporto?». «No, Tria è pelatino». «Eccolo» risolve il fotografo puntando
Bonisoli. «No, lui è un nordico amico di Casaleggio, Tria parla romano». «E
famolo parlà! Tria, guardi qui!».
Per un’ora sola si fa struggente
al Quirinale la nostalgia per le vecchie esecrate facce, per un unico motivo:
erano appunto vecchie, quindi risapute. Questi invece nessuno sa chi siano,
tranne Giulia Bongiorno, Enzo Moavero e pochi altri: Toninelli ministro delle
Infrastrutture che non vuole le Infrastrutture, Giulia Grillo alla Salute che
non vuole i vaccini. Il primo sconosciuto è il premier Conte, che si sente in
dovere di precisare: «Non siamo marziani, ve ne accorgerete».
Ma ecco finalmente i dioscuri, e
subito si capisce che, se l’alleanza può essere provvisoria (ma forse no), il
feeling è certo autentico. Salvini pare il fratello maggiore. Un po’ ingobbito
come sempre nelle occasioni istituzionali, giacca troppo stretta per essere
abbottonata, calzini a righe blu scuro e azzurro elettrico; la cravatta verde è
tutto quel che resta della Padania. Entra insieme con il fratello minore Di
Maio e gli si siede accanto, chiacchiera con lui tutto il tempo senza badare
alla lettura del labiale, ride con lui, lo cerca con lo sguardo. Di Maio contraccambia. È salito
al Quirinale in un taxi-van con i compagni di partito, ancora increduli. (…)
Il nostro nuovo presidente del
Consiglio è l’ultimo dandy. Al confronto Philippe Daverio è trascurato, Oscar
Giannino suo mancato compagno di studi in America è quasi casual.
Elegantissimo, compassato, Giuseppe Conte si accarezza i capelli che Carlo
Freccero qui presente assicura essere tinti. È l’unico a firmare con la propria
stilografica anziché con la penna d’ordinanza del Quirinale. Il Guardasigilli
Bonafede — amato dai giornalisti in quanto grillino umano: saluta, risponde al
telefono — se lo mangia con gli occhi, legittimamente fiero di averlo scoperto.
Ancora ieri teneva lezione alle matricole a Firenze, oggi riceve le
congratulazioni di Putin. Al fianco di Conte, Mattarella è l’unico al secondo
giuramento, insieme con Moavero, ministro con Monti (e poi Letta) e Savona,
salito al Colle un quarto di secolo fa ai tempi di Ciampi, oggi molto
abbronzato, con cravatta salmone, orologione di marca, occhialini pince-nez. Il
vestito è un po’ largo, il professore a differenza di Salvini dev’essere
dimagrito. L’incontro Savona-Mattarella è il momento clou, i fotografi si
scatenano, il padrone di casa stringe e trattiene la mano dell’avversario, gli
parla a lungo, non era niente di personale, l’altro dice solo: «Grazie
presidente». (…)Di Maio e Salvini, sempre insieme; poi si spostano al Quirinale
per il ricevimento. Mattarella è decisamente sollevato, anche se deve dare
retta a tutti e si è formata una fila chilometrica per salutarlo. Il ministro
Centinaio, che il 25 aprile festeggia «solo San Marco», riconosce invece il 2
giugno e si mette disciplinatamente in coda, con le basette lunghe e il sorriso
felice. Di Maio riceve l’omaggio di Marco Alverà della Snam e di altri manager
da riconfermare o da nominare. Salvini si offre ai selfie. Quelli di Forza
Italia l’hanno presa male. «Il governo pare una sede distaccata della
Casaleggio&Associati» sibila la Gelmini. Sfumato il giudizio di Brunetta:
«Un governo di merda. Tranne Moavero e tranne lui, s’intende» dice indicando
l’amico Tria. Il ministro dell’Economia è garbato, occhiali Dolce&Gabbana,
modi trattenuti; conversa con Padoan e Giorgio La Malfa. Tace Gianni Letta, ma
è evidente che considera l’alleanza finita, la Lega è andata davvero con i 5
Stelle.
Arriva un po’ di Pd dalla piazza
convocata per sostenere Mattarella, che se l’è cavata benissimo da solo. Renzi
è già in Cina. Matteo Colaninno assicura: «Meglio che Conte ce l’abbia fatta,
serviva un governo che avesse la fiducia per placare i mercati; poi si vedrà».
Salvini confida a un amico: «Sono preoccupatissimo». Non si riferisce agli
Interni, anzi non vede l’ora di cominciare; lo preoccupano l’economia, il
debito, l’Iva che Tria vorrebbe aumentare, la legge Fornero che Tria vorrebbe
mantenere, i cento miliardi da spendere che proprio non si trovano. Un fotografo mormora al collega:
«Tra un anno e mezzo arriva Draghi».
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera (2/6/2018)
Canzone del giorno: I Swear (1994) - John Michael Montgomery
Clicca e ascolta: I Swear....
I dioscuri e le matricole: cronaca di una strambo giuramento al Quirinale
Aldo Cazzullo, Il Corriere della Sera
«Ma Tria qual è? Quello col
riporto?». «No, Tria è pelatino». «Eccolo» risolve il fotografo puntando
Bonisoli. «No, lui è un nordico amico di Casaleggio, Tria parla romano». «E
famolo parlà! Tria, guardi qui!».
Per un’ora sola si fa struggente
al Quirinale la nostalgia per le vecchie esecrate facce, per un unico motivo:
erano appunto vecchie, quindi risapute. Questi invece nessuno sa chi siano,
tranne Giulia Bongiorno, Enzo Moavero e pochi altri: Toninelli ministro delle
Infrastrutture che non vuole le Infrastrutture, Giulia Grillo alla Salute che
non vuole i vaccini. Il primo sconosciuto è il premier Conte, che si sente in
dovere di precisare: «Non siamo marziani, ve ne accorgerete».
Ma ecco finalmente i dioscuri, e
subito si capisce che, se l’alleanza può essere provvisoria (ma forse no), il
feeling è certo autentico. Salvini pare il fratello maggiore. Un po’ ingobbito
come sempre nelle occasioni istituzionali, giacca troppo stretta per essere
abbottonata, calzini a righe blu scuro e azzurro elettrico; la cravatta verde è
tutto quel che resta della Padania. Entra insieme con il fratello minore Di
Maio e gli si siede accanto, chiacchiera con lui tutto il tempo senza badare
alla lettura del labiale, ride con lui, lo cerca con lo sguardo.
Di Maio contraccambia. È salito
al Quirinale in un taxi-van con i compagni di partito, ancora increduli. Quando
giura l’amico Fraccaro, Di Maio sorride compiaciuto, quanto tocca a Toninelli è
scosso da un brivido di felicità, e finalmente, nell’udire Giulia Grillo
proclamare la propria fedeltà alla Repubblica, si commuove. «L’Italia è un
Paese scalabile», l’aveva già detto Renzi nel 2014, presentandosi al giuramento
con la moglie e i tre figli vestiti di bianco rosso e verde. Ora tocca ai
grillini confermare che quando il sistema entra in crisi può succedere tutto,
ma proprio tutto. Lorenzo Fontana ministro della Famiglia è qui coerentemente
con la moglie e la figlioletta con orsacchiotti di pelouche, vestitino bianco e
calzini ricamati. Additato come omofobo, Fontana assicura che le unioni civili
non si toccano.
Il nostro nuovo presidente del
Consiglio è l’ultimo dandy. Al confronto Philippe Daverio è trascurato, Oscar
Giannino suo mancato compagno di studi in America è quasi casual.
Elegantissimo, compassato, Giuseppe Conte si accarezza i capelli che Carlo
Freccero qui presente assicura essere tinti. È l’unico a firmare con la propria
stilografica anziché con la penna d’ordinanza del Quirinale. Il Guardasigilli
Bonafede — amato dai giornalisti in quanto grillino umano: saluta, risponde al
telefono — se lo mangia con gli occhi, legittimamente fiero di averlo scoperto.
Ancora ieri teneva lezione alle matricole a Firenze, oggi riceve le
congratulazioni di Putin.
Al fianco di Conte, Mattarella è
l’unico al secondo giuramento, insieme con Moavero, ministro con Monti (e poi
Letta) e Savona, salito al Colle un quarto di secolo fa ai tempi di Ciampi,
oggi molto abbronzato, con cravatta salmone, orologione di marca, occhialini
pince-nez. Il vestito è un po’ largo, il professore a differenza di Salvini
dev’essere dimagrito. L’incontro Savona-Mattarella è il momento clou, i
fotografi si scatenano, il padrone di casa stringe e trattiene la mano
dell’avversario, gli parla a lungo, non era niente di personale, l’altro dice
solo: «Grazie presidente». Di Maio al momento di giurare si chiude un bottone
della giacca. Salvini invece non riesce proprio a stare composto, siede sulla
punta della sedia tipo sposo in ansia, si soppesa preoccupato la pancia da
campagna elettorale, «in ogni piazza mi rimpinzano, poi quando mi metto la
giacca sudo come un orso». Dopo aver firmato il giuramento dimentica di
salutare Conte, torna indietro, la manica si solleva e scopre il braccialetto
da ultras del Milan.
Il generale Costa si presenta da
Mattarella battendo i tacchi, tipo giunta militare sudamericana. Elisabetta
Trenta, Difesa, giura sull’attenti. Le donne sono pochine, quasi tutte in
pantaloni tranne Erika Stefani in blu cobalto, subito individuata dai reporter
maschilisti come Miss Governo. Giulia Grillo è andata dal parrucchiere.
Particolarmente incredula Barbara Lezzi, scampata anche al bonifico mancato.
Qualche problema con la giacca anche per Toninelli: troppo corta. Alla fine
breve ma frenetico applauso dei parenti. Fuori sulla piazza si è creata una
piccola folla, l’attesa popolare è autentica, il governo ha un’apertura di
credito notevole a dispetto del programma impossibile. Si vedono anche meno
auto blu del solito. Breve brindisi, poi ci si porta a Palazzo Chigi per lo
scambio della campanella, che però non si trova più. Momento di imbarazzo tra
Gentiloni e Conte, «manca l’oggetto» si giustifica il premier uscente, poi si
rimedia. Si rivede la Boschi. Sono venuti anche Di Maio e Salvini, sempre insieme;
poi si spostano al Quirinale per il ricevimento. Mattarella è decisamente
sollevato, anche se deve dare retta a tutti e si è formata una fila
chilometrica per salutarlo. Il ministro Centinaio, che il 25 aprile festeggia
«solo San Marco», riconosce invece il 2 giugno e si mette disciplinatamente in
coda, con le basette lunghe e il sorriso felice. Di Maio riceve l’omaggio di
Marco Alverà della Snam e di altri manager da riconfermare o da nominare.
Salvini si offre ai selfie. Quelli di Forza Italia l’hanno presa male. «Il
governo pare una sede distaccata della Casaleggio&Associati» sibila la
Gelmini. Sfumato il giudizio di Brunetta: «Un governo di merda. Tranne Moavero
e tranne lui, s’intende» dice indicando l’amico Tria. Il ministro dell’Economia
è garbato, occhiali Dolce&Gabbana, modi trattenuti; conversa con Padoan e
Giorgio La Malfa. Tace Gianni Letta, ma è evidente che considera l’alleanza
finita, la Lega è andata davvero con i 5 Stelle.
Arriva un po’ di Pd dalla piazza
convocata per sostenere Mattarella, che se l’è cavata benissimo da solo. Renzi
è già in Cina. Matteo Colaninno assicura: «Meglio che Conte ce l’abbia fatta,
serviva un governo che avesse la fiducia per placare i mercati; poi si vedrà».
Salvini confida a un amico: «Sono preoccupatissimo». Non si riferisce agli
Interni, anzi non vede l’ora di cominciare; lo preoccupano l’economia, il
debito, l’Iva che Tria vorrebbe aumentare, la legge Fornero che Tria vorrebbe
mantenere, i cento miliardi da spendere che proprio non si trovano.
Un fotografo mormora al collega:
«Tra un anno e mezzo arriva Draghi».