C’è qualcosa che fa male al cuore in queste ore mentre si seguono le gesta della Flottiglia, la conclusione prevedibile e attesa del suo navigare in acque agitate e le reazioni all’abbordaggio israeliano, le piazze che in Italia si riscaldano, la lotta politica che ritrova il passo abituale della contrapposizione e delle strumentalizzazioni. Fa male perché c’è un dolore di fondo che nasce dalla sofferenza oggettiva e reale di persone e popoli, di bambini e famiglie, ma anziché di lacrime gli occhi si gonfiano di rabbia e di sangue, e le istanze di giustizia faticano a trovare percorsi di sostegno autentici, canali di aiuto capaci di restituire la speranza di un approdo. La natura di questo conflitto tra Israele e Hamas, con il male che sta diffondendo, sembra aver consumato fino a lasciare scoperti i fili di trasmissione di quel poco di umanità che resta, e il rischio di cortocircuito compromette ogni tentativo di accendere un sano confronto, anche tra amici, tra colleghi, in famiglia. Non dovrebbe essere così quando c’è una guerra. Le persone dovrebbero poter provare compassione, parlarne, organizzarsi, inviare aiuti, spendersi in prima persona, ritrovarsi nelle piazze, conoscere un’occasione di confronto politico ampio, che è diverso dal replicare in casa la dinamica stessa del conflitto. Le istanze di pace si nutrono di una grammatica ancora ben leggibile, ma fatichiamo a ritrovarle quale costante, cioè cifra prevalente. Certo, l’occasione è grande. C’è in Italia un governo di destra-centro, e si attraversa una fase in cui le destre e le sinistre globali sono tornate a sfidarsi in campo aperto, un terreno di riarmo planetario tale per cui pronunciare la parola pace è come emettere un sospiro terminale. La strumentalizzazione è possibile, c’è, si tocca con mani, ma è persino scontata. Come potrebbe non esserci se la politica tutta tentenna nel leggere la novità di un conflitto in cui le istanze di giustizia e di vicinanza alla sofferenza non riescono a indirizzarsi nei canali di sempre? Perché c’è nel Dna italiano qualcosa che è un di più, una capacità di aiutare e di spendersi per le sofferenze, una forza che può anche avere appartenenza politica. E nasce innanzitutto da una rete di base fatta di comitati, associazioni, organizzazioni, gruppi, realtà di impegno civile, il nostro mai abbastanza celebrato Terzo settore o Non profit, un universo di persone nelle quali batte forte un cuore, e questo pulsare serve a muovere gambe e braccia, in un impegno che genera solidarietà, cultura ed economia. Ci sarà, insomma, anche una contrapposizione strumentale in atto, in tanti ambiti, ma saper mantenere separati i piani oggi è fondamentale, come capire la differenza tra Israele ed ebrei, tra palestinesi e Hamas. Si ricordava, in questi giorni, discutendo di Flottiglia, la “nave dei folli”, quella che il 7 dicembre 1992 partì dal porto di Ancona con 496 persone dirette a Sarajevo, tra le quali don Tonino Bello, che cinque giorni dopo terrà un discorso memorabile nella capitale bosniaca assediata dall’esercito serbo. L’ex Jugoslavia era qui, vicinissima: il 29 maggio 1993 un convoglio di aiuti umanitari partito da Brescia venne assalito da un’unità paramilitare bosniaca e tre giovani pacifisti italiani, Sergio Lana, Guido Puletti, Fabio Moreni, persero la vita. Tempi lontani, certo, paragoni improponibili: ma ce ne ricordiamo? Riusciamo a fare memoria di chi siamo nel profondo, o anche di cosa siamo stati, quando cerchiamo di dare forma o senso a uno sforzo umanitario, incasellandolo in appartenenze, tifoserie, convenienze, o lotte politiche? È questo che fa male, oggi, l’aiuto “a perdere”. L’impegno ha bisogno di spazi per esprimersi, più che di bandiere, fumogeni, plexiglass e sampietrini, ma anche di occasioni di ascolto. Forse è mancato il contesto, o la lucidità, per renderlo possibile. Siamo in tempo per non lasciare che il desiderio di rivalsa reciproca degeneri in uno scontro del quale non c’è bisogno, ma che pure talune frange contrapposte alimentano e desiderano, quasi non aspettassero altro da tempo. Non ne hanno bisogno le famiglie che soffrono veramente - in questo momento in particolare a Gaza, certo anche nelle tante, troppe altre guerre - e non lo vuole chi sa che cosa significhi veramente compromettersi per la pace. L’Italia, in fondo, è molto di più della rappresentazione in corso.
Massimo Calvi, Avvenire (3/10/2025)
Canzone del giorno: Beyond The Horizon (2006) - Bob Dylan
Clicca e ascolta: Beyond....