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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 12 ottobre 2024

Violazioni

Non è stato un errore. Non è stato un incidente né una fatalità. L’attacco attuato da Israele alle postazioni della missione Unifil, la forza di peacekeeping svolta sotto mandato Onu e che vede protagoniste Italia e Francia, è stato un atto voluto e deliberato, che ha provocato il ferimento di due soldati indonesiani. Un’aggressione che avrebbe potuto portare a conseguenze molto gravi anche per i nostri soldati, i quali dal 2006 garantiscono che Israele e Hezbollah non vengano nuovamente a contatto, dopo la tragica guerra dei trentatré giorni di quell’anno. Un’azione che sarebbe ingannevole limitarsi a catalogarla come una “follia” delle forze armate israeliane. È molto di più: attaccare una missione internazionale Onu è un crimine di guerra. E purtroppo, è doloroso doverlo ammettere, non sembra essere neppure il primo commesso da Israele in questo anno di vendetta dopo l’orribile strage del 7 ottobre. Sembra quasi che – sull’onda dei successi militari – il governo e i vertici militari dello Stato ebraico abbiano perso ogni freno inibitore, travolti da una volontà di continuare il conflitto e di allargarlo alla regione: ieri la distruzione di Gaza e gli assassinii mirati all’estero, poi i bombardamenti indiscriminati in Libano e le sfide continue alla Repubblica islamica, quasi ad invitarla a reagire – come ha in effetti fatto –, ora l’entrata con le truppe di terra nel fragile “paese dei cedri” e infine l’attacco a Unifil. In molti pensano che si sia trattato di una sorta di avvertimento, che a noi italiani suona molto in “stile mafioso”, per far sloggiare dalla frontiera le nostre truppe e avere mano libera nell’invasione del Libano del Sud. Una richiesta fatta già da qualche giorno in modo rude – “spostatevi più a nord” – e alla quale il comando Unifil ha risposto negativamente. Del resto, il contingente Onu non prende ordini da un governo che è parte in causa nel conflitto, anche se si tratta di un Paese amico come Israele. Ma quale che fosse l’intento di questo attacco, è chiaro che Netanyahu ha superato ogni limite. Ora basta: non vi sono alternative a fermare subito le armi. E non vi devono essere ambiguità e discorsi levantini anche fra i nostri alleati in Occidente: è tempo di massimizzare la pressione su Tel Aviv per forzarli a fermare questo conflitto sanguinosissimo. Washington ha gli strumenti, se solo li volesse usare, per fermare la deriva bellicista di Israele: ossia bloccare – come già richiesto dal presidente francese Macron – l’invio di armi al Paese. Non si tratta di togliere sostegno o di “abbandonare” lo Stato ebraico; piuttosto, è il tentativo estremo di evitare una spirale insensata di morti e violenze, per riprendere i negoziati per una tregua. Che finora Netanyahu ha sempre boicottato, anche a costo di lasciare gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas al loro terribile destino. Cosa faranno l’Italia e le altre nazioni impegnate in Unifil è difficile da prevedere. Per ora si resta, ha detto il governo italiano, anche perché smobilitare una missione ventennale nel mezzo di un conflitto è tutto tranne che semplice o privo di pericoli. Ma restare significa anche dare un segnale che l’Onu, per quanto indebolito, non cede alla protervia che sembra aver intossicato il governo israeliano. E difendere il ruolo delle Nazioni Unite è fondamentale, soprattutto ora che il suo Segretario generale, António Guterres, viene considerata persona non grata e che Israele minaccia di mettere al bando l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Una minaccia insensata, dato che su di essa si basa la distribuzione degli aiuti – quei pochi che si riesce a far arrivare – alla stremata popolazione civile di Gaza. È tempo di pace in Terra Santa. È tempo di riporre le armi e siglare una tregua che possa portare a uno stop definitivo del conflitto. Ma è anche tempo di assumersi le responsabilità a Washington e in Europa, per parlare a Israele come solo gli amici possono fare. Per dire che tutti i limiti sono stati infranti e che è ora di fermarsi. Subito.

Riccardo Redaelli, Avvenire (10/10/2024)

Canzone del giorno: State Of Emergency (2009) - Papa Roach
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