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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 22 novembre 2014

Debolezza

Per quasi un secolo l'eternit è stato usato come materiale edile. A Casale Monferrato, migliaia di morti in questi anni, per colpa del cemento-amianto.
Mercoledì scorso la Corte di Cas­sa­zione ha annullato, sulla base della prescrizione dei reati, le precedenti condanne del processo Eternit. Annullati i risarcimenti a favore dei familiari delle tantissime vittime.
Tutto ciò genera un palese senso di frustrazione e smarrimento. Giustizia non è stata fatta, anzi, come scrive sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini, non si tratta di ingiustizia, ma di assenza di giustizia: "Dopo ThyssenKrupp, Eternit. Una coincidenza che sa di beffa e provoca frustrazione. Nessuno chiede colpevoli per forza; ma neppure innocenti per debolezza. Debolezza delle norme, delle procedure, di chi deve applicarle. Umiliante: non c’è altro aggettivo per descrivere quant’è accaduto. Un’umiliazione che non tocca solo le 983 parti civili (parenti ed enti locali), ma tutti gli italiani. È umiliante sentire dire dal sostituto procuratore generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, che l’imputato è «responsabile di tutte le condotte a lui ascritte». E poi concludere: «Reato prescritto». «Per reati come le morti da amianto che hanno latenza di decenni serve un intervento legislativo?». Si faccia, allora. Oppure taccia, la politica. Non si tratta di ingiustizia; ma di assenza di giustizia, e non è meno grave. Molto è stato detto e scritto sui meccanismi difettosi della prescrizione, sul bizantinismo delle procedure, sulla grottesca lunghezza dei processi che ci ha reso colpevoli (e ridicoli) in Europa. Nelle ore che seguono la decisione della Cassazione basti ricordare che ci sono 3.000 morti. Il tumore ai polmoni non si prescrive. Le prigioni italiane sono piene di criminali comuni. I grandi responsabili dei grandi disastri (dalla salute all’ambiente, dalla finanza al fisco) difficilmente pagano con il carcere. Non accade altrove. Da noi i condannati di questo tipo di reati sono 156 (avete letto bene: centocinquantasei). Rappresentano lo 0,4% dei detenuti. Nell’Unione Europea sono dieci volte di più. In Germania — una democrazia impeccabile, non un’oscura satrapia — 55 volte di più. L’impunità sta diventando il sigillo della società italiana. Alle malefatte senza conseguenze dei «colletti bianchi» si aggiungono le ipocrisie della politica, incapace di introdurre novità sostanziali nel diritto penale; le autoassoluzioni della pubblica amministrazione, a tutti i livelli; le difese e le chiusure corporative che la vicenda di Stefano Cucchi, morto di percosse, ha evidenziato. Troppo spesso chi, in Italia, si scaglia contro «il giustizialismo» detesta, molto semplicemente, la giustizia. C’è un fastidio antico nell’immaginare una persona in carcere: un’inconfessabile solidarietà contro la guardia, e per il ladro, che deriva da secoli di dominazioni straniere. Storicamente spiegabile, ma socialmente disastroso. La diffusa antipatia per il diritto, che i professionisti del diritto contribuiscono spesso ad alimentare, crea il fondamento psicologico per le assoluzioni collettive. Il sogno dei farabutti di ogni epoca. Prima pagina venti notizie / ventuno ingiustizie e lo Stato che fa? / Si costerna, s’indigna, s’impegna / poi getta la spugna con gran dignità! / Venticinque anni fa, Fabrizio De André aveva già capito tutto".



Canzone del giorno:  Don Raffaè (1990) - Fabrizio De Andrè
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