nuovigiorni

"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

martedì 29 aprile 2025

Ragazzi allo sbando

Eravamo ancora addolorati per la dipartita di papa Francesco quando siamo stati raggiunti dall’ assurda notizia della strage di Monreale. Tre giovani uccisi e altri feriti, in piazza, per banali, banalissimi motivi. Una lite scoppiata tra giovani senza quasi un movente degno di questo nome. Una lite da stroncare sul nascere. Invece, Salvatore, un giovane, da un solo anno maggiorenne, insieme a un amico, incapaci di gestire quella che hanno ritenuta essere un’offesa imperdonabile, incapaci di esercitare anche in minima parte la virtù della prudenza, fagocitati da quel maledetto delirio di onnipotenza che danno le armi quando vengono impugnate, hanno fatto una strage. A pochi passi di una delle meraviglie del mondo, quel Duomo normanno, patrimonio dell’umanità, i cui mosaici bizantini, di una bellezza più unica che rara, mandano in visibilio milioni di persone che da ogni parte del mondo vengono a contemplarli. Chissà se gli assassini abbiano mai passeggiato con il naso all’insù sotto quelle navate. Non aveva ancora 20 anni, Salvatore, le vecchie guerre di mafia, quindi, le conosceva solo per sentito dire. Ne era rimasto ammaliato o orripilato? […] A Monreale fu ucciso, nel 1980, proprio durante la festa del Crocifisso il capitano Emanuele Basile, un ufficiale di 30 anni. Da ieri questa città bella e sfortunata è ritornata agli onori della cronaca nera, dopo l’uccisione di Andrea, Massimo, Salvatore. Sgomento in tutta la città. Chi era il giovanotto arrestato che ha seminato terrore e sangue? Viene da uno dei quartieri problematici di Palermo, lo Zen. L’acronimo “Zen” sta per Zona Espansione Nord, un quartiere periferico senza nemmeno un nome. Pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio da un mio confratello, parroco in uno di queste zone, che mi ringraziava perché il “Modello Caivano” aveva fatto arrivare anche nella sua periferia un po' di soldini con cui correre ai ripari degli scempi perpetuati negli anni. Sono stato contento. Lunedì scorso. Ho appena fatto ritorno da una scuola di Avellino, dove sono stato invitato a parlare agli studenti. Legalità, azzardo, bullismo, alcool, droghe, gioia di impegnarsi, valori. Occorre informare e formare i ragazzi. Non è facile, alla radice dei più ribelli e problematici, il più delle volte, manca la famiglia, prima comunità in cui si impara il rispetto e l’amore per se stessi e per gli altri. Anche noi formatori non sempre siamo all’altezza della missione. I ragazzi occorre innanzitutto amarli. Le città – tutte le nostre città – devono convincersi che o si avanza tutti insieme oppure continueremo a lamentarci. È del tutto inutile fuggire verso lidi ameni se lasciamo a se stessi i quartieri degradati; è del tutto inutile far studiare i figli nei migliori atenei, se non ci preoccupiamo anche dei ragazzi allo sbando. Si avanza insieme. Non sia mai detto abbastanza: si avanza insieme.

Don Maurizio Patriciello, Avvenire (28/4/2025) 

Canzone del giorno: Emptiness (2004) - John Frusciante
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domenica 27 aprile 2025

In dentro

I maschi? A sessant'anni tirano ancora in dentro la pancia quando passa una ventenne. E poi ti dicono: “Hai visto che mi ha guardato?”. Non ti ha guardato. Ti ha schivato! Che senza occhiali le stavi andando addosso, pirla!

Luciana Littizzetto, L'incredibile Urka, 2014



Canzone del giorno: Un uomo ridicolo (1994) - Massimo Bubola
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venerdì 25 aprile 2025

Angoli del mondo

MARE

Di tutti gli angoli del mondo

Amo con amore più forte e più profondo

Quella spiaggia estasiata e nuda

Dove mi unì al mare, al vento e alla luna.


Sophia de Mello Breyner Andresen (Porto 1919 - Lisbona 2004), poetessa portoghese


Canzone del giorno: Mareluna (2001) - Pino Daniele
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martedì 22 aprile 2025

Il cuore di Bergoglio

Wojtyla l’anima, Ratzinger la mente, Bergoglio il cuore. Lo Spirito Santo sembrava aver compiuto la ricognizione finale della figura del sommo pontefice completando la terna dei tre Papi della contemporaneità, il 13 marzo 2013, mentre si spalancavano i finestroni della loggia di San Pietro su quell’uomo di 76 anni vestito con i paramenti sacri che procedeva lentamente, e si presentò ai fedeli con un saluto laico e familiare, niente affatto solenne o rituale: «Buonasera». Veniva davvero «quasi dalla fine del mondo», come disse lui stesso, dall’America Latina che non aveva ancora eletto nessun pontefice, da una biografia italo-argentina comune a tante storie di miseria, emigrazione, avventura e lavoro, da un cristianesimo fortemente legato alla vita del popolo più che alle formule e ai precetti della Chiesa, da una parte del pianeta che voleva finalmente contare rompendo dopo 1300 anni l’eterno appannaggio europeo nella designazione papale: prendendo atto che il comunismo e il fascismo erano stati sconfitti, l’Urss si era dissolta e l’Europa sembrava condannata alla pace e alla democrazia. Invece Jorge Bergoglio è morto all’alba del lunedì di Pasqua in un panorama di guerra che lo ossessionava con le sue «ombre di morte», insieme con «i poveri e gli oppressi della terra, quelli che hanno la schiena curva sotto i pesi della vita», come ha ricordato nell’omelia di Pasqua, le sue ultime parole da Papa, coerenti con tutti i dodici anni di testimonianza dalla cattedra di San Pietro. In fondo, tutto si rivelò e si annunciò nella scelta del nome: Francesco. Il santo forse più popolare e universale con la sua testimonianza di povertà e di umiltà, con la predicazione della pace, con l’amore per il Creato, testimoniato dal Cantico delle creature. Un uomo di Dio che attraverso le opere e l’esempio parla anche all’universo dei non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà. È il coraggio dell’umiltà, la responsabilità di scegliere un esempio estremo, radicale, netto ed evocativo come un simbolo permanente. […] Nell’epoca dei due Papi, Bergoglio portava da solo il peso della rappresentanza di Cristo, della custodia delle chiavi di Pietro che legano cielo e terra, del governo della Chiesa. Sentiva questo impegno come un dovere di presenza e di testimonianza continua, infine con il corpo, la figura, il gesto quando la voce si era fatta più flebile, come nelle ultime settimane. Dimesso appena da un mese dall’ospedale, Francesco aveva voluto apparire a fianco dei fedeli nella preghiera del sabato santo in San Pietro, aveva scritto le meditazioni delle 14 stazioni delle Via Crucis, era tornato sul sagrato della basilica la domenica delle Palme, era sceso a pregare sulle tombe di Pio X e Benedetto XV, aveva voluto incontrare re Carlo d’Inghilterra e il vicepresidente americano Vance. Con l’ultima voce, parlava di pace. L’impegno costante contro la guerra ha fatto di Francesco un paladino della pace, l’identità più marcata del pontificato, che ha trovato nuovo seguito anche tra i giovani. Con i viaggi del presidente della Cei, il cardinal Zuppi, in Ucraina e in Russia e con i rapporti riservati con tutte le parti in causa del Segretario di Stato Parolin, la Santa Sede ha avuto un ruolo non solo di esortazione, ma di esplorazione di un possibile cessate il fuoco come condizione indispensabile per ogni negoziato. Alcune prese di posizione del Papa sono state accusate di incrinare l’equilibrio tradizionale vaticano, non distinguendo più tra aggredito e aggressore, come nell’invito ad alzare bandiera bianca e a trattare del marzo 2024: «Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». Aperto al mondo, diffidente verso quel mondo a parte che è la Curia romana, Francesco ha avviato la riforma che tutti gli ultimi Papi avevano inseguito, riducendo il numero dei dicasteri, chiamando per la prima volta donne alla guida, anche se il caso Becciu dimostra che la Curia necessita ancora di risanamento. Francesco non è andato oltre, come nemmeno sul piano della dottrina, dell’apertura ai divorziati risposati, dei contraccettivi, cioè dei temi eticamente sensibili. Non potendo ribaltare la Curia, ha ribaltato se stesso, decidendo di non abitare nell’appartamento papale al terzo piano del Palazzo apostolico, ma nelle stanze della Casa di Santa Marta, dove incontrava vescovi di passaggio, cardinali venuti da lontano, amici di vecchia e nuova data, e soprattutto era libero da vincoli di cerimoniale, di procedura, di agenda e persino di segretario. Per il Vaticano è stato uno sconvolgimento che ha spezzato il paesaggio ufficiale e cambiato le abitudini, tuttavia coerente con lo stile francescano di Bergoglio. Quell’appartamento vuoto, dietro una finestra a cui per abitudine guardano i fedeli quando attraversano piazza San Pietro, trasmette un sentimento di incompiuta, di riforma a metà, come se il Papa lasciata la sponda tranquilla cui si appoggiava la Chiesa non fosse riuscito a toccare l’altra sponda. È il destino di molti riformatori, infine attaccati sia dai progressisti perché sono rimasti fermi in mezzo al guado, e sia dai conservatori perché si sono spinti troppo avanti. In questo la figura del primo gesuita eletto Papa di Santa Romana Chiesa ricorda la figura dell’ultimo comunista eletto GenSek, Segretario Generale del Pcus, Mikhail Sergheevic Gorbaciov.

Ezio Mauro, Repubblica (22/4/2025)

Canzone del giorno: In a Heart Beat (1992) - Ringo Starr
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lunedì 21 aprile 2025

Francesco

Papa Francesco (1936 - 2025)
Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui.

Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo. La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.

Messaggio "Urbi er Orbi" del Santo Padre Francesco - Domenica di Pasqua 2025 (20/4/025)

Canzone del giorno: Prayer (1974) - Keith Jarrett
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domenica 20 aprile 2025

Pasqua

L’Italia oggi è un paese secolarizzato, verrebbe quasi da dire scristianizzato. I seminari sono vuoti, in chiesa si va molto meno di un tempo. Abbiamo smarrito la fede ereditata dai padri, per i quali l’esistenza di Dio era certa come il fatto che il sole sorge e tramonta, e che sotto l’occhio di Dio sentivano di vivere. Eppure, se arriva una pandemia, se sopravviene una crisi, se incombe la paura della guerra e del nucleare, è nelle braccia della chiesa che molti di noi si rifugiano. Perché qualsiasi sguardo sul futuro, qualsiasi fiducia che la vita non sia tutta qui, qualsiasi speranza di rivedere i nostri cari che abbiamo perduto non può prescindere dalla fede in Dio. E non in un dio generico, nel dio di Voltaire, in Deus sive Natura. La fede in un Dio misericordioso, che ci ama, ci conosce, si è chinato sul solco delle nostre povere vite e si è preso cura di noi. Il Dio del Purgatorio di Dante, che bacia ogni nuovo nato e gli insuffla l’anima. Il Dio della Bibbia. Forse gli uomini di chiesa, a volte presi a seguire il mondo, sottovalutano l’immenso potenziale che ancora adesso custodisce la parola di Dio e quindi l’istituzione religiosa che da duemila anni la incarna. Nella drammatica crisi della politica e della democrazia, nell’evidente declino delle classi dirigenti dei nostri Paesi, la voce antica della chiesa rappresenta più che mai un punto di riferimento. A volte viene rimproverata di concentrarsi sulle attività sociali, come se fosse una Ong o una Onlus, e di trascurare i temi escatologici, il discorso sulla vita eterna. In realtà vivere il Vangelo, annunziare il suo messaggio dalla parte degli ultimi, dei deboli, dei poveri non è in contraddizione con il deposito della fede, anzi, lo conferma. Altro che la «teologia della prosperità» cara a Donald Trump e ai suoi pastori; come se i ricchi fossero i prescelti dal Signore, i poveri se la siano cercata, e il sublime discorso della Montagna non fosse mai stato pronunciato. Poi certo la lezione dei grandi santi è che la povertà non debba essere necessariamente imposta, ma possa anche essere liberamente scelta. Una lezione che Bergoglio ha dimostrato di comprendere nel momento in cui ha scelto di chiamarsi Francesco. […] Oggi che sembra quasi tornato l’Ancien Régime, con pochissimi famelici miliardari — alcuni formatisi proprio nel Sudafrica dell’apartheid — che si impossessano della ricchezza delle nazioni, alla fine la speranza non risiede nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale, nella conquista di Marte, e tantomeno nella ridicola mimesi dell’esplorazione spaziale pagata da Bezos alla sua promessa sposa e ai suoi cari. Di fronte alla nostra debolezza, ma anche all’immensità dell’universo e alla meraviglia del creato, ci sentiamo un po’ tutti come Pietro quando, a Gesù che abbandonato dai seguaci gli chiede provocatoriamente «volete andarvene anche voi?», risponde: «Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna».

Aldo Cazzullo, Corriere della Sera (19/4/2025)

Canzone del giorno: Resurrection (2009) - The Temper Trap
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giovedì 17 aprile 2025

Meccanismi perversi

Forse non tutti lo hanno capito ma la decisione di Donald Trump di esentare i grandi gruppi hi tech americani dai dazi è la dimostrazione che la strategia della Casa Bianca ha dei limiti strutturali. Il presidente Usa ha deciso l'ennesima marcia indietro perché, per fare un esempio, l'80% di un i-phone della Apple è prodotto in Cina per cui il prodotto al consumatore americano rischierebbe di costare più del doppio del prezzo di ora. Un meccanismo perverso quello dei dazi in questo settore, quindi, che da una parte avrebbe messo in ginocchio i giganti della Silicon Valley - cioè il comparto più prestigioso e strategico dell'economia Usa - dall'altra gli avrebbe alienato la simpatia di una buona parte del suo elettorato visto che lo smart-phone è diventato un bene di largo consumo. Per cui The Donald è corso ai ripari sia per le pressioni di potenti compagnie come la Apple e Microsoft, per fare due nomi, sia per non perdere consensi. Ora, però, il presidente deve vedersela con gli altri settori commerciali che non hanno ricevuto la sua grazia divina, che sono pesantemente penalizzati dai dazi. Ad esempio nel settore dell'automotive Ford e General Motors sono estremamente esposte, come pure la Tesla che produce negli Stati Uniti ma importa molti componenti dall'estero. E ancora sotto schiaffo per i d+i ci sono la Nike che ha un'alta produzione in Vietnam e in Indonesia, Amazon che importa prodotti dall'estero, una società leader nel settore dei semiconduttori come Nvidia o la Walmart colosso dei rivenditori al dettaglio. D'ora in avanti l'Arancione - per usare il nomignolo che gli ha affibbiato Giuliano Ferrara - dovrà spiegare a questi interlocutori perché ciò che è possibile per i giganti della Silicon Valley a loro non è concesso. Il problema è che lo strumento dei dazi portati ai livelli introdotti o minacciati da Trump è primordiale in economia. Per fare un paragone bisogna tornare alla Cina prima del suo ingresso nel Wto, quando c'erano dazi del 100% sulle auto e tra il 35% e oltre per gli altri prodotti. Per cui è naturale porsi una domanda: può la patria del liberismo economico «cinesizzarsi», addirittura usare strumenti che appartenevano al Dragone di quarant'anni fa? Con tutte le ragioni che può avere Trump - perché i problemi che ha sollevato esistono - è un «non sense», è una strategia contro natura rispetto alla cultura americana. Tantopiù che per non avere problemi come quelli che lo hanno costretto alla marcia indietro sull' Hi tech i dazi possono essere utilizzati come bombe nucleari in economia solo in presenza di un determinato contesto politico: o in un sistema comunista, o, comunque, in un regime. Per essere chiari: i grandi gruppi cinesi che vivono in simbiosi con il partito non sono nelle condizioni di protestare o fare pressioni. I grandi capi delle multinazionali cinesi che hanno osato - è storia - o sono stati pensionati per un periodo, o sono spariti del tutto. Né tantomeno in un sistema come quello cinese Xi deve preoccuparsi più di tanto del consenso. E il regime che lo garantisce. Ecco perché le questioni di cui parla Trump non si risolvono imboccando la strada dei dazi alle stelle. 11 mondo disegnato proprio dai grandi gruppi industriali americani, dai signori di Wall Street è troppo interdipendente. La globalizzazione è nata Seattle non all'ombra della Grande Muraglia che ne ha solo beneficiato. E le distorsioni- che sicuramente non mancano - non le risolvi con un curva ad U perché rischi di finire fuori strada e i primi a pagare un a recessione sono proprio quei ceti che Trump dice di voler difendere. Una società liberista come gli Usa non può risolvere i propri guai cinesizzandosi, o, addirittura, rinnegandosi. Meglio restare nel solco della tradizione del liberismo Usa dalla Reaganomics (la trickle-down economics, che parte dai ricchi e scende a goccia aiutando tutti) o del «liberismo compassionevole» di Bush. Esempi magari datati ma sicuramente meno del vecchio modello cinese.

Augusto Minzolini, Il Giornale (14/4/2025)

Canzone del giorno: That's the Way It Goes (1982) - George Harrison
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mercoledì 16 aprile 2025

La buona Letteratura

Viviamo in un’epoca di specialisti. Il livello di conoscenza è aumentato e si è talmente diversificato che è impossibile riuscire ad avere la padronanza di diversi gradi di conoscenza. La nostra epoca ha creato gli specialisti, individui che sanno molto di un tema ma ignorano tutto il resto. Senza la letteratura, questa realtà si comporrebbe di individui solitari, incapaci di comunicare a causa della loro stessa specializzazione, capaci di confrontarsi soltanto con altri specialisti del proprio settore. Le discipline umanistiche, ma soprattutto la letteratura, ci ricordano quei denominatori comuni che ci astraggono dalla nostra specializzazione e ci fanno sentire parte di una comunità. È proprio questa una delle qualità della letteratura, la sua universalità. […] I libri mi hanno fatto divertire così tanto, mi hanno fatto vivere avventure così straordinarie che la sola idea che la lettura possa diventare un’attività marginale nella vita degli uomini mi addolora profondamente. Mi rattrista anche immaginare un’umanità che smette di sognare poiché è stata convinta che il mondo in cui vive è perfetto e che ciò che ci circonda è sufficiente per soddisfare le nostre aspettative e realizzare i nostri sogni. Se questo dovesse succedere, tutto si esaurirebbe dove la storia ha avuto inizio: in un mondo senza libertà, interamente manipolato, non dalla paura ma da quei sistemi che hanno pensato che smettere di sognare qualcosa di diverso fosse un buon modo di condurre la vita. Non lo credo, non lo desidero e spero che i giovani siano capaci di capire la straordinaria importanza che ha, non solo per la vita degli individui ma anche per le società, la buona letteratura.

Mario Vargas Llosa (1936 – 2025) – Lectio magistralis “La vida y los libros”, Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (7/6/2018)

Canzone del giorno: Le storie che non conosci (2016) - Samuele Bersani & Pacifico
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domenica 13 aprile 2025

Poesia

Si vede poco in giro, la poesia. Non frequenta le vetrine delle librerie, semmai si nasconde sui ripiani più remoti. Stenta a farsi pubblicare, e quando ci riesce lo fa con grande fatica e, in ogni caso, è come se non esistesse. Non si vende quasi, per il marketing è un vero disastro. Pochi la leggono. E non si sa nemmeno bene cosa sia: un giorno, anni fa, un mio amico giornalista e scrittore, sapendo che stavo per pubblicare una mia raccolta di poesie, mi chiese: E di cosa parla? Non lo so, dissi. Potevo rispondere di niente, o di tutto. Indefinibile, nonostante le mille meravigliose definizioni che nei secoli i grandi poeti hanno trovato. Imprendibile, la poesia. […] Non c'è posto, in poesia, per la mediocrità. Oppure forse sì, pochi leggono poesia. Ma solo perché non hanno l'abitudine a farlo. Ricordate la volpe che dice al piccolo Principe che non può giocare con lui perché non è "addomesticata"? E gli insegna come si fa: ci vuole pazienza, bisogna che lui vada da lei ogni giorno, possibilmente alla stessa ora. Così lei lo aspetterà. Sentirà il bisogno di rivederlo, e in quell'attesa, in quel desiderio, sarà già felice. «Ci vogliono i riti», gli dice. Cioè, un'abitudine. Ecco, siamo disabituati a leggere poesie. Anzi, meglio: in-abituati. Se nessuno ci insegna a nuotare, difficile poi che noi ci buttiamo in mari aperti. Possiamo essere attratti da quei mari, ma tenderemo a non entrarci, a non considerare il nuoto una possibile esperienza quotidiana, e vitale. Nessuno ci ha mai "addomesticati" alla lettura della poesia, nessuno ci ha guidati, facendoci entrare nei suoi meccanismi. […] «Le mie poesie non cambieranno il mondo». Così scriveva, ironicamente, Patrizia Cavalli. E forse il mondo non ha bisogno dei poeti. Ma la poesia esiste, e i poeti continuano a scrivere. Ognuno faccia come crede: legga, non legga... Ma la poesia è come il mare. Il mare esiste e continua a fare le onde. Moto incessante, lo chiamiamo. Ogni volta che scriviamo una poesia abitiamo un altro mondo; quindi, implicitamente, prendiamo le distanze da questo. Affermiamo che esiste un'altra vita, un'altra possibilità di essere. Pensiamo a Majakovskij, Cvetaeva, Pasolini... La poesia ha combattuto guerre, ha contrastato dittature e totalitarismi, ha sopportato l'esilio, e qualche volta ha scelto la morte. Ma non si è mai piegata, nemmeno ai luoghi comuni e alla retorica (che oggi più che mai ci invade). A pensarci bene, è l'unica "arma" che abbiamo, in questi tempi confusi e inutilmente complicati. Per esempio oggi, rileggere Ungaretti, giovane poeta soldato. Anche solo pochi versi: «Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte». Di una semplicità disarmante.

Paola Mastrocola, La Stampa (21/3/2025)

Canzone del giorno: Poesia (1973) - Riccardo Cocciante
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venerdì 11 aprile 2025

Preoccupazione

Un briciolo di preoccupazione è più pesante di tonnellate di felicità.

Stanisław Jerzy Lec (1909 – 1966), Pensieri spettinati (1957)


Canzone del giorno: Worry (2012) - Robert Cray
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martedì 8 aprile 2025

False certezze

I mercati crollano, il mondo non si capacita di quello che accade. Che gioco sta giocando il presidente Usa? 

«Trump è un essere davvero eccezionale. È autodidatta, non legge nulla e non ascolta nessuno. Le sue convinzioni sono del tutto personali, basate sulla sua esperienza di uomo d’affari; inoltre ha la capacità di non imparare nulla dai suoi fallimenti, come dimostra il fatto che ha fatto bancarotta sei volte». E questo come spiega i dazi? «Lui parte dall’idea che se fai affari con qualcuno devi avere un surplus. Se invece hai un deficit – come accade per la bilancia commerciale americana – la tua controparte ti sta ingannando, perché nessuno può battere l’America. Ovviamente tutto questo non ha assolutamente alcun senso in termini economici. Ma il messaggio di Trump è che lui è un uomo comune, proprio come i suoi elettori, e non come i professoroni che danno lezioni. Questo porta a follie come applicare i dazi più alti in assoluto al Lesotho». 

Trump però dice che così sposterà molte produzioni in America. Ce la farà? 

«Chiunque sa che farlo porterebbe a prodotti non competitivi, a causa dei costi troppo alti, e che la cosa potrebbe funzionare solo se il protezionismo durasse per sempre. Davvero Apple dovrebbe pensare di spostare la produzione di iPhone dalla Cina all’America sapendo che tra quattro anni Trump non ci sarà più e che prima di allora avrà cambiato ancora idea chissà quante volte?». 

In Italia si è accarezzata l’idea che un rapporto privilegiato Meloni-Trump ci potesse o ci potrà garantire un trattamento preferenziale da parte degli Usa. 

«Sarebbe un colpo terribile per l’Europa, qualsiasi paese lo facesse. E non penso che Meloni possa pensare che per avere un rapporto commerciale preferenziale con Trump valga la pena di mandare gambe all’aria la costruzione europea. E poi l’Italia sarebbe folle a pensare di poter affrontare da sola il mondo globalizzato». 

E l’Europa, allora, che cosa può fare? 

«Prima di tutto, visto che è un’economia aperta e senza grandi risorse naturali, deve cercare di mantenere un mercato internazionale il più liberopossibile. Allo stesso tempo, però, dovrà far fronte a un’offensiva commerciale di paesi come India e Cina che cercheranno di portare qui i prodotti che non possono più vendere negli Usa; sarà difficile mettere barriere tariffarie senza alimentare la guerra dei dazi. E, ancora, dovrà trattare proprio con la Cina, ad esempio decidendo se accogliere o no gli investimenti cinesi. Sarà una negoziazione dura». 

C’è il pericolo di una stagnazione nel continente? 

«L’economia europea deve rivitalizzarsi e lo deve fare subito, in settori cruciali come la tecnologia o la difesa. Se ci sarà un decennio di stagnazione la società cadrà a pezzi e la nostra età dell’oro sarà finita».

Intervista di Francesco Manacorda a Martin Wolf, economista e giornalista del Financial Times - Repubblica (5/4/2025)

Canzone del giorno: Nessuna certezza (2002) - Tiromancino feat. Elisa e Meg
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sabato 5 aprile 2025

Liberation Day

Liberation Day: e se fosse il resto del mondo a liberarsi degli Stati Uniti? C'era una volta un'America che guidava il mondo. Poi arrivò Trump. E con lui, una serie di decisioni che sembrano uscite da un manuale di autodistruzione economica. Con la genialata dei dazi, il presidente sta regalando agli Stati Uniti un nuovo motivo di deficit: quello cognitivo. Abbiamo assistito a deficit commerciali, deficit di bilancio, e ora il deficit di logica si unisce al club. Trump sembra credere che l'economia sia un gioco a somma zero, che chiudere le porte all'importazione possa magicamente riportare indietro la manifattura e l'occupazione, e che i dazi siano un'arma a senso unico. Peccato che funzioni al contrario. I dazi sulla componentistica dell'automotive, per esempio, colpiscono pesantemente le case americane, che vedranno i costi salire e la competitività scendere. Geniale, vero? Prendiamo un altro esempio: il paese più penalizzato dai dazi è il Vietnam, dove Nike realizza oltre il 50% delle scarpe da destinare al mercato. The Donald non ha chiaro il concetto di interdipendenza economica, che contraddistingue (in modo indelebile) il mondo di oggi. Le tariffe non riporteranno neppure la manifattura negli Stati Uniti. Trump sta infatti creando un vuoto di credibilità, che non incoraggia investitori stranieri ad aprire insediamenti produttivi negli Usa. Ed è proprio qui che il danno può diventare irreparabile. Gli investitori non amano l'incertezza e il protezionismo crea esattamente questo: un contesto instabile, dove fare affari diventa un salto nel buio. Proprio questo deficit di credibilità potrebbe portare gli Usa a perdere l'esorbitante beneficio di essere valuta di riserva del mondo. Secondo Goldman-Sachs, il rischio di recessione nei prossimi mesi è aumentato dal 20% al 35%, e per J.P. Morgan potrebbe arrivare fino al 40%. L'analisi Bloomberg sostiene addirittura che questa potrebbe essere la prima recessione direttamente causata da politiche economiche della Casa Bianca. Secondo dati della Federal Reserve Bank di Atlanta, la crescita del Pil statunitense è già calata del 2% a seguito dell'insediamento di Trump a gennaio 2025, mentre il trade deficit è aumentato del 34% nello stesso periodo. E la spesa dei consumatori? In calo dello 0,2%, segno che la fiducia nell'economia sta evaporando. E poi c'è il capitolo geopolitico, perché Trump non si sta solo facendo del male da solo, ma sta anche facendo il gioco della Cina. La sua strategia dei dazi sta unendo il resto del mondo contro gli Usa lasciando spazio libero a nuovi accordi di libero scambio: negli ultimi giorni addirittura Pechino, Tokyo e Seul hanno condiviso propositi in tal senso. Con la brillantezza di un giocatore di scacchi che non vede oltre la prima mossa, sta spingendo gli alleati storici americani verso nuove alleanze, dove l'influenza di Washington si dissolve come neve al sole. Le tariffe di Trump sono le più alte imposte da un governo statunitense negli ultimi 90 anni e, secondo le analisi, danneggeranno - lo ribadisco - proprio l'industria manifatturiera che avrebbero dovuto proteggere. L'aumento dei costi degli input, il caos nelle catene di approvvigionamento e i prezzi finali più alti penalizzeranno produzione e occupazione. Il Canada ha già avviato un boicottaggio dei prodotti americani, con il 98% dei consumatori che preferisce prodotti locali. L'Australia ha stanziato un miliardo di dollari per supportare le sue aziende nell'esplorare nuovi mercati. L'America sta rapidamente perdendo rilevanza internazionale, proprio mentre la Cina si prepara a riempire il vuoto. E così, mentre si festeggia il Liberation Day, possiamo dare un'interpretazione più ampia al concetto di liberazione. Non solo celebriamo la libertà dalle dittature del passato, ma anche la prospettiva di un mondo che si libera da un protezionismo miope e suicida. Trump voleva rendere l'America grande di nuovo. Sta solo rendendola più sola, più debole e più in crisi. E mentre lui insiste con la sua retorica da guerra commerciale, l'economia reale soffre. Le imprese americane vedono ridursi i mercati di sbocco, le filiere produttive subiscono interruzioni e i costi si impennano. La verità è che nessun paese è un'isola e chiudersi al mondo significa autocondannarsi all'irrilevanza. Un capolavoro di autolesionismo, firmato Donald J. Trump.

Giuliano Noci, Il Sole 24 Ore (4/4/2025)

Canzone del giorno: Sea Of Madness (1986) - Iron Maiden
Clicca e ascoltaSea of Madness....

venerdì 4 aprile 2025

Una tragedia che si ripete

Una tragedia dei nostri tempi, che tristemente torna a ripetersi in tutta la sua gravità, la punta dell’ iceberg di un disagio giovanile nel rapporto tra sessi diversi non può che scuotere le coscienze e farci chiedere il perché, in cosa si è sbagliato nella formazione educativa dei giovani. E la scuola fino a che punto è stata attenta e vigile nell’ abbattere barriere ancestrali di possesso e di maschilismo arido e brutale? I femminicidi di questi giorni che hanno sporcato di sangue la capitale e ancora più a sud, in terra di Sicilia, la città di Messina ripropongono il problema in tutta la sua crudezza e rappresentano il frutto perverso di una società malata. Una società chiusa a riccio nella propria solitudine che si proietta all’esterno in tante monadi. Due giovani vite spezzate, quella di Ilaria Campanella e quella di Sara Sulo, colpite da mani assassine che in preda ai fumi della gelosia e del possesso non si sono fermate davanti a quello che ritenevano loro. Come nelle tragedie greche antiche si rimane attoniti. Gelosia e possessività echeggiano come miti primordiali con la gelosia figlia della possessività. I figli di Giasone uccisi dalla madre Medea. Il male mai domato, e noi convinti, riteniamo di sapere da quale parte esso stia, per inconsciamente sanare ferite, condannando chi del male si è fatto esecutore. Ma la tragedia greca si chiude in catarsi corale. La nostra generazione ne è in grado? O tenta a rimuovere e obliare il dolore. “Abbiamo perduto tutti!” Parole straordinarie quelle del signor Cecchettìn padre di Giulia anch’essa vittima di femminicidio, dette a caldo di sentenza dell’ergastolo all’ assassino della figlia. Monito sottile e accorato a chiedersi: “Dove va l’umanità?” È ancora in tempo per arrestarsi prima del baratro? Di altra visione, “altra” sottolineerei, hanno necessità le nuove generazioni per sopravvivere.

Paolo Caruso, lopinioneragusa.it (3/4/2025)

Canzone del giorno: Not To Blame (1994) - Joni Mitchell
Clicca e ascoltaNot To Blame....

mercoledì 2 aprile 2025

Erasmus

Franzaroli, da google.it

















Canzone del giorno: Children Of The Future (1968) - The Steve Miller Band
Clicca e ascoltaChildren....

martedì 1 aprile 2025

Playlist Marzo 2025

      1.      Samantha Fish, All Ice No Whiskey – (Faster – 2021) – Intromissione

2.      Black Sabbath, Megalomania – (Sabotage – 1975) – Trump Gaza

3.      Joe Bonamassa, Blu And Evil – (Black Rock – 2010) – Il superbo

4.      Edoardo Bennato, La fata – (Burattino senza fili – 1977) – La fata

5.      Annie Lennox, Bitter Pill – (Bare – 2003) – Dazi

6.      Elis Regina e Antonio Carlos Jobim, Águas de março – (Elis & Tom – 1974) – Giorni di marzo

7.      Queen, Somebody to Love – (A Day at the Races – 1976) – Follemente

8.      Timoria, Febbre – (El Topo Grand Hotel – 2001) – 37 e mezzo

9.      Natalie Cole, Undecided – (Take a Look – 1993) – Menù  

10.   Metallica, No Remorse – (Kill ‘Em All – 1983) – Burro e cannoni

11.   Marianne Faithfull, Sparrows Will Sing – (Give My Love to London – 2014) – Quanto è lontana Gaza?

12.   Leonard Cohen, Democracy – (The Future – 1992) – Abuso di potere

13.   Nick Drake, Democracy – (Pink Moon – 1972) – Parassiti

14.   Antonello Venditti, Buona domenica – (Buona domenica – 1979) – La Domenica