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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 11 ottobre 2025

Ritorno a casa

Solo tre settimane fa, questa moltitudine di persone marciava in senso opposto: da nord verso sud. Avevano detto: «Evacuate tutti, qui radiamo al suolo». Così, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini di Gaza City e dintorni si erano messi in cammino per sfuggire alla devastazione delle bombe dell’esercito israeliano che aveva l’ordine di occupare la città più grande della Striscia. Poco dopo le 12 di venerdì, il portavoce dei militari che da due anni parla alla popolazione palestinese, Avichay Adraee, ha dato l’annuncio che tutti aspettavano: «Comunicazione urgente ai residenti riguardo al cessate il fuoco, entrato in vigore. È consentito muoversi da sud a nord della Striscia di Gaza attraverso la Rashid Road e la Salah al-Din Road. Avvertiamo che nel nord è estremamente pericoloso avvicinarsi alle zone di Beit Hanoun, Beit Lahia, Sheja’iyya e alle aree di schieramento delle truppe». Qualcuno si è preso il tempo di impacchettare i materassi, le coperte e qualche vestito. Ma tanti, tantissimi, sono partiti a piedi, con solo uno zaino in spalla, per andare a vedere che cosa è rimasto della casa, del quartiere, della vita passata. Ali Tayeh è uno di questi. Da Gaza City, è arrivato al campo profughi di Al Mawasi solo dieci giorni fa. Ha perso la casa in un bombardamento, ma nei mesi passati si era costruito un rifugio in lamiera nella zona est della città, per lui, sua moglie e i suoi figli. Venerdì, dice, «sono partito da solo perché voglio capire se la nostra casetta di latta è ancora su. Voglio sistemarla e poi andare a prendere la mia famiglia». A piedi, Al Mawasi-Gaza City via Rashid Road, la strada lungo la costa, fa circa sei ore. Ma non importa. […] Ma perché tornare se la distruzione è quasi totale, chiediamo. «La terra, la casa, per noi palestinesi sono tutto», risponde Sami Abu Omar, che non riesce ancora a lasciare Al Mawasi perché la sua villetta a Khan Younis si trova al di là della linea gialla, dove ancora controlla l’esercito israeliano. Aiamarin dice: «Loro buttano giù, noi ricostruiamo». E deve essere proprio questo il significato della parola Sumud che abbiamo imparato nelle ultime settimane con la flottiglia. Si dice che sia un termine difficile da tradurre, che in arabo vuole dire un po’ fermezza, un po’ perseveranza, ma anche resilienza e resistenza. Questo rimettersi in marcia per la quinta, sesta, settima volta nonostante la distruzione di palazzi e vite, è la forza del popolo palestinese. «Lasciano la tenda a sud per andare in una tenda a nord, ma almeno vicino alle macerie delle loro case», dice la giornalista Salma Kaddoumi. Perché è da lì che vogliono ricominciare. 

Greta Privitera, Corriere della Sera (11/10/2025)

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