Un Paese veramente
difficile da gestire e governare.
Non è soltanto un problema d'interessi singoli, partitocratici o di lobby radicate nei centri di potere.
Né Bassanini nel 1997 (ed eravamo nella gestione da "sinistra") né Calderoli nel 2010 (ed eravamo nella gestione da "destra") è riuscito a riformare la burocrazia del bel paese.
L'intento è stato sempre lo stesso: fare di tutto per rendere lo Stato più leggero. Meno ministeri, meno enti inutili, più autonomia per le Regioni e per le scuole.
La legge del ministro Bassanini prevedeva sin dal titolo gli intenti da promuovere: "Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo". Il governo Berlusconi IV nel 2010 decise di creare, addirittura, un Ministero per la Semplificazione e l'incarico di gestirlo fu affidato a Roberto Calderoli. Anche in questo secondo caso i risultati non sono stati certo brillanti e, quindi, non si può che concordare con quanto scritto di recente da Michele Ainis (Corriere della Sera del 30 12 2013): "il male è il troppo diritto che ci portiamo in groppa, e dato che per noi asinelli cambia poco se a spezzarci la schiena è una norma regolamentare anziché legislativa. Ma almeno i regolamenti sono flessibili, rapidi da approvare così come da abrogare. Se invece confezioni il prosciutto in una legge, per sconfezionarlo avrai bisogno del voto di mille parlamentari, della promulgazione del capo dello Stato, del visto di legittimità della Consulta. Risultato: se il secondo millennio si è chiuso all’insegna della delegificazione, il terzo ha inaugurato l’epoca della rilegificazione".
Secondo il costituzionalista (il titolo dell'editoriale è "Troppe leggi poche regole") per non annegare nell'oceano delle leggi, sono necessarie delle immediate riforme per scardinare un paradosso tutto nostrano nel quale "l’Italia delle troppe leggi è un Paese senza legge. Perché nel diritto, così come nella vita, dal pieno nasce un vuoto. Se ti martellano troppe informazioni t’ubriachi, e alla fine resti senza informazioni. Se la legislazione forma una galassia, nessuna astronave potrà esplorarla per intero. E il cittadino sarà solo, ignaro dei propri poteri, alla mercé d ’ogni sopruso. Succede quando nel diritto amministrativo tutto è legge, quando nel diritto penale tutto è processo. Sicché cresce la discrezionalità di giudici e burocrati: sono loro, soltanto loro, a scegliere la stella che brillerà davanti al tuo portone".
Non è soltanto un problema d'interessi singoli, partitocratici o di lobby radicate nei centri di potere.
Né Bassanini nel 1997 (ed eravamo nella gestione da "sinistra") né Calderoli nel 2010 (ed eravamo nella gestione da "destra") è riuscito a riformare la burocrazia del bel paese.
L'intento è stato sempre lo stesso: fare di tutto per rendere lo Stato più leggero. Meno ministeri, meno enti inutili, più autonomia per le Regioni e per le scuole.
La legge del ministro Bassanini prevedeva sin dal titolo gli intenti da promuovere: "Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo". Il governo Berlusconi IV nel 2010 decise di creare, addirittura, un Ministero per la Semplificazione e l'incarico di gestirlo fu affidato a Roberto Calderoli. Anche in questo secondo caso i risultati non sono stati certo brillanti e, quindi, non si può che concordare con quanto scritto di recente da Michele Ainis (Corriere della Sera del 30 12 2013): "il male è il troppo diritto che ci portiamo in groppa, e dato che per noi asinelli cambia poco se a spezzarci la schiena è una norma regolamentare anziché legislativa. Ma almeno i regolamenti sono flessibili, rapidi da approvare così come da abrogare. Se invece confezioni il prosciutto in una legge, per sconfezionarlo avrai bisogno del voto di mille parlamentari, della promulgazione del capo dello Stato, del visto di legittimità della Consulta. Risultato: se il secondo millennio si è chiuso all’insegna della delegificazione, il terzo ha inaugurato l’epoca della rilegificazione".
Secondo il costituzionalista (il titolo dell'editoriale è "Troppe leggi poche regole") per non annegare nell'oceano delle leggi, sono necessarie delle immediate riforme per scardinare un paradosso tutto nostrano nel quale "l’Italia delle troppe leggi è un Paese senza legge. Perché nel diritto, così come nella vita, dal pieno nasce un vuoto. Se ti martellano troppe informazioni t’ubriachi, e alla fine resti senza informazioni. Se la legislazione forma una galassia, nessuna astronave potrà esplorarla per intero. E il cittadino sarà solo, ignaro dei propri poteri, alla mercé d ’ogni sopruso. Succede quando nel diritto amministrativo tutto è legge, quando nel diritto penale tutto è processo. Sicché cresce la discrezionalità di giudici e burocrati: sono loro, soltanto loro, a scegliere la stella che brillerà davanti al tuo portone".
Canzone del giorno: Too Much Love Will Kill You (1995) - Queen
Clicca e ascolta: Too Much....
“Troppe leggi poche regole”, di Michele Ainis
La madre dei cretini è sempre incinta, diceva Flaiano. Anche la patria del diritto, però , farebbe bene usare qualche pilloletta anticoncezionale. Perché le sue creature sono troppe, e ciascuna indossa l’ermellino di Sua Maestà la Legge. Abbiamo in circolo leggi sui tosaerba, sulle camicie da notte, sulle galline, sui pedaggi stradali dei camionisti. Il virus legificatore ha contagiato pure i prosciutti, con tre leggi sul San Daniele (rispettivamente del 1970 , del 1990 , del 1999) e un’altra sul pignoramento dei prosciutti (vi si provvede «con l’apposizione sulla coscia di uno speciale contrassegno indelebile»: legge n. 401 del 1985).
Tuttavia non basta, non basta mai. E il parapiglia normativo che s’è scatenato attorno al decreto salva Roma ne è solo l’ultima esibizione: regole sulle lampade a incandescenza, sulle slot machine, sui chioschi in spiaggia, sulle sigarette elettroniche. Non regole qualunque, no: regole di legge.
Quelle che Calderoli, nel 2010, finse di bruciare col suo lanciafiamme spento.
Quelle che Bassanini, nel 1997, voleva eliminare attraverso un ampio processo di delegificazione, rimpiazzandole con altrettanti regolamenti. Senza curare il male alla radice, dato che il male è il troppo diritto che ci portiamo in groppa, e dato che per noi asinelli cambia poco se a spezzarci la schiena è una norma regolamentare anziché legislativa. Ma almeno i regolamenti sono flessibili, rapidi da approvare così come da abrogare. Se invece confezioni il prosciutto in una legge, per sconfezionarlo avrai bisogno del voto di mille parlamentari, della promulgazione del capo dello Stato, del visto di legittimità della Consulta.
Risultato: se il secondo millennio si è chiuso all’insegna della delegificazione, il terzo ha inaugurato l’epoca della rilegificazione. Magari con meno provvedimenti rispetto alla prima legificazione (negli anni Sessanta le Camere approvavano una legge al giorno, escluse le domeniche), tuttavia con provvedimenti più corposi, ciascuno gonfio come un panettone. E con una pletora di norme astruse, di ridondanze, di strafalcioni sintattici e giuridici. La qualità della nostra legislazione è peggiorata, come no. Anche la quantità, però: nel 1962 le 437 leggi decise in Parlamento sviluppavano 2 milioni di caratteri; nel 2012 le leggi sono state 101, ma i caratteri sono diventati 2,6 milioni.
Da qui un paradosso: l’Italia delle troppe leggi è un Paese senza legge. Perché nel diritto, così come nella vita, dal pieno nasce un vuoto. Se ti martellano troppe informazioni t’ubriachi, e alla fine resti senza informazioni.
Se la legislazione forma una galassia, nessuna astronave potrà esplorarla per intero. E il cittadino sarà solo, ignaro dei propri poteri, alla mercé d ’ogni sopruso. Succede quando nel diritto amministrativo tutto è legge, quando nel diritto penale tutto è processo. Sicché cresce la discrezionalità di giudici e burocrati: sono loro, soltanto loro, a scegliere la stella che brillerà davanti al tuo portone.
Ma c’è una causa sistemica dietro l’esplosione del sistema. Difatti se la legge elettorale genera coalizioni ballerine, se in Parlamento i numeri sono risicati, ciascuno diventa indispensabile, e allora potrà imporre il proprio comandamento, pardon, emendamento. Se l’autobus legislativo fa troppe fermate tra Camera e Senato, finirà per imbarcare troppi viaggiatori, pardon, legislato r i . Servono riforme, in conclusione. Altrimenti annegheremo tutti nell’oceano delle leggi.
Tuttavia non basta, non basta mai. E il parapiglia normativo che s’è scatenato attorno al decreto salva Roma ne è solo l’ultima esibizione: regole sulle lampade a incandescenza, sulle slot machine, sui chioschi in spiaggia, sulle sigarette elettroniche. Non regole qualunque, no: regole di legge.
Quelle che Calderoli, nel 2010, finse di bruciare col suo lanciafiamme spento.
Quelle che Bassanini, nel 1997, voleva eliminare attraverso un ampio processo di delegificazione, rimpiazzandole con altrettanti regolamenti. Senza curare il male alla radice, dato che il male è il troppo diritto che ci portiamo in groppa, e dato che per noi asinelli cambia poco se a spezzarci la schiena è una norma regolamentare anziché legislativa. Ma almeno i regolamenti sono flessibili, rapidi da approvare così come da abrogare. Se invece confezioni il prosciutto in una legge, per sconfezionarlo avrai bisogno del voto di mille parlamentari, della promulgazione del capo dello Stato, del visto di legittimità della Consulta.
Risultato: se il secondo millennio si è chiuso all’insegna della delegificazione, il terzo ha inaugurato l’epoca della rilegificazione. Magari con meno provvedimenti rispetto alla prima legificazione (negli anni Sessanta le Camere approvavano una legge al giorno, escluse le domeniche), tuttavia con provvedimenti più corposi, ciascuno gonfio come un panettone. E con una pletora di norme astruse, di ridondanze, di strafalcioni sintattici e giuridici. La qualità della nostra legislazione è peggiorata, come no. Anche la quantità, però: nel 1962 le 437 leggi decise in Parlamento sviluppavano 2 milioni di caratteri; nel 2012 le leggi sono state 101, ma i caratteri sono diventati 2,6 milioni.
Da qui un paradosso: l’Italia delle troppe leggi è un Paese senza legge. Perché nel diritto, così come nella vita, dal pieno nasce un vuoto. Se ti martellano troppe informazioni t’ubriachi, e alla fine resti senza informazioni.
Se la legislazione forma una galassia, nessuna astronave potrà esplorarla per intero. E il cittadino sarà solo, ignaro dei propri poteri, alla mercé d ’ogni sopruso. Succede quando nel diritto amministrativo tutto è legge, quando nel diritto penale tutto è processo. Sicché cresce la discrezionalità di giudici e burocrati: sono loro, soltanto loro, a scegliere la stella che brillerà davanti al tuo portone.
Ma c’è una causa sistemica dietro l’esplosione del sistema. Difatti se la legge elettorale genera coalizioni ballerine, se in Parlamento i numeri sono risicati, ciascuno diventa indispensabile, e allora potrà imporre il proprio comandamento, pardon, emendamento. Se l’autobus legislativo fa troppe fermate tra Camera e Senato, finirà per imbarcare troppi viaggiatori, pardon, legislato r i . Servono riforme, in conclusione. Altrimenti annegheremo tutti nell’oceano delle leggi.
Il Corriere della Sera 30.12.13