nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

martedì 14 ottobre 2025

L'umanità dopo l'odio

Penso che la sinistra e tutti i sostenitori della causa palestinese, abbandonando ogni complesso di inferiorità, debbano dire immediatamente che la tregua in atto tra Israele e Palestina è cosa buona e giusta e che — per realizzarla — il ruolo di Donald Trump è stato determinante. È un dovere elementare verso la verità storica, ma non solo: è anche un'importante questione morale. La guerra, ovvero la più tragica invenzione dell'umanità, esige intelligenza e coscienza. E comporta un processo, faticoso e doloroso, di assunzione di responsabilità. Se, dunque, l'azione di Trump per imporre il cessate il fuoco è stata decisiva, enormi restano le sue responsabilità: nell'aver consentito che l'azione efferata di Israele proseguisse fino a oggi e persino oltre oggi; e nell'aver sostenuto incondizionatamente i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità commessi dall'Idf; e nell'aver promosso, sul piano internazionale, una militarizzazione delle relazioni tra i popoli, esaltandone la componente bellica, come mai in questo scorcio di secolo: fino al punto di mutare il nome del Dipartimento "della difesa", in quello "della guerra". Ma proprio perché questa è una giornata storica e un'occasione di gioia, oltre che di lutto, di salvezza e non solo di pianto, è forse utile guardare più a fondo dentro le cose. Nessuno può sapere come la situazione, in Palestina, evolverà osi degraderà: si può essere solo felici delle vite risparmiate e delle sofferenze alleviate in questo lasso di tempo presente, ma sulla lunga gittata è difficile essere ottimisti. È possibile che la prospettiva di due popoli e due Stati e quella, ancora più auspicabile, di uno Stato federale per israeliani e palestinesi riprenda, magari lentissimamente, ma riprenda. Eppure, il fuoco che brucia nel sottosuolo di quella terra è tutt'altro che spento. […] La guerra è il momento in cui la competizione e la rivalità tra gli esseri umani perdono ogni capacità di mediazione e di compromesso, rinunciano alla politica e alla diplomazia, per farsi violenza assoluta. È il momento in cui l'avversario diventa nemico e l'oggetto della contesa è l'annientamento dell'altro. La sua, alla lettera, cancellazione. L'odio trova la sua forma perfetta e il suo perfetto bersaglio. La crudeltà di quel conflitto si fa tanto più acuta quanto più si manifesta come guerra fratricida. E, allora, pochi sembrano ricordare che ebrei e arabi sono entrambi popoli semiti, appartenenti al medesimo ceppo linguistico. E che, come scrivono alcuni autorevoli storici israeliani, quell'eterno scontro tra gli uni e gli altri può essere interpretato come una guerra civile prolungata. Tanto più che, come in tutti i conflitti all'ultimo sangue, la posta in gioco è il controllo del territorio — un territorio assai scarso — e la demografia è destinata a giocare un ruolo cruciale. E già si parla di "guerra civile" feroce ma incruenta all'interno di Israele e di guerra civile feroce e cruenta in Palestina, dove i miliziani di Hamas continuano a fare strage di oppositori. […] L'uomo contemporaneo, dopo Dostoevslujj e dopo Nietzsche, non può non avere una concezione tragica dell'esistenza. Non può immaginare un mondo pacificato e in armonia, anche se è assai prezioso il fatto che tantissimi lo desiderino e operino per approssimarlo. Dubito che l'umanità possa mettere al bando l'odio, ma la mobilitazione collettiva, il dolore comune, l'ira dei miti, le flottiglie e quella cara vecchia manifestazione di massa, che tanto ha fatto contro l'ingiustizia, e che oggi si presenta nelle piazze europee e in quelle di Tel Aviv, continuano a rappresentare «la seconda superpotenza mondiale».

Luigi Manconi, Repubblica (14/10/2025)

Canzone del giorno: Last Leaf (2011) - Tom Waits
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sabato 11 ottobre 2025

Ritorno a casa

Solo tre settimane fa, questa moltitudine di persone marciava in senso opposto: da nord verso sud. Avevano detto: «Evacuate tutti, qui radiamo al suolo». Così, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini di Gaza City e dintorni si erano messi in cammino per sfuggire alla devastazione delle bombe dell’esercito israeliano che aveva l’ordine di occupare la città più grande della Striscia. Poco dopo le 12 di venerdì, il portavoce dei militari che da due anni parla alla popolazione palestinese, Avichay Adraee, ha dato l’annuncio che tutti aspettavano: «Comunicazione urgente ai residenti riguardo al cessate il fuoco, entrato in vigore. È consentito muoversi da sud a nord della Striscia di Gaza attraverso la Rashid Road e la Salah al-Din Road. Avvertiamo che nel nord è estremamente pericoloso avvicinarsi alle zone di Beit Hanoun, Beit Lahia, Sheja’iyya e alle aree di schieramento delle truppe». Qualcuno si è preso il tempo di impacchettare i materassi, le coperte e qualche vestito. Ma tanti, tantissimi, sono partiti a piedi, con solo uno zaino in spalla, per andare a vedere che cosa è rimasto della casa, del quartiere, della vita passata. Ali Tayeh è uno di questi. Da Gaza City, è arrivato al campo profughi di Al Mawasi solo dieci giorni fa. Ha perso la casa in un bombardamento, ma nei mesi passati si era costruito un rifugio in lamiera nella zona est della città, per lui, sua moglie e i suoi figli. Venerdì, dice, «sono partito da solo perché voglio capire se la nostra casetta di latta è ancora su. Voglio sistemarla e poi andare a prendere la mia famiglia». A piedi, Al Mawasi-Gaza City via Rashid Road, la strada lungo la costa, fa circa sei ore. Ma non importa. […] Ma perché tornare se la distruzione è quasi totale, chiediamo. «La terra, la casa, per noi palestinesi sono tutto», risponde Sami Abu Omar, che non riesce ancora a lasciare Al Mawasi perché la sua villetta a Khan Younis si trova al di là della linea gialla, dove ancora controlla l’esercito israeliano. Aiamarin dice: «Loro buttano giù, noi ricostruiamo». E deve essere proprio questo il significato della parola Sumud che abbiamo imparato nelle ultime settimane con la flottiglia. Si dice che sia un termine difficile da tradurre, che in arabo vuole dire un po’ fermezza, un po’ perseveranza, ma anche resilienza e resistenza. Questo rimettersi in marcia per la quinta, sesta, settima volta nonostante la distruzione di palazzi e vite, è la forza del popolo palestinese. «Lasciano la tenda a sud per andare in una tenda a nord, ma almeno vicino alle macerie delle loro case», dice la giornalista Salma Kaddoumi. Perché è da lì che vogliono ricominciare. 

Greta Privitera, Corriere della Sera (11/10/2025)

Canzone del giorno: Sailing Homeward (1973) - Donovan
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giovedì 9 ottobre 2025

Memoria pluriennale

All’età di 62 anni, posso sostenere, senza temere smentite, che i problemi scottanti di oggi sono gli stessi di quando ero bambina. Questioni cruciali, vecchie e nuove, tutte lì sul tavolo, irrisolte e irrisolvibili. Una politica invischiata e succube di poteri, i cui interessi sono contrapposti a quelli della gente comune, non poteva e non può fare altrimenti. Ricordo che da piccola, quando non volevo finire di mangiare, mi dicevano di pensare ai bambini che nel mondo morivano di fame. Ricordo anche che difronte alle immagini televisive di carestie e bambini evidentemente malnutriti, sentivo parlare di un terzo mondo sfruttato senza scrupoli, a nostro esclusivo vantaggio. Ricordo lo sconcerto della mia famiglia per la guerra in Vietnam. Terribili le immagini della televisione di allora. Più da grandicella, ricordo mio babbo, persona umile, scolarizzato fino alla quinta elementare, ma lettore accanito, che diceva: “Israele tira le bombe sui palestinesi e loro le pietre, come può essere giusto?”. Una constatazione semplice e genuina datata mezzo secolo, evidentemente ancora fin troppo attuale. Ricordo la crisi petrolifera. La circolazione a targhe alterne e i piazzali dei rivenditori di carburante stipati di gente con in braccio taniche da riempire. Ricordo le stragi neofasciste e gli attentati delle Brigate rosse. Ricordo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e le numerose e partecipate manifestazioni di piazza. Anni dopo, nel 1992, ricordo l’attentato ai giudici Falcone e Borsellino e le contestazioni di massa contro la mafia. Ho memoria pluriennale di una politica millantatrice seriale che spaccia per vera la volontà di riformare la giustizia e il sistema carcerario, di investire sulla sanità pubblica, scuola e ricerca, sul lavoro e sui giovani, di combattere la corruzione e l’evasione fiscale. Ho memoria pluriennale di una politica che con le sue scelte deride i morti sul lavoro, i poveri, i disoccupati, gli immigrati morti in mare o nei lager libici, chi deve lasciare la casa dove abita perché non può pagare un canone di affitto diventato insostenibile e i morti per mano della mafia. Ho memoria pluriennale di una politica che dice di voler contrastare l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani, e poi fa di tutto per rendere impossibile la vita in certe parti del mondo. Ho memoria pluriennale di una politica che dice di voler risolvere l’emergenza abitativa e poi azzera l’edilizia popolare a fronte, invece, di un aumento esponenziale del disagio sociale ed economico, innescando così anche l’emergenza dell’occupazione abusiva. Ho memoria pluriennale di una politica che vanta di voler porre rimedio alle condizioni carcerarie italiane e che invece continua a tenere i detenuti stipati in celle anguste e sovraffollate, come se fosse vietato costruire nuove carceri o ristrutturare edifici esistenti. Un dramma che ad ogni estate diventa un bocconcino appetibile per una politica senza scrupoli disposta a lucrare su tanta disperazione. Così ogni anno parte immancabile il toto indulti e scarcerazioni anticipate, badando bene di inserire nella casistica individuata “detenuti di pregio”, o potenziali tali. Ho memoria pluriennale di governanti che predicano la pace, mentre trafficano armi e fanno guerre, e di governanti che, mentre dicono di voler sconfiggere la fame nel mondo, scongiurare carestie e siccità e di lavorare a favore di un’immigrazione frutto della cooperazione internazionale, sfruttano senza riserve quei popoli e le loro terre. Ho memoria pluriennale di una politica che finge di adoperarsi per un’energia pulita e sostenibile e per risollevare il pianeta da un inquinamento ormai fuori controllo. Insomma, decenni e decenni passati invano, pur di soddisfare biechi interessi. Ma pure una classe politica tanto inetta che fa della corruttela un sistema di riferimento in qualcosa è riuscita. Ha cambiato noi, inducendoci alla resa.

Susanna Stacchini, Il Fatto quotidiano (5/9/2025)

Canzone del giorno: Memory Like That (2002) - Adam Gregory
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martedì 7 ottobre 2025

Nulla salus bello


"Nulla salus bello: pacem te poscimus omnes"

Non c'è salvezza alcuna nella guerra: pace, noi tutti ti invochiamo

Publio Virgilio Marone, Eneide (Libro XI, 362)


Canzone del giorno: War (1976) - Bob Marley & The Wailers
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sabato 4 ottobre 2025

Oltre le bandiere

C’è qualcosa che fa male al cuore in queste ore mentre si seguono le gesta della Flottiglia, la conclusione prevedibile e attesa del suo navigare in acque agitate e le reazioni all’abbordaggio israeliano, le piazze che in Italia si riscaldano, la lotta politica che ritrova il passo abituale della contrapposizione e delle strumentalizzazioni. Fa male perché c’è un dolore di fondo che nasce dalla sofferenza oggettiva e reale di persone e popoli, di bambini e famiglie, ma anziché di lacrime gli occhi si gonfiano di rabbia e di sangue, e le istanze di giustizia faticano a trovare percorsi di sostegno autentici, canali di aiuto capaci di restituire la speranza di un approdo. La natura di questo conflitto tra Israele e Hamas, con il male che sta diffondendo, sembra aver consumato fino a lasciare scoperti i fili di trasmissione di quel poco di umanità che resta, e il rischio di cortocircuito compromette ogni tentativo di accendere un sano confronto, anche tra amici, tra colleghi, in famiglia. Non dovrebbe essere così quando c’è una guerra. Le persone dovrebbero poter provare compassione, parlarne, organizzarsi, inviare aiuti, spendersi in prima persona, ritrovarsi nelle piazze, conoscere un’occasione di confronto politico ampio, che è diverso dal replicare in casa la dinamica stessa del conflitto. Le istanze di pace si nutrono di una grammatica ancora ben leggibile, ma fatichiamo a ritrovarle quale costante, cioè cifra prevalente. Certo, l’occasione è grande. C’è in Italia un governo di destra-centro, e si attraversa una fase in cui le destre e le sinistre globali sono tornate a sfidarsi in campo aperto, un terreno di riarmo planetario tale per cui pronunciare la parola pace è come emettere un sospiro terminale. La strumentalizzazione è possibile, c’è, si tocca con mani, ma è persino scontata. Come potrebbe non esserci se la politica tutta tentenna nel leggere la novità di un conflitto in cui le istanze di giustizia e di vicinanza alla sofferenza non riescono a indirizzarsi nei canali di sempre? Perché c’è nel Dna italiano qualcosa che è un di più, una capacità di aiutare e di spendersi per le sofferenze, una forza che può anche avere appartenenza politica. E nasce innanzitutto da una rete di base fatta di comitati, associazioni, organizzazioni, gruppi, realtà di impegno civile, il nostro mai abbastanza celebrato Terzo settore o Non profit, un universo di persone nelle quali batte forte un cuore, e questo pulsare serve a muovere gambe e braccia, in un impegno che genera solidarietà, cultura ed economia. Ci sarà, insomma, anche una contrapposizione strumentale in atto, in tanti ambiti, ma saper mantenere separati i piani oggi è fondamentale, come capire la differenza tra Israele ed ebrei, tra palestinesi e Hamas. Si ricordava, in questi giorni, discutendo di Flottiglia, la “nave dei folli”, quella che il 7 dicembre 1992 partì dal porto di Ancona con 496 persone dirette a Sarajevo, tra le quali don Tonino Bello, che cinque giorni dopo terrà un discorso memorabile nella capitale bosniaca assediata dall’esercito serbo. L’ex Jugoslavia era qui, vicinissima: il 29 maggio 1993 un convoglio di aiuti umanitari partito da Brescia venne assalito da un’unità paramilitare bosniaca e tre giovani pacifisti italiani, Sergio Lana, Guido Puletti, Fabio Moreni, persero la vita. Tempi lontani, certo, paragoni improponibili: ma ce ne ricordiamo? Riusciamo a fare memoria di chi siamo nel profondo, o anche di cosa siamo stati, quando cerchiamo di dare forma o senso a uno sforzo umanitario, incasellandolo in appartenenze, tifoserie, convenienze, o lotte politiche? È questo che fa male, oggi, l’aiuto “a perdere”. L’impegno ha bisogno di spazi per esprimersi, più che di bandiere, fumogeni, plexiglass e sampietrini, ma anche di occasioni di ascolto. Forse è mancato il contesto, o la lucidità, per renderlo possibile. Siamo in tempo per non lasciare che il desiderio di rivalsa reciproca degeneri in uno scontro del quale non c’è bisogno, ma che pure talune frange contrapposte alimentano e desiderano, quasi non aspettassero altro da tempo. Non ne hanno bisogno le famiglie che soffrono veramente - in questo momento in particolare a Gaza, certo anche nelle tante, troppe altre guerre - e non lo vuole chi sa che cosa significhi veramente compromettersi per la pace. L’Italia, in fondo, è molto di più della rappresentazione in corso.

Massimo Calvi, Avvenire (3/10/2025)

Canzone del giorno: Beyond The Horizon (2006) - Bob Dylan
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giovedì 2 ottobre 2025

Bussola

Altan, da google.it

















Canzone del giorno: One More River to Cross (1973) - Canned Heat
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mercoledì 1 ottobre 2025

Playlist Settembre 2025

     1.      Tom Grennan, Full Attention – (Everywhere I Went… – 2025) – Frammentazione

2.      ZZ Top, Delirious – (Afterburner – 1985) – Medioevo

3.      Tony Bennett, I Remember You – (The Art Of Romance – 2004) – L’eleganza

4.      Negramaro, Mentre tutto scorre – (Mentre tutto scorre – 2005) – Aggrapparsi

5.      Elton John, The Wide-Eyed And Laughing – (Blue Moves – 1976) – Deridere

6.      Dave Mason, Show Me Some Affection – (Dave Mason – 1974) – Criptovalute

7.      Vasco Rossi, Un senso – (Buoni o cattivi – 2004) – Senso unico

8.      Mimmo Locasciulli, L’amore dov’è – (Dove lo sguardo si perde – 2025) – Due Stati al capolinea

9.      King Crimson, 21st Century Schizoid Man – (In the Court of the Crimson King – 1969) – 21st Century Schizoid Man

10.   Colplay, All My Love – (Moon Music – 2024) – Che sia l’amore

11.   Genesis, The Lamia – (The Lamb Lies Down on Broadway – 1974) – The Lamb…

12.   Charlie Musselwhite, Sad Eyes – (Look Out Highway – 2025) – I corpi invisibili degli ostaggi

13.   Albert Collins, The Shoe On The Other Foot – (Iceman – 1991) – Apprendere