Si vede poco in giro, la poesia. Non frequenta le vetrine delle librerie, semmai si nasconde sui ripiani più remoti. Stenta a farsi pubblicare, e quando ci riesce lo fa con grande fatica e, in ogni caso, è come se non esistesse. Non si vende quasi, per il marketing è un vero disastro. Pochi la leggono. E non si sa nemmeno bene cosa sia: un giorno, anni fa, un mio amico giornalista e scrittore, sapendo che stavo per pubblicare una mia raccolta di poesie, mi chiese: E di cosa parla? Non lo so, dissi. Potevo rispondere di niente, o di tutto. Indefinibile, nonostante le mille meravigliose definizioni che nei secoli i grandi poeti hanno trovato. Imprendibile, la poesia. […] Non c'è posto, in poesia, per la mediocrità. Oppure forse sì, pochi leggono poesia. Ma solo perché non hanno l'abitudine a farlo. Ricordate la volpe che dice al piccolo Principe che non può giocare con lui perché non è "addomesticata"? E gli insegna come si fa: ci vuole pazienza, bisogna che lui vada da lei ogni giorno, possibilmente alla stessa ora. Così lei lo aspetterà. Sentirà il bisogno di rivederlo, e in quell'attesa, in quel desiderio, sarà già felice. «Ci vogliono i riti», gli dice. Cioè, un'abitudine. Ecco, siamo disabituati a leggere poesie. Anzi, meglio: in-abituati. Se nessuno ci insegna a nuotare, difficile poi che noi ci buttiamo in mari aperti. Possiamo essere attratti da quei mari, ma tenderemo a non entrarci, a non considerare il nuoto una possibile esperienza quotidiana, e vitale. Nessuno ci ha mai "addomesticati" alla lettura della poesia, nessuno ci ha guidati, facendoci entrare nei suoi meccanismi. […] «Le mie poesie non cambieranno il mondo». Così scriveva, ironicamente, Patrizia Cavalli. E forse il mondo non ha bisogno dei poeti. Ma la poesia esiste, e i poeti continuano a scrivere. Ognuno faccia come crede: legga, non legga... Ma la poesia è come il mare. Il mare esiste e continua a fare le onde. Moto incessante, lo chiamiamo. Ogni volta che scriviamo una poesia abitiamo un altro mondo; quindi, implicitamente, prendiamo le distanze da questo. Affermiamo che esiste un'altra vita, un'altra possibilità di essere. Pensiamo a Majakovskij, Cvetaeva, Pasolini... La poesia ha combattuto guerre, ha contrastato dittature e totalitarismi, ha sopportato l'esilio, e qualche volta ha scelto la morte. Ma non si è mai piegata, nemmeno ai luoghi comuni e alla retorica (che oggi più che mai ci invade). A pensarci bene, è l'unica "arma" che abbiamo, in questi tempi confusi e inutilmente complicati. Per esempio oggi, rileggere Ungaretti, giovane poeta soldato. Anche solo pochi versi: «Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte». Di una semplicità disarmante.
Paola Mastrocola, La Stampa (21/3/2025)
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